V
Esempi di pazzi di genio.

D'altra parte coloro che opinano venir meno nei folli la potenza intellettiva, versano in grave errore, mentre, anzi, questa spesso si esalta in essi ed in singolare maniera. - Così Winslow conobbe un gentiluomo, incapace, quand'era di mente sana, di fare una semplice somma, che diveniva un famoso aritmetico nell'accesso maniaco; così come una donna, poetessa nel suo manicomio, ritornava guarendo, la più prosaica delle massaie (p. 207).

Un monomaniaco di Bicêtre si doleva con questi bei versi, della sua triste prigionia (Moreau).

Ah! le poète de Florence - N'avait pas dans sont chant sacré
Revé l'abîme de souffrance - De tes murs, Bicêtre execré.

Esquirol racconta come un maniaco, durante il periodo acuto del male, inventasse un cannone che venne adottato.

Morel cura un pazzo, soggetto a vere ebetudini intermittenti, prima delle quali, compone delle belle commedie.

Un altro pazzerello, curato dal Verga, avea fantasticato, nel e pel suo delirio, con molto ingegno, se non con verità, l'etimologia di Senavra, da Sen - avrà; un medico, figlio di un grande uomo, colpito dalla follia, inventava, con molto ingegno, e, non dirò, per onore dell'armi, giustezza, che farmacia deriva da far - marci, e medico da ocidem.

Io ebbi in cura, a Pavia, un povero contadinello dodicenne, inventore di arie musicali originalissime, che applicava ai suoi compagni di sventura, cosi ben adatti soprannomi, che tuttora restaron loro addosso. Gli era compagno un vecchietto pellagroso e, contadino, pur esso, che richiesto da noi se fosse felice, "tutti (disse, a modo di un filosofo greco) lo sono, anche i ricchi, purchè lo vogliano essere."

Molti dei miei scolari ricorderanno quel B... ora completamente guarito, che si potea dire un vero genio del popolo; già suonatore, domestico, facchino, oste, chincagliere, maestro, soldato. scrivano, mai fortunato; eg1i ci lasciò una sua biografia, - cui, se togliete qualche errore ortografico, non siederebbero male gli onori della stampa e mi chiedeva l'uscita con queste rime, che per un popolano incolto sono pur belluccie

:

Il sottoscritto - chiede al caro suo dottore
Or come padre nostro - la libertà del chiostro,
E come il suo dottore - nutre nel seno un'alma
Pura, sincera, intera, perciò senz'alcun dubbio
Ei della grazia spera, ecc.

Non son molti giorni che io udii un povero rivenditore di spugne, alienato, divinare e riassumere l'idea cardine del circolo della vita con queste parole: "Noi non moriamo; quando l'anima è frusta va a fondersi e cangiarsi; - difatti mio padre un giorno sotterrò un mulo morto; or bene dippoi su quel posto nacquero funghi in gran numero, e le patate per solito piccolissime vi crebbero grosse del doppio." - Ecco una mente volgare, illuminata dall'estro maniaco, sorprendere conclusioni, a cui giunge, appena, una parte dei più grandi nostri pensatori.

Nella mia clinica di Pavia, già da vari anni, fu accolta una donna del popolo, che impazzita per abuso di venere e di alcool, s'era fitta in capo d'essere una Napoleanide, cui una legione di nemici aveva preso a perseguitare, mettendole il veleno nelle ova, nel pane, nel vino, ecc. Questa monomaniaca, tuttavia, mostrava un maraviglioso genio pel disegno e pel ricamo; tracciava certe sue farfalle così leggiere e così vere, che pareva alitassero, lì, sopra la tela.

Un'altra monomaniaca, con pochi gusci di limoni e di ova plasmava dei vasi e dei calamai graziosissimi.

Nel manicomio di Pesaro un'epilettico con dei frustoli d'asse rubati al falegname, riuscì a congegnarsi due armoniosi violini. Ivi pure si conserva un quadrettino, in cui sono disegnati sì bene che paion vivi, una monaca e un medico, mentre esaminano, all'ottalmoscopio, un'ammalata; - è opera di una contadina melancolica che si giovava, per il ricamo, dei fili strappati alla sua veste, ingommandoli sulla carta colla saliva. Un G. B., nipote di un celebre letterato, ammattito, un giorno che gli precrissi un decotto di camomilla, la medicina notoria delle comari: "Vedi, esci,

Vedi Tiresia che mutò il sembiante
Poichè di maschio femmina divenne."

Un altro giorno mostrandomigli ritroso a lasciargli montare un cavallo alquanto bizzarro: "Niente paura, dottore, similia similibus."

All'Ospizio di Pesaro si stampa un diario redatto tutto per mano di alienati, e vi sono delle pagine autobiografiche di una strana eloquenza, per es., al N. l: "...Anche colà provai strani fenomeni, un impulso di coricarmi sulla nuda terra, una smania di urlare ad alta voce, una trascuranza generale nella pulizia del corpo, da ripugnare anche a me stesso;... le grandi sventure induriscono il cuore, ed io che avrei pianto nel vedere una goccia di sangue, ora resterei impassibile al più atroce spettacolo."

Scelgo a caso questi versi di un altro redattore dello strano Diario di Pesaro, il signor M..., erede anch'esso, di un gran nome letterario.

A sè stesso. E con chi l'hai? -
Con tutti e con nessuno
L'ho con il cielo, che si tinge a bruno,
L'ho con il metro, che non rende i lai,
Che mi rodono il petto.
Nell'odio altrui, nel mal comun mi godo.
M. S. N. 365.

E questi altri di B...

...incalza il nembo e scalza rami e piante...
Sotto al colpo crudel della tempesta
Si commove nel mar l'onda spumante.

Ma un esempio straordinario del grado di intelligenza che può provocar la pazzia mi fu offerto da un povero calzolaio; era certo Farina, figlio, nipote e cugino di pazzi e di cretini, che, alienato fin dalla giovinezza, ma in apparenza tranquillo e sereno, freddò con un coltello una donna di null'altro colpevole se non d'essere madre ad una bella ragazza, di cui egli in un delirio erotico si credeva amante riamato malgrado non avesse avuto con l'infelice il minimo contatto e rapporto.

Costui, commesso l'omicidio, fuggì a Milano; e niuno pur, da lontano, ne l'avrebbe sospettato reo, se egli a bella posta, ritornando a Pavia, e presentandosi alla Questura, non se ne fosse accusato e avesse mostrato, per meglio convincerne gli increduli, il fodero del fatale strumento omicida; più tardi, messo in prigione, si pentiva dello strano suo passo e offriva i sintomi di una forma di pazzia, che veramente non avea, la demenza; sì che a me, richiesto come perito, occorse non lieve fatica a venire in chiaro del vero suo stato e accertarmi come, cioè egli, malgrado infingesse la pazzia, era pur matto egualmente (1). Tratto finalmente alla mia clinica vi scrisse la seguente

MEMORIA
riguardo alle conseguenze della mia sventura.

