II
Fisiologia degli uomini di genio ed analogie colla pazzia.

Per quanto il paradosso sia crudele e doloroso, pure esaminandolo anche da alcuni punti di vista sfuggiti a questi ultimi, non è privo, come parrebbe in sulle prime, di fondamento.

Ed infatti, moltissimi degli uomini d'ingegno ebbero parenti o figliuoli epilettici, idioti o maniaci. - Federico il Grande ebbe il padre e Johnson la madre, alienati. Pietro il Grande avea un figlio bevitore, maniaco; la sorella di Richelieu fantasticava di avere il dorso di cristallo e quella di Hegel si credeva convertita in un piego di posta; quella di Nicolini si diceva dannata per l'eresia del fratello, e tentò più volte di colpirlo. La sorella di Lamb uccise, in un accesso di delirio, la madre.

Carlini, Mercadante, Donizetti, Volta ebbero figli, Villemain padre e fratelli, Kant la sorella, Perticari Puccinotti il fratello, colpiti dalla follia, D'Azeglio, ch'ebbe un nonno ed un fratello mezzo alienati, ci lasciò scritto come corresse quasi proverbialmente per Torino che: i Taparel a l'an nen le grumele a post.

Molti di questi forti pensatori sono soggetti, come i pazzi, a strani ticchi, a gesti smodati, coreici; così narrasi di Lenau e di Montesquieu che lasciassero sul mattonato della loro stanza l'impronta del piede, convulsamente agitato, mentre scrivevano; Buffon, un giorno, s'arrampicò, immerso ne' suoi pensieri, sopra un campanile e ne discese per le corde, sempre inconscio di sé, come un sonnambulo. Santeuil e Crebillon faceano le più strane contorsioni del volto (l). Napoleone soffriva una abituale convulsione della spalla diritta e delle labbra, e, quand'era in collera, dei gastronemi. "La mia collera, confidava egli un giorno dopo un alterco con Lowe, deve essere stata ben grande, perché sentii la vibrazione de' miei polpacci, il che da gran tempo non mi era accaduto."

Pietro il Grande era soggetto a un ticchio convulsivo, che scombujavagli, in modo orrendo, il volto e lo sguardo.

Ampère non poteva esprimere i suoi pensieri che passeggiando e movendosi con tutta la persona (Arago, II, p. 87).

È noto come i fosfati, subito dopo l'accesso maniaco (2), aumentino singolarmente nell'orina; ebbene, essi raddoppiansi, appunto, anche dopo intense occupazioni intellettuali. - Già il Golding Bird aveva notato, anni sono, come un predicatore inglese, il quale oziava tutta la settimana, e solo la domenica scervellavasi a predicare, trovava, singolarmente, aumentati in quel giorno i depositi di fosfato urico, che scarseggiavangli, invece, nel resto della settimana. - Più tardi lo Smith, con ripetuti esperimenti, convalidava il fatto, che sotto ogni sforzo intellettuale crescono i fosfati dell'orina, e così confermavasi, da un lato, la divinazione di Moleschott sull'importanza del fosforo per l'atto del pensiero, e ci si offriva, dall'altro, un punto di analogia assai nitido e preciso fra l'alienazione ed il genio.

(1) Reveillé Parise, Physiologie et hygiène des hommes livrés aux traveaux de l'esprit. Paris, 1856.

(2) Questo fatto venne verificato pure in larga scala nella mia clinica. Vedi Sulle orine degli alienati di C. Lombroso. Napoli, 1864.

Questo sperpero dei fosfati, e più ancora quella legge di compenso delle forze e della materia, che domina in tutto il mondo vivo, ci spiega dell'altre analogie, più singolari, come la precoce canizie e calvizie, e la macilenza del corpo e la scarsa attività genesica e muscolare, che sono proprie degli alienati, e che pur assai di frequente occorrono nei grandi pensatori. Cesare temeva le faccie pallide ed ischeletrite dei Cassii. D'Alembert, Fenélon, Napoleone nel fior degli anni erano magrissimi. Di Voltaire, scrivea Segur: "La sua magrezza mi ricordava le sue fatiche; il suo corpo sottile e curvo non era più che un inviluppo lieve lieve, quasi trasparente, attraverso a cui ti sembrava vedere la sua anima ed il suo genio."

Il pallore fu detto il colore dei grandi uomini - pulchrum subliminum virorum florem (S. Gregorio, Or. XIV).

I pensatori hanno comune coi pazzi anche, la costante iperemia del cervello, il maggiore caldo del capo e il freddo all'estremità - e la tendenza alle malattie acute del cervello - e la minore sensibilità agli stimoli della fame e del freddo; essi dividono coi monomaniaci la strana abitudine d'inventare delle parole speciali o delle frasi a cui annettono un tutto loro significato, come certo era vezzo di Vico, Marzolo, Bacone.

Anche del genio, pur troppo si disse, come del pazzo, che nasce e muore solitario, freddo, insensibile agli affetti di famiglia e ai convegni sociali. Michelangelo spesso ripeteva: Io ho troppa moglie che è quest'arte. Goëthe, Heine, Byron, Cellini, Napoleone non dissero, ma fecero peggio.

Né fu raro il caso, in cui, quelle cause, pur sì frequenti, dell'alienazioni, che sono le malattie ed i traumi del capo, mutarono, invece, in uomo di genio un'esistenza più che volgare. Vico cadde da una scala altissima, nell'infanzia, e n'ebbe fratturato il parietale destro. Gratry, mediocre cantore, da prima, divenne famoso maestro dopo che una trave gli fracassava la testa. Mabillon, imbecille da giovine, riescì quel grande che tutti sanno in seguito ad una ferita del capo; Gall che lo racconta conobbe un Danese mezzo idiota, divenuto intelligentissimo dopo che, a 13 anni, capitombolò da una scala colla testa all'imbasso (1); pochi anni sono un cretino di Savoia, morso da un cane idrofobo, divenne intelligente negli ultimi giorni della sua vita.