Nell'epoca del 58 al 59 venni chiamato a portinaio presso il signor B..., nella qual casa era una famiglia, che si chiamava Dag.; questa famiglia incominciò a famigliarizzarsi con me, in maniera che si offersero anche a servirmi per il pranzo, non avendo io la convenienza di farlo da me stesso. Un giorno mentre passava dalla contrada Rovelecca, vidi aperta una bottega da droghiere, nella quale m'accorsi d'un viso feminile che, incontrando il mio sguardo, arrossì. Io che in qnei [sic] tempi soleva arrossire ad ogni incontro, tanto più feminile, conservai all'opposto la mia fermezza naturale, ma riflettendo ne feci un pensiero; però al mio ritorno non feci nemmeno mostra di farne caso.

(l) Diagnosi psichiatrico-legali studiate col metodo esperimentale di C. Lombroso. Milano, 1869.

Il giorno addietro vi passai di nuovo, e fui colpito d'uno sguardo più gentile, che era poi la già prenominata figlia Guag.; a questo sguardo passai innanzi e conservai come prima il mio naturale: ritornando poi la figlia sulla fronte della bottega io passava senza guardarla, e per qualche tempo procurai di evitarla. Una sera, mentre stava sulla porta, m'accorsi d'una pedana leggiera, che, voltandosi, m'incontrai nella figlia Guag., che teneva per mano sua sorellina; questa Guag. mi dimandò se vi era in casa la signora Dag., e io le risposi che era andata alla benedizione, ed ella tosto mi ringraziò, salutandomi in maniera significante, come pure io salutai lei, ed ella se ne andò. In questo tempo sorgeva la guerra del 59 ed io non aveva in cuore nessun pensiero feminile... Andai ad iscrivermi... In breve venne l'ordine della partenza, e in rango che fummo si partì a suon di banda, per la ferrata, alla volta di Como, nella qual città fummo ricevuti con evviva dai cittadini. Appena giunti in una caserma, un tenente ci fece mettere in circolo, e nominandoci uno per uno, ci metteva in mano mezza svanzica, dicendo che quel giorno ci apparteneva metà paga, guardando in modo singolare, ed anche con qualche censura quelli che erano malvestiti, cosa indegna per un uomo ragionevole; terminata la paga, passammo una rivista, e poi condotti di nuovo alla caserma, ove non trovammo nemmeno paglia per coricarsi alla notte, ci dissero che al domani avressimo trasferita la caserma, ed infatti ci venne prefissata. Dopo otto giorni, che non furono pur anche tutti di manovra, si allestì un battaglione, nel quale fui messo io pure e i miei due compagni pavesi, il qual battaglione fu formato per compiere il primo reggimento. Partì dunque il battaglione per il lago di Como; smontammo a Colico ove ci fermammo per due ore, si partì poi per Morbegno, giunsimo verso sera e fummo ricevuti a suon di banda, entrammo in caserma ove ci fermammo per circa un'ora; dopo la mezzanotte suonò la diana, e presto in rango si partì per Sondrio, ove restammo per due giorni; si parti poi per... non mi ricordo precisamente il giro, ma devo ricordare però una giornata che siamo arrivati a Croce Domini, che faceva un caldo eccessivo, e un'ora prima di sera incominciò a crescere la nebbia in modo tale, che non era più possibile vederci l'uno l'altro, ed il freddo obbligava, già, a coprirsi bene. Era circa il 10 di luglio, la stanchezza dei viaggi ci obbligava troppo a dormire, pure non vi fu modo in nessuna maniera di poter stare coricati, di tanto era un freddo insopportabile. Si fece dei fuochi con degli arbusti che vi erano per il monte, feci io pure la guardia ai fasci sino che mi levarono, che, a dire il vero, non so se era tutto vivo o mezzo morto dal freddo, le mani intirizzite che non poteva tenere il fucile, i piedi non mi reggevano, infine, dopo d'avermi riscaldato qualche poco anch' io, venne finalmente l'aurora; e a poco a poco nel mentre che si partiva ci riscaldammo di nuovo. Di particolare nei viaggi non saprei dare spiegazione perchè sarebbe troppo noiosa. Noto, soltanto, l'arrivo a Bagolino, paese vicino alla Rocca d'Anfo. Lì la nostra pattuglia girava a sorvegliare l'attività del nemico, quando si sentì la notizia che l'inimico discendeva e che era di già avanzata l'avanguardia; subito si fece l'allarmi, ma la nostra pattuglia, senza punto muoversi, lasciò avvicinarsi l'avanguardia nemica e quando furonle vicini circa cento passi, avendosi già preparati quantità di sassi, deposero i loro fucili accanto alle piante, e poi si misero a gettarle i suddetti sassi; non so se abbian fatto qualche colpo di fucile, ma parmi d'aver sentito che fu ferito uno o due dei nemici, dimodochè conoscendo il nemico che il paese era battuto da forza maggiore di prima, fecero un dietro fronte e sparirono, e noi deposimo le armi. Partimmo da Bagolino, dopo circa otto giorni, alla volta di Lavvenone, dove ci siamo fermati di guarnigione. In questo frattempo si fece la pace.

Al terminar dell'anno 1860, non trovando di accomodarmi, andai ad abitare, provvisoriamente, in casa d'un mio zio. Scorso l'inverno del 60 al 61, cercai nuova abitazione; finalmente trovai d'appoggiarmi, ancora, nella casa antica, e faceva i miei interessi senza tanto male di testa. Lavorava anche per B., per cui bisognava che passassi anche dalla contrada Rovelecca, eppur sarebbe stata mia intenzione a non passarvi, per non ricordarmi certi pensieri. In questo frattempo il giovane amante della G..., per quanto mi parve, non le faceva più la corte. Successe un giorno di festa; siccome era solito tutte le sere e le mattine, appena svegliato, prendere il caffè, in casa non avendone, e sapendo di trovar aperta ancora la bottega in Rovelecca, vi andai. Era già al declinar dell'autunno 1861. Incontratomi nella madre G... fui servito con qualche gentilezza, e progettai di voler continuare. In quanto alla figlia io sfuggiva il solo pensiero di avvicinarla; l'idea della giovane mi sarebbe stata assai cara, ma pensava che non era capace di nulla in cose di famiglia, e non avrei potuto, secondo la mia intenzione, educar bene i figli; e poi a prendere una giovane non bene educata, per me non faceva, amava la mia libertà. M'appresi dunque a servirmi di quella bottega la seconda volta e furono migliori i suoi tratti; la terza volta nell'entrare in quella bottega, frammezzo il banco, vi era madre e figlia, ma in maniera che la madre, coll'ombra sua, proteggeva la figlia, che era pur seduta vicino al muro; al mio comparire fui ricevuto con bella maniera, intanto la figlia non la vedeva, così la madre mi serviva di zucchero e caffè; quando poi le comandai del sapone allora la figlia restò scoperta, sì che avrei potuto guardarla in viso, ma staccatomi dal banco finsi io pure di cercare la qualità del sapone (l) che aveva bisogno; fu messo sulla bilancia quel pezzo che era nè piccolo, nè grosso; ma la figlia, per dire qualche cosa anch'ella, disse: È troppo, la madre, come quasi volendo indovinare quello che voleva dir io, rispose: "Oh basta che lo porta a casa;" si rise assieme e poi venni via.

(1) Si rimarchi la singolare memoria dei dettagli che concernono li oggetti del suo delirio.

Una sera poi si fece a dirmi che sua figlia le aveva detto che io aveva preso moglie, io risposi che non era vero, e non aveva nemmeno il pensiero di ammogliarmi; Sì, sì, rispose ella, così si ha sempre la sua libertà. Questa volta fu di male umore il suo saluto in maniera che quando vi andai ancora era del tutto cangiata la sua accoglienza. Quasi evitandomi comprendeva che sarebbe stata la sua intenzione che non vi andassi più, ma io fingendo di non far caso di quelle parole vi ritornai e feci l'indifferente. Un giorno che usciva di casa, prima di sera, e che pioveva (era già la prima settimana di quaresima dell'anno 1862), passava dalla contrada, quando tutto ad un tratto vidi a spingere fuori dalla bottega della G... la figlia minore, che, ridendo e guardandomi, presto ritornò in bottega; io proseguiva e la guardava nel mentre che passava, la madre spinse di nuovo la figlia maggiore, che fermatasi sull'orlo della bottega così ridendo e guardandomi, disse: E donca? Io, al sentire la madre che spingeva le ragazze a dirle: Andatele addietro, in questo frattempo volsi alla figlia maggiore lo sguardo compiacente, ma non dissi altro per quel momento; terminati i miei interessi quella sera, conclusi di scriverle un biglietto, col quale mettere fine a queste conseguenze (1).

(l) Notisi quest'altra parola usata con sensi speciali.

Era questa la sera che doveva andarvi a spendere, ma sapendo che alla mattina vi era la madre sola in bottega, conclusi di andarvi per il primo e consegnarle il biglietto. Entrai dunque alla mattina seguente, e al mio entrare eranvi già persone; la mia comparsa le aveva recato forse qualche turbolenza, perchè sbagliava a restituire il resto ad una giovane. Questa, accorgendosi, mentre usciva si volse a guardarmi, intanto io mi feci innanzi ed ella mi servì, reprimendo però la sua confusione; io allora trassi il biglietto e consegnandolo così le dissi: "Questo è il conto vecchio, lo guarderà con suo comodo," volendo fingere cogli avventori, che non vi era alcun commercio d'altre conseguenze. La G... ricevendo quel foglio mi rispose: Oh! sì, sì, ed io la salutai, ed ella mi disse: A rivederci. In quel giorno passarono mille pensieri nella mia mente, però la sera, secondo l'appuntamento che feci nel biglietto, io mantenni la mia parola; questo biglietto conteneva le seguenti parole:

"Signora,
I nostri ormai troppo palesi trascorsi, mi fanno un dovere di scriverle queste due righe, a fine di determinare questa nostra interna questione. Se finora non ho mai fatto conoscere il mio trasporto d'affetto verso di sua fig1ia, non è per diffidenza di contraccambio; ma all'opposto stimo assai la sua prudenza e non ho sospetto verso d'altri che ne hanno la confidenza (1) perchè spero siano parenti. Se questa dichiarazione può esserle gradita, la di lei risposta deve aver luogo questa sera alle otto; passando io dalla di lei bottega deve esservi per segnale alla fronte di essa, sua figlia; allora io terrò per certo che mi sarà data la compiacenza di qualche risposta; se non vedrò nessuno, allora passerò innanzi e tutto sarà dimenticato. Queste parole escono dal mio labbro, con dispiacere assai d'avermi demeritato l'attenzione di colei che stimo assai, e che tanto può rialzare la fronte meglio di me. Addio; per ora a rivederci all'ora suddetta."

(l) Si noti questo rimeggio maniaco, diffidenza, confidenza, ecc.

Alla sera mi preparai, e quando furono quasi le otto, sortii di casa facendo una breve passeggiata, m'avviai dunque per quella parte, e nel mentre che imboccava la contrada m'accorsi che una giovane di bella statura e un giovane si trovavano vicini al voltone e tutti rivolti a me; io passava tenendo la mia destra e finsi di fermarmi, ed udii quella giovane che disse: Va dentar no vè! io, come ignorante della sua attenzione (2), la guardai senza però conoscerla e mi risolsi d'andarmene.

(2) Ecco di nuovo la parola usata in senso speciale.

Passando, non vi era nessuno sulla bottega; io non vi guardai dentro nemmeno, che anzi, appena passato, mi si sollevò il cuore (1) in maniera tale che mi sentii più bene di prima; terminata la contrada Rovelecca volsi a mano sinistra, quando a certa distanza vidi tre persone che venivano innanzi; quando furono vicini circa quindici passi, una di queste tre persone, che era la figlia G..., si staccò da loro, e venne passando sul marciapiede; quando c'incontrammo a pari, ella mi guardò. Dopo circa quindici passi sentii che quel giovane, tenendo al braccio l'altra, le diceva: È lui? ed ella con voce più bassa rispose: Sì! io con una svelta passeggiata, ritornando a casa mia, tosto andai a letto. Passarono otto giorni senza che tornassi da quella parte.

(l) Gli innamorati comprenderanno benissimo questa sfumatura delicata di un sentimento qui esageratissimo; la timidezza vince per tal guisa l'attrazione amorosa che si gode di aver sfuggito un incontro pur desiderato.

La sera dell'ottavo giorno passai dalla contrada dei G... che avevano chiusa la bottega, e aveano ancora il lume in stanza; al sentire la mia pedana, spensero il lume conoscendo perfettamente la mia andatura(!) benchè l'avessi cangiata (?!); quando fui per passare sotto la sua finestra sentii che la figlia disse: Addio!...Io proseguiva il medesimo passo senza darmi a conoscere, risolsi di fare l'ultima prova per determinare un fine. Alla mattina seguente scrissi di nuovo una lettera, e circa alle nove gliela mandai per mezzo del medesimo garzone dicendogli: Porta questa lettera alla droghiera in Rovelecca, e dille che la manda una donna che conosce lei e mi ha detto di darle una risposta. Ella ricevendo la lettera rispose al garzone: Per ora non ho tempo, perchè devo andar in piazza, ritorna fra mezz'ora e ti darò la risposta. Il garzone non lo vidi più sino dopo mezz'ora; al suo comparire mi diede nelle mani quella lettera, dicendomi che dopo aver consegnata la lettera egli andò a bottega, e dopo mezz'ora, secondo l'intelligenza, andò di nuovo dalla G... per la risposta, a cui tosto le mise nelle mani quella lettera dicendole queste parole: Prendi, portala indietro e digli no, e guarda di non perdere il biglietto che vi è frammezzo. Io apersi quella lettera e vi trovai il primo biglietto, regalai qualche cosa al garzone e lo licenziai. Presi di nuovo quelle lettere e le lessi quasi dubitando d'aver parlato male, ma dopo d'aver letto, posso dire che non vi erano errori. Restai allora in balìa d'un pensiero dei più furenti; ma pensando che era per me una sciocchezza il sol pensarvi, ne bandii dal mio cuore ogni ricordo, e risolsi di non passare mai più di quella contrada. Dopo qualche tempo, come per istinto e principio, volli passarvi; erano sulla bottega madre e figlia; al mio comparire, fissandomi, lasciarono che io giungessi loro vicino, e quando fui quasi al loro prospetto, dissero: El vien qui. In queste conseguenze (1) comprendeva bene ch'ella mi amava;

(l) Vedi le note antecedenti sulle parole speciali.

ed io soffriva, ma l'idea d'una simile loro condotta mi faceva di troppo imperversare; dimodochè risolsi di abbandonare la patria e andai a Genova; era il martedì dopo le feste di Pentecoste, nell'anno 1862. Ma anche in Genova compresi d'essere inseguìto dai medesimi fautori della G..., e determinai rimpatriarmi. Quando scorso l'estate al declinar dell'inverno, i miei avversari, fautori della G..., incominciarono a perseguitarmi. Amici io ne aveva, ma con tutti conservava il silenzio, anzi di più li evitava, perchè non avessero a parlarmene od istigarmi a vendicarmi (1).