È verissimo, d'altronde che nulla somiglia più ad un matto, sotto l'accesso, quanto un uomo di genio, che mediti e plasmi i suoi concetti. - "Quest'ultimo ti si mostra, per adoperare le parole di Reveillé Parise, col polso piccolo, contratto, colla pelle pallida, fredda, la testa calda, bollente, gli occhi lucidi, iniettati, stravolti. Finito il tempo di comporre, spesso l'autore medesimo non comprende più quanto poco prima dettava."

- Molti, anzi, per meditare si pongono, artificialmente, in uno stato di semi-congestione cerebrale, come Pitt e Fox, che preparavano i loro discorsi dopo eccessi di porter, e Paisiello che componeva nascosto da un monte di coperte; Milton e Descartes ravvoltolavansi la testa nel canapè, e Bossuet si ritirava in una stanza fredda, coperto il capo di caldi pannilini; Cujas lavorava supino, ventre a terra, sul tappeto. Di Leibnitz si disse che meditava orizzontalmente; tanto quella posizione del corpo gli era necessaria al lavorio del pensiero. Anche Thomas e Rossino [sic] componevano stando sul letto. Rousseau meditava, scoperto il capo, in pieno meriggio (Arago, Oeuvr., III).

Tutti questi sono mezzi ìstintivi, che aumentano, momentaneamente, la circolazione del capo, a spese di quella delle membra.

(l) Phisiol. du Cerveau, p. 21.

La nostra Milli, nel gettar fuori, quasi involontarî, quei suoi meravigliosi versi, s'agita, grida, canta, percorre un lungo spazio di terreno, e quasi si direbbe in preda ad un accesso di epilessia. Parecchi fra gli autori, che studiarono sé stessi e parlarono del loro estro, ce lo dipinsero come una dolcissima febbre, durante la quale, il loro pensiero diviene involontariamente e rapidamente fecondo, e scoppia come scintilla da tizzone squassato.

E ben l'espresse Dante in quei tre stupendi suoi versi:

...I' mi son un che, quando
Amore spira, noto ed in quel modo
Che detta dentro vo significando.

Napoleone diceva, che la sorte delle battaglie è il risultato di un momento, di un pensiero che giace latente; il momento decisivo si mostra, la scintilla scoppia e si ha la vittoria (Moreau).

Le più belle poesie di Kuh, dice Bauer, furono dettate in uno stato intermedio tra la pazzia e la ragione; in quei momenti in cui esso dettava strofe sublimi era incapace del più semplice ragionamento.

Lo scrivere, dettava Foscolo in quel suo Epistolario, che è il più bel monumento della sua grand'anima, lo scrivere, dipende da una certa amabile febbre di mente, ed uno non l'ha quando vuole (1). - "Scrivo lettere non per la patria, né per la gloria, ma per la secreta gioia che emerge dall'esercizio delle nostre facoltà, che hanno bisogno di muoversi, come le gambe di passeggiare."

(1) Berni: La poesïa è come quella cosa...
Che si rizza a sua posta e leva e posa.
p. 111, Milano, 1864.

Goëthe ripeteva, spesso, essere una certa irritazione cerebrale necessaria ai poeti, e molti dei suoi canti essere stati dettati da lui in uno stato simile al sonnambolismo.

Klopstock confessò d'aver attinte in sogno molte ispirazioni del suo poema.

Voltaire fece, in sogno, una delle cantiche dell'Henriade e Sardini una teoria sul Flageolet e Seckendorf quel bellissimo canto, sulla Fantasia che riflette nell'armonia la sua origine (1).

Newton e Cardano sciolsero in sogno alcuni problemi di matematica.

Il Kubla di Coleridge, la Phantasie di Holde furono composte in sogno.

Mozart confessava che le invenzioni musicali gli venivano involontarie, come vengono i sogni. E Hoffmann, ripeteva sovente agli amici: "Per comporre, io mi metto al piano e chiudo gli occhi e copio ciò che mi sento dettare dal di fuori" (Schilling, Psychiat. Briefe, p. 486, 1863).

Lagrange sentiva farsi irregolare il polso mentre scriveva e ad Alfieri si oscurava la vista.

Lo stesso Alfieri che si diceva un barometro, tanto variava di capacità nel poetare, secondo la stagione, a settembre non ebbe forza di resistere ad un nuovo, o meglio rinnovato impulso naturale fortissimo, che gli si fece sentire, per più giorni; ei finalmente dovette cedergli, scrivendo sei commedie ( Vita ).

(1) Holde susze Phantasie
Immer wirksam immer veg
Dank sei deinem Zauberbildern
Die mein hartes Schiksal mildern
Dank dir, ec.

I concetti più grandi, dunque, dei pensatori, preparati, per dire così, dalle già ricevute sensazioni e dallo squisitamente sensibile organismo, scoppiano d'un tratto, - svolgonsi quasi involontarî, come gli atti impulsivi dei maniaci. Si notò che quasi sempre questi grandi concetti dei pensatori si organarono sotto al tocco di una sensazione speciale, la quale faceva, direi, l'ufficio della goccia di acqua salata in una ben allestita pila voltaica. È un fatto, che tutte le grandi scoperte furono occasionate, come nota Moleschott (1), da una semplice sensazione. Alcune rane, che dovevano fornire un brodo medicato alla moglie di Galvani