(1) Ecco le ragioni per cui non si trovarono testimoni che attestassero le sue sognate persecuzioni.

Giunsi colla pazienza sino alla stagione del carnevale anno corrente 1866. Quando sentendomi desiderio di vedere l'opera, una sera volli entrare in teatro; al mio comparire nessuno s'accorse; ma dopo otto o dieci minuti due giovani signori venendo disopra mi guardarono per rassicurarsi, se era io o no, e dopo d'avermi conosciuto si staccarono, uno andò a sinistra e l'altro a destra, e accostatisi ad alcuni individui d'una parte e dell'altra susurrando loro all'orecchia, poscia partirono. Terminato l'atto dell'opera, che era la Borgia, incominciossi a destra a gridare: Ceser, Ceser, alla sinistra: punta, punta; Ceser, Ceser, e proseguirono qualche poco, quando dopo due o tre minuti venne disopra un signore, che sembrava ancora uno di quei due, conducendo seco un ragazzo che dalla contentezza saltava e rideva, indicandogli il posto a me vicino; questi venne ad occupare l'esterno della mia banca che era pur vacante, e quel signore se ne andò: dopo tre o quattro minuti quel ragazzo si mise a gridare: Ma poeus no! A quest'infamia (?!!) io avrei fatto degli errori, ma conoscendo che in quel momento sarebbe stata un'imprudenza troppo grave, tacqui e finsi come se non fossi stato io colui a cui eran diretti questi insulti (l); intanto incominciò il secondo atto, e nel medesimo tempo venivano disopra cinque villani, i quali presero posto vicino a me, ed essendo il più intelligente presso a me, cercava che io gli spiegassi l'opera quasi volendo impegnarmi a qualche discussione: io che comprendeva già il loro interno, con poche parole me ne sbarazzai. Al terminar dell'opera, mi levai io, il primo, e poi l'altro villano, a me vicino, dando un pugno sul braccio sinistro al suo compagno; tosto si levarono tutti fingendo niente, ma coll'intenzione(l) di seguirmi; io da costoro mi distolsi egualmente, ma quando fui in fondo della scala e per terminare il corridoio, m'accorsi d'un giovane signore di alta statura, immobile, quasi volesse impedirmi il passo; io m'apersi egualmente la via e andai.

(1) [nota unica con due richiami nella pagina] Nello stesso modo e per la stessa ragione che egli adopera con significato speciale alcune parole, così anche male interpreta quelle degli altri e ne forma quindi punto di partenza di allucinazioni e deliri di persecuzione.

Vaneggiava assai il mio cervello in quella sera, e avrei gettato anche il prezzo della mia vita ad un incontro; ma tosto cadendo il mio pensiero sopra la persona che più mi perseguitava, che era poi un giovane facchino della G..., che era il capo complotto, costui risolsi incontrare. Era la mezzanotte, ed io da solo m'avviai per la contrada così detta dei Mulli, e vidi a certa distanza tre o quattro giovani in perfetto silenzio spiando qualcuno; e questi mi cadè il sospetto che fosse quel tale che cercava io, per cui con passo leggiero e nascosto più che poteva li seguî, ma accorgendosi che poteva esser io quel tale che aspettavano, sparirono lungo la strada, e non li vidi più; io non aveva altra difesa in caso di bisogno che la chiave della porta; l'istinto di quella sera era tale che non avrei temuto il più destro! Mi fermai dunque in perfetto silenzio di fronte alla fabbrica del sego, vi stetti alcun poco e ascoltai una pedana che veniva per l'eguale strada che veniva io; stetti aspettandola per conoscere chi fosse; era un soldato, che passandomi d'innanzi, senza guardarmi, proseguiva avanti; io, che in quel momento vedeva in tutto un mistero, volli seguitarlo, ma in breve lo perdei di vista; fermatomi alcun poco, vidi un giovane di mezza statura che venendo verso di me passò innanzi senza guardarmi e passando il voltone entrò nella prima porta a mano sinistra; io trovandomi in perfetto silenzio mi feci all'egual posto di prima, quando accortomi che quel tale che cercava me, per mezzo d'un fischio, domandava ai genitori la chiave della porta, ed io non sarei stato più in tempo d'eseguire il mio intento, entrai in casa e andai a letto. Questo se n'era accorto della intenzione; e per qualche giorno si ebbe silenzio; ma poi insorse di nuovo e con lui i suoi compagni a poco a poco vennero insopportabili; non solo di sera e sino dopo la mezzanotte, ma anche di giorno il loro canto ed insulto era in moto. Intanto io soffriva ed aveva perduto anche l'appetito, la tosse mi tormentava giorno e notte. Bisogna notare che in quel giorno non solo era tormentato per quell'infamia, ma ancora con rispetto parlando, d'una mossa di corpo che non poteva stare d'un'ora all'altra; irritato in tutte le prerogative (1) d'una tanta persecuzione, io girava per le stanze furioso, delirante, come se non fossi stato ragionevole, immerso in un più straziante pensiero che m'impediva, quasi, il conoscere cosa mi facessi; alfine facendo per coricarmi, non aveva ancora fatto il letto, e pensando a questi insoliti eventi di cui non era altri la causa che la G..., decisi vendicarmi ad ogni costo; e armatomi d'un coltello da cucina m'avviai alla mia avversaria, quando giunto alla contrada mi sovenne alla mente la giustizia, e ristetti alcun poco sul pensiero, ma quando vidi Zos., il loro competitore che usciva di quella casa guardandomi, allora non vi fu più ritegno e un certo istinto m'invase a vendicarmi!... Entrando in quella bottega ella venne ad incontrarmi... ed io mi vendicai.

(1) Altra parola speciale; notisi l'infermare del fisico che procede parallelo al psichico - e si noti come qui assai bene spicchi che il maniaco può avere coscienza del proprio delirio.

Senza perdermi in tante parole, voglio solo notare che, trovandomi fuori di porta Milano, mentre fuggiva a certa distanza m'accorsi d'essere inseguìto da' miei nemici; io era armato ancora del medesimo coltello, e un certo istinto m'invase a fare ritorno, ma conoscendo che avrei commesso nuovi delitti, deliberai di andarmene. Impossibile sarebbe il descrivere questo viaggio, essendochè dimenticai tante cose. Giunto alla strada ferrata, volsi a mano destra coll'idea di montare egualmente il vapore alla stazione della Certosa, ma benchè privo di forze, chè mi sentiva male assai, giunsi alla stazione che erano soltanto le nove che suonavano appunto in quel luogo, bisognava aspettare troppo, per cui volli andare; la sera era fredda e cattiva, la strada mi riesciva difficile al camminare, la stanchezza mi sorprese, e incominciai a coricarmi sopra un montone di ghiaia, ma tosto sorpreso dal sonno, in quel mentre sembravami sentire d'essere inseguìto dai carabinieri a cavallo per quella strada; balzai in piedi e guardandomi indietro, e a questo scompariva il rumore, e tergendomi la fronte dal sudore proseguiva a camminare; una voce dispersa per la campagna sembrava gridare: Ceser!... Ceser!... ma conoscendo che questa era illusione, tanto più che sentiva alla mia sinistra, cioè sulla strada di Milano, la voce naturale dei miei avversari, che gridando gli eguali termini insolenti di prima mi perseguivano, compresi che questo era effetto della mia debolezza (1), e riassumendo, per quanto poteva, le mie forze, proseguiva avanti. Non saprei indicare la maniera che mi sentiva allora, se fosse il sonno o la stanchezza che opprimeva i miei sensi, fatto è che dall'alto dietro a me sembravami di sentire un canto infernale, e fra questi una voce che sorpassava le altre, e che fosse quella della uccisa G..., che a questa poi io volgendomi, come non temendo la sua persecuzione in atto furente, essa spariva, lungi, fra le foreste, lasciando sentire moriente il suo canto (2).

(1) È singolare che interpreti un'allucinazione come effetto di delirio e l'altra no.

(2) Che potente eloquenza! L'imparino i retori che scrive bene non chi suda, ma chi sente molto; qui è evidente che cresce la forza e la bellezza, dirò, selvatica, dello stile, in ragione della maggior energia e terribilità delle impressioni naturali o morbose che fossero.

Passando quest'illusione, sembravami vedere, alla distanza circa venti passi, un'ombra di smisurata grandezza, che immobile guardandomi tosto spariva, e io proseguiva avanti; poi sentendo che veniva il vapore, procurato di acquistare più terreno che poteva e mi coricai per non essere veduto; il vapore passò; ed io sognava quanto mi sarebbe stato caro il poter esservi sopra, ma tosto ripreso d'un forte pensiero d'aver perduta la mia felicità a cagione d'una tanta infamia per cui doveva tanto soffrire, un gesto di disperazione mi fece proseguire più svelto avanti; di tratto in tratto sembravami di vedere come tante piante e su queste arrampicati alcuni uomini che mi guardavano, e alcune fra queste si piegavano a me dinanzi; ma tosto fissandole sparivano. Ma non spariva però quella voce infernale che mi seguiva, anzi al mio volgersi sembrava resistere alla mia furente insistenza, e tutto ad un tratto facendosi sentire più lontano, poscia si allontanava lasciando sentire più forte il suo grido, ed io proseguiva avanti; a certa mutazione di strada, non so se fosse la mia vista o il cielo che si oscurò, fatto è che non vedeva bene la strada, e tante volte mi trovai nei pericoli per cui bisognava proseguire il centro della ferrata che non era tanto bello, ma la stanchezza e il sonno mi tormentavano e un freddo sudore in tutto il corpo faceva sì che mi coprissi bene col mio mantello a fine di non prendere del male, e così involto mi coricava traverso ai montoni di ghiaia che pur erano lungo la strada, ma non potendo però affidarmi per il sonno che subito mi prendeva; le illusioni sparivano se abbassava il capo, e rialzando il capo insorgevano (1).

(1) Le allucinazioni evidentemente eran legate alle condizioni del sistema venoso cerebrale.

Finalmente scorsi un lume in un casotto d'un guardiano, e facendomi sentire alla meglio, venne alla finestra un uomo, che domandandomi cosa voleva, mi feci intendere con quel poco di voce che poteva riassumere, se voleva favorirmi dell'acqua; egli venendo abbasso me ne riempì due vasi; dopo mi feci a interrogarlo se vi fosse ancora molto a giungere a Milano, egli mi insegnò una strada che non era molto lunga e per quella avrei potuto entrare in Porta Tosa, ringraziai quell'uomo e partî. Ristorato era lo stomaco, ma non la stanchezza, e forzandomi a camminare giunsi finalmente e andai ad un albergo. Era la mia intenzione di fermarmi a letto per tutto il giorno e poi di sera partire per la Svizzera (1), ove non avrei avuto paura d'essere sorpreso dalla Questura, ma quando fui a letto, che vi andai alle sei circa, e vi restai sino alle nove, accorgendomi non solo di non poter dormire ma nè meno di poter stare quieto, distrussi il mio progetto, e siccome il locandiere apprezzava poco che restassi in cura in casa sua, così andai all'Ospedale Maggiore, e appena guarito, anzi appena levato non feci nemmeno la convalescenza, che subito feci ritorno alla patria alle otto e mezza di sera e mi consegnai alla Questura.

(1) Se egli avesse eseguito il suo progetto quanto non ne sarebbe restata difficoltata la perizia coi metodi ordinari?

COMMEMORAZIONE
del tempo passato in prigione e dei sogni attivi.

Fui introdotto per mezzo della Questura alle tre dopo mezzanotte nelle carceri qui in Pavia; entrai in un camerotto ove erano cinque o sei prigionieri; mi fu deposto un pagliariccio corto, senza cuscino e senza coperta, dicendomi la medesima guardia che m'avrebbe portato le coperte il giorno seguente; egli andò ed io mi coricai sul pagliariccio vestito come ero, e coprendomi alla meglio col mio mantello subito m'addormentai, e parvemi sognando di vedere un lume come sopra di me, dal quale veniva una voce, che diceva: Sei tradito; in questa io mi svegliai, ed in breve venne giorno, incominciò a levarsi uno, si lavò il viso in un piatto d'acqua e si mise a ridere e a far le calze; dopo, a uno a uno, si levarono gli altri e mettendosi a passeggiare per il camerotto facendo alcune parole con me come per sapere il perchè fui arrestato; io mi sentiva tutt'altro che di discorrere, e per meglio distogliermi a questa curiosità mi levai, e lavatomi io pure, mi feci ad accomodare il mio pagliariccio, poscia mi coricai di nuovo per voler dormire, e vedendo che avevo freddo, uno di quei prigionieri prese un suo soprabito e me lo gettò addosso dicendo: Prendi, povero diavolo, copriti se hai freddo. Intanto giunge l'ora della distribuzione del pane, e le guardie aprendo lo ficadrello, dissero: Quanti siete? uno rispose: Siamo in sei, perchè n'è entrato uno in questa notte, e guardandomi stesero a me pure il pane come agli altri. Io, fresco di malattia come era, non avrei potuto mangiare di quel pane nero e asciutto, ma l'appetito mi serviva e incominciai a mangiare; dopo poco venne una guardia e un signore, che non distinsi per allora chi fosse, ma che era il signor direttore delle carceri, e aprendo le sicure, che noi chiamiamo usci, mi domandarono perchè doveva cambiare il camerotto; tosto li seguî, e in quel mentre il direttore mi domandò perchè io fossi stato arrestato, e come dubitando della sua domanda, io risposi: Averlo già notificato la sera antecedente alla Questura; egli voleva interrompermi di nuovo, in maniera di farmi intendere che era in tempo di riparare a ciò che avea detto prima dicendomi: Ma se dicono che l'uccisore è uno un po' più grande di te ed ha i mustacchi più folti; io, come impaziente, procurai di distoglierlo, ripetendo come prima, e rientrai nell'altro camerotto al numero XI. All'entrare in quel camerotto si dimostrarono allegri i cinque che erano dentro, ed io mi sentiva un poco più sollevato perchè erano d'una età poco più, poco meno della mia; passai tutto il giorno e la notte, e il giorno appresso fui chiamato a nuovo esame; entrai nel consesso, e apprestatami una scranna mi fu detto di sedere, ed ebbi a soffrire, con dispiacere, il disonore (1) di vedermi dalla guardia a legare un piede colla catena che era attaccata al muro; stetti per tre o quattro minuti, solo, in perfetto silenzio, quando entrarono il Giudice Istruttore ed il suo scrivano, e sedendo lo scrivano, il Giudice restò in piedi; nell'egual tempo entrarono due signori, che non conobbi, ma che erano due medici, i quali appoggiandosi al tavolo alla mia destra mi fissarono lo sguardo; in breve entrò un altro signore, che non conobbi ma che sembrava un altro Consigliere; si unirono, tutti a loro volta parlando fra di loro, facendo girare l'astuccio, in cui era stato dentro il coltello, così diceva quel signore che sembravami un altro Giudice: Sì, ma doveva essere tanto di meno; in breve, terminato il loro colloquio, se ne partirono gettando a me uno sguardo non dispiacente, tosto rientrarono e di nuovo nella medesima posizione di prima, cioè il Giudice a sinistra e i medici a destra atteggiati come prima; il Giudice cominciò ad interrogarmi, ed io risposi a quelle domande come prima alla Questura senza punto diversificare in nessun modo. Terminato l'esame, partirono i medici e fra poco il Giudice e lo scrivano. Restai solo per tre o quattro minuti, e poi venne la guardia, che slegatomi il piede mi restituì al camerotto, e al mio entrare i compagni erano in aspettativa di sentire il risultato del mio esame; ma io, sentendomi tutt'altro che la volontà di parlare, mi coricai sul pagliariccio e stetti in silenzio; intanto gli altri incominciarono a cantare, come per sollevarmi de' miei pensieri.

(1) Si notino queste espressioni che indicano quanto fosse vivo il senso dell'onore nell'infelice.

Passò il giorno e la notte, e il giorno seguente fui visitato dal medico del locale, che toccandomi il polso mi disse: Oh, è niente, è niente, in un qualche modo significante; io però alla vista altrui fingeva di non intendere, e visitandomi un altro giorno, allora aveva un poco di febbre, ma però perchè avessi a intender meglio (1) mi disse se aveva mangiato, io risposi di sì: tanto? egli diceva, ed io: sì, tanto; aggiungendo di nuovo: oh, è niente, è niente; ma credendo forse il medico che non l'intendessi, si prevalse, per meglio rassicurarmi (1), del signor professore Scar. [aggiunto a mano: enzio] il quale un giorno, quasi a sera, fingendo di venire a visitare i carcerati, entrò pure nel mio camerotto, e per mezzo della guardia, che lo accompagnava, si fece a dire se vi era qualcheduno che volesse farsi visitare; egli al suo entrare non guardò a me, fingendo come di non conoscermi, e non essendovi alcuno, mi feci innanzi io, che facendomi visitare per un male di gola che aveva, egli mi guardò, e poi per trovare qualcosa a dire rispetto agli altri, mi disse: Ah! è un dente guasto; e questo non era; ma per farmi intendere con maggior certezza dicendo la parola non è niente, e andò subito certo che l'avessi inteso.

(1) [nota unica con due richiami nella pagina] Qui si comincia a veder bene come egli per un'altra sua allucinazione psichica intravvedesse nei medici periti altrettanti fervidi difensori - con un errore affatto omologo a quello per cui vedeva tanti nemici, o tante innamorate in persone che non lo conoscevano nemmeno. - A questo errore devesi che egli abbia aperto loro l'animo suo, mentre il tenea chiuso ai compagni ed amici.

Era sul principio anche tranquillo nella mia posizione stando ad aspettare qualche successo, e intanto venivano i medici, che furono presenti all'esame, ad interrogarmi sopra cose aderenti, e anche essi lasciavano travedere le mie speranze; quando un giorno m'insospettî d'una visita degli eguali medici, che facendo aprire il camerotto per mezzo d'una guardia, dimandarono fuori un detenuto, e interrogatolo compresi che si parlava di me, dicendo se parlava bene o male, se andava fuori in qualche parola; il rispondere del detenuto non lo sentî; entrò quello e ne uscì un altro che credo tenesse l'eguale tenore di parole e poi rientrò, e fui chiamato io, che passeggiando con loro nel corridoio, e facendomi a discorrere per circa otto o dieci minuti, essi andarono, ed io entrai di nuovo nel mio camerotto.

Siccome tutte le sere veniva la visita, dopo questa visita fui consigliato a fare da matto più dagli altri che dalla mia volontà, conoscendo bene che questo era per abbreviare ogni conseguenza. Io cominciai dunque a fare una sciocchezza al giungere la visita dopo mezzanotte; all'entrare le guardie mi levai su come sorpreso, e guardando all'entrata ove s'era fermato il vice-custode a lui feci domanda: Se non era venuto mio zio a prendermi perchè voleva andare, essendo d'intelligenza con lui, che sarebbe venuto a prendermi; egli a queste parole, non aspettandosi un simile incontro rispose: Soltanto domani; io soggiunsi, No, no, siamo intesi che viene adesso. Egli non rispose più nulla, e la guardia, che aveva il lume, mi venne vicino per guardarmi più attentamente, e io fissava il lume, sdrucciolandomi li occhi, facendo come d'essere sorpreso sognando; essi poi se ne andarono e al domani vennero i medici istruttori, come mi furono indicati per tali, e una guardia aperse il camerotto, e io m'incontrai in loro che facendomi girare per il corridoio, interrogandomi, io rispondeva in qualche modo alla meglio che poteva con delle sciocchezze (1). In fine, dopo aver girato qualche poco, entrammo nel consesso, e sedendo tutti e tre, mi fecero confessare di nuovo, nell'esame, il delitto, e poi dopo qualche intervallo mi dissero se conosceva il signor Vicario e il sig. prof. Scarenzio e il signor prof. Platner. Io a questa revisione, notai per mezzo di quei signori istruttori e protettori, tre avvocati della mia causa, fu motivo per cui ebbi speranza di tutti i miei successi.

In questi giorni notai, che appena svegliati i miei compagni si contavano i sogni che facevano alla notte, e rallegrandosi alcune volte che fossero buoni per la loro causa, diceva io: Sono sciocchezze che i sogni abbiano a predire qualche successo riguardo alla nostra causa. Ma si fece a parlarmi uno d'un sogno che fece un'altra volta in altra prigione, e che fu trovato da un altro più vecchio dell'egual prigione non solo per buono, ma che sarebbe uscito presto, solo che doveva stare in guardia perchè era in pericolo di cadervi ancora; ed infatti così avvenne; il giorno addietro fu lasciato libero senza dibattimento, e dopo 24 giorni venne arrestato di nuovo, per cui misi attenzione ai miei (2).

(1) Si rimarchi questa curiosissima e detagliata [sic] descrizione dei propri tentativi di manìa simulata.

(2) Si veda come ci voglia tutta la forza dell'imitazione unita all'influenza grande che hanno nei pazzi per la loro speciale vivezza i sogni per annebbiargli il giusto sentiero della logica e del raziocinio, che lo fanno inclinare a non dar loro importanza. - È un fenomeno simile a quello di Cardano che non credeva ai santi e poi credeva esser posseduto da un genio.

Il primo sogno che feci fu di vedere, mentre sapeva di dormire, sotto alla mia finestra, un giardino, e che vedendo a fioccare, diceva a me stesso: abbiamo passato l'inverno senza vedere la neve, ed ora che siamo così avanti fiocca così tanto. Il raccontai alla mattina, e si interpretò che si faceva passare le mie carte. Io però lo consultava ad altro modo.

Un'altra notte fu egualmente; e mi pareva ne venisse così tanta e a grossi fiocchi, che essendo spinta dal vento entrava persino nella finestra, e sembravami di discorrere con persone di quella novità. Un'altra volta mi sembrò di sentire a piovere e appena cessata l'acqua incominciò la neve e ne venne assai; alla mattina appena svegliato conobbi infatti che era piovuto e non poteva essere che avessi sentito, perchè anche i guassaroni (gli scrosci) non si poteano sentirli. Un'altra notte sembravami d'essere dietro la riva del Ticino, che essendo accresciuta molto l'acqua, io mi trovava sopra un pavimento di legno, sopra l'acqua, mal connesso, e che avendo fra le braccia una ragazzetta collo sguardo precisamente della figlia G... sempre intenta a guardarmi in viso, io la portava con qualche piacere, e passando il ponte, e poi voltandomi a sinistra mi trovai in piazza piccola per andare a basso a Rovelecca dalla G... Ivi, non trovando alcuno, volsi per Borgoratto, e prima di giungere al dazio vi era una bottega da droghiere, dalla quale mi veniva incontro la figlia a ricevere sua sorella. Sognando un'altra volta mi sembrò di trovarmi come in un'ortaglia che era quasi tutta distrutta, nella quale mentre faceva per discendere, come da una collinetta, vidi due alberi tagliati al piede e stesi a terra; in pari tempo trovai a me dinanzi una mia cugina e mi faceva a darle due o tre pizzicotti, mentr'ella non diceva niente; nell'egual tempo sembravami di vedere degli uccelli piccoli e grossi, taluni a terra e specialmente uno grosso che sembrava morto del tutto; io come nel passare lungo quell'ortaglia presi un uccello vivo non tanto grosso, ma molto pesante e tenendolo per la mano destra, colla sinistra lo accarezzava, ma egli appena s'accorgeva che lo mollava un poco, tentava di fuggire; io, per meglio acchetarlo, lo stringeva di nuovo, e carezzandolo gli metteva in bocca il dito, tanto egli era mansueto e quieto come un angelo, solo aspettando di poter fuggire; ma invece volsi indietro, e essendovi la padrona della casa a guardarmi, io mi volsi a lei, le consegnai l'uccello, cui essa, guardandomi e sorridendomi, accettò, ed io andai.

Per ultimo sembravami d'essere nella stanza stessa ove entrai quando uscî dagli Orfani; mi trovava appoggiato al mio letto tenendomi la testa sopra il palmo della mano come meditando e collo sguardo rivolto all'uscio; di lì a poco venne dalla sinistra dell'altra stanza una donna, che sporgendo in fuori d'un finestrolo un braccio, avendo fra la mano un involto di panni, invitavami a prenderli per vestirmi da pazzo; a questa vista feci per gridare, ma non poteva; ed ella insisteva, e io continuando come a voler gridare, a poco a poco m'accorsi che dormiva, e provando in quel momento come di aver paura per una certa sospensione di favella, infine mi svegliai gridando no, che i miei compagni, accorgendosi di me, mi domandarono cosa c'è, ed io mi svegliai.

Un'altra notte sembravami d'essere accompagnato con un uomo che, standomi a destra, portava sulle spalle una cassa da morto, e trattenendosi in qualche confidenza, venivamo dalla parte di San Siro, traversando la piazza dell'Ospedale, e avvicinatisi ambedue alla propria porta, a sinistra, dove vi era una finestra a cantina senza ferrata; il mio compagno calò la cassa entro quella cantina in maniera che la si vedeva ancora per l'estremità appoggiata all'apertura, e dividendoci l'uno dall'altro io ritornai per l'egual strada, e l'altro andò per quella contrada di fronte alla porta suddetta. Passava in seguito i miei giorni sul principio anche non male, quando un giorno fu cangiato dal mio camerotto un detenuto, e ne entrava un altro; alla vista di costui sembravami già di dover urtare contro di un nemico, come fu. Siccome io era solito alla visita del custode e sotto custode a fare qualche parola leggiera, così accortosi costui mi disse: Sin tanto che le cose vanno così, come a dire: Sarai in bilancia; io facendo l'indifferente a questa sua prerogativa (1), egli tosto infuriò di presunzione facendomi conoscere che era nelle mani degli Italiani, dicendomi: Sei giunto anche tu nelle mani de'tuoi carnefici! - Carnefici! e perché? soggiunsi io, non vi è forse giustizia? - Giustizia! egli disse ridendo: bisognerebbe che venissero i Tedeschi, allora sì ci sarebbe giustizia. - Forse che l'Austria, diceva io, non punisce i malfattori coi rigori aderenti ai loro delitti? - Sì, mi disse, egli è vero, ma non rigorosamente come questi che condannano la gente senza prove. Io (2) nel mio interno rispondeva: Sì, perché foste abbastanza mariuolo a nasconderle.

(1) Vedi note precedenti sulle parole speciali.

(2) Che singolare contrasto! Quanto non ti par migliore il pazzo del reo!

Un altro, che era pavese, soggiungeva: Sì, gli Italiani da m...a condannano anche senza prove; e si metteva a fare l'analisi della sua vita, delle varie volte che fu condannato, e aderendo l'altro a favore dell' Austria, terminavano i loro discorsi col desiderio di vederli ancora.

In questi giorni correva voce, anche in prigione, che vi era la guerra; il loro affannarsi non era altro che di poter vedere i Tedeschi di nuovo nei possessi di prima, sembrando loro che appena avessero a giungere aprissero le prigioni. Ma a questo soggiungeva io: Se invece vincesse l'armata italiana non avreste speranza d'ottener grazia egualmente? - Dagli Italiani, dicevan loro, speri tu grazia? Ci sei giunto anche tu, devo pur vederti, spero d'esser qui ancora. - Sì, sì, va bene, va bene; e così troncava io quel discorso così urtoso, facendo l'indifferente, non avendo bisogno di guadagnarmi dei nemici anche in prigione.

In quel mentre, per scurtare (1) la mia prigionia, feci di notte maggiori stravaganze, volendo credere che avrei più presto a terminare un tanto tormento, e non aveva altro desiderio che di poter vedere i medici, perché altre persone non ne venivano, perché almeno parlava con persone ragionevoli.

(1) Per accorciare.

Di tanto in tanto veniva il signor professore L..., e usandomi confidenza assai m'apriva il cuore alla contentezza, ma dopo terminata la sua visita rientrava di nuovo ne' miei tormenti. Intanto passai qualche tempo, e conobbi che anche il signor direttore delle carceri, quando veniva in visita, era intenzionato egli pure a giovarmi in ogni modo, che appena entrava veniva interrogandomi sui tratti ch'io fingeva di demenza, e fingendo di credervi, se ne andava lieto per me. In questo mentre per le stravaganze aumentate di notte da alcune guardie fu fatto risentimento quasi di minacciarmi; e subito dopo venne il professore L..., e parlandomi in disparte, mi disse di non fare delle stravaganze e di non stare a rompermi tanto la testa, che mi farebbero uscire egualmente.

Di questo non dubitava già, ma essendo troppo istigato dai miei compagni, come pure da quelli che venivano, in cortile, a prendere l'aria assieme, feci in modo, per farli tacere, di disturbarli anche loro, mentre dormivano, gridando, nel mentre veniva la visita dopo la mezzanotte; così terminava collo svegliarli, che dopo non potevano più prendere il sonno. Passai in questo frattempo dei giorni assai tristi, e questo accadeva perché pensando che aveva tanto per il passato orrore per la prigione e che aveva evitato tutte le conseguenze per una simile sventura; questi pensieri infuriavano i miei sensi e mi veniva tanto la testa oppressa che sarei divenuto matto (1), davvero, se non mi avesse sostenuto il ricordo de' miei protettori; e siccome quasi tutte le notti faceva dei sogni, così mi prendeva piacere ad esaminarli, trovando in essi segni della mia certa libertà.

(l) È curiosa questa osservazione sua che conferma come un vero matto può credersi ed affermarsi matto; - il che basta a distruggere un'opinione contraria invalsa nelle plebi e nei psichiatri che tengono ciò per una prova probabile di simulazione. E questa non è la prima; si rilegga a pagine 76, 78.

Intanto si finse ultimare le prove della mia malattia; intervennero tutti e tre i signori professori periti, facendomi provare la mia forza, certo per confermare la mia finta malattia. E la giustizia composta da Italiani da m...a, come dicevano i miei compagni del camerotto, si preparò a ordinare un brum il bel giorno di Pentecoste, e due uomini, che sembravanmi impiegati, facendosi annunziare per mezzo delle guardie delle carceri, chiesero di me; tosto una guardia aperse il camerotto domandandomi di seguirlo. Montai sul brum e giunsi in breve all'Ospedale dei pazzi, e questi che m'accompagnarono, salutandomi, se ne partirono, e io entrai assieme agli altri qui dove sto meglio della prigione.

Dal Manicomio di Pavia, il 22 novembre 1866.

Questa autobiografia del Farina, che noi lasciammo in tutta la sua integrità, meno qualche ripetizione e qualche errore d'ortografia, mi sembra uno dei più preziosi frammenti della anatomia patologica del pensiero. Essa prova, con tutta evidenza, potervi esistere allucinazioni con la conservazione di tutte le altre facoltà psichiche, istinto irresistibile colla coscienza della gravità dell'atto, come già accennò il nostro Herzen nelle sue belle pagine sul Libero arbitrio.

È singolare, poi, che un uomo, non avvezzo alla coltura letteraria, abbia potuto esprimersi con tanta chiarezza e spesso con tanta eloquenza, e che vi mostri tanta tenacità ed esattezza di memoria, da ricordare la grossezza di un sapone comperato 3 o 4 anni fa, da ricordare dopo anni, dei discorsi, sogni, luoghi, nomi proprî, che pochissimi sani ricorderebbero dopo pochi giorni; e, a proposito dei sogni, di cui molti dovetti omettere perché egli ne avrebbe riempito delle risme di certo, è notevole la grande vivacità della loro riminiscenza, vivacità non comune nell'uomo sano, la quale ben accusa l'importanza patologica che assunsero nell'infelice.

Ed è notevole l'assennatezza, con cui cerca combattere il pregiudizio del prognostico dei sogni, comune ai suoi compagni di carcere, e come egli finisca per cedervi più per una forza d'imitazione, che per quella supina e passionata ignoranza, a cui essi, senz'esser alienati, erano più inclini di lui. E quanto non si eleva l'infelice al confronto dei più sani, ma più tristi colleghi di carcere, quando ad essi che rimpiangevano l'Austria, quasi l'Italia fosse più ingiusta ne'suoi giudizî, obbiettava: "E forse che l'Austria non condanna anch'essa i birbanti?"

È pur curioso ch'egli avesse qualche volta la completa coscienza di alcune sue allucinazioni - e d'altre no - e come avvertisse il loro aggravarsi colla stanchezza, colla debolezza, coll'alzar il capo, avviso ai medici salassatori ed agli spiritualisti. E non è notevole pure, il vedere ch'egli chiami istinto l'impulso omicida, quasi si fosse consultato con un psicologo dalla vecchia scuola alemanna - e che abbia tanta coscienza della gravità dell'atto - che per poco non si arrestò al pensiero della giustizia e che il pongesse sì forte il disonore della catena e la compagnia dei carcerati?

Si saranno notate le molte parole ch'egli adopera nel suo manoscritto con sensi tutti suoi, come: prerogativa, diporto, insistenza, ecc., che sono caratteristiche della forma monomaniaca.

Ma per la medicina legale molto interessa il vedere come ci confessi che aveva tutto disposto per andare in Isvizzera, se non fosse stata la stanchezza ad impedirlo e la tema di essere inseguìto dalla caterva de'suoi nemici. Se si fosse calmato, subito, il parossismo allucinatorio e gli fosse riuscito di fuggire in Svizzera, quanto più difficile per il non psichiatro poteva riescire il giudizio sulla realtà dell'alienazione?

Quanto alla simulazione della manìa egli avea preso ad imitare una forma la cui simulazione era più facile, la manìa allucinatoria istintiva e notturna; - il modello lo trovava forse in sè medesimo: ma non è egli notevole il vedere che se non gli fosse venuta la stramba convinzione, che noi medici volevamo proteggerlo ad ogni costo, egli avrebbe continuato a fingere anche davanti a noi? Ad ogni modo senza questo inaspettato soccorso non correvamo noi il pericolo o di crederlo maniaco quando non l'era o di crederlo simulatore anche allora quando esso più non fingeva? Nuova ed eloquente prova del poco valore che hanno i giudizî peritali basati sulle facoltà psichiche; giudizî che non seguono la nuova scuola psichiatrica esperimentale (l).

Chi alla lettura di queste strane pagine può dubitare, più, che vi sieno casi, in cui la pazzia dà agli intelletti volgari un lievito sublime che li solleva dal livello comune?

(l) Vedi Klinische Beitrage zur Psychiatrie, von dottor LOMBROSO. Leipzig, 1869, O. Wigond, p. 12, 18, 80.


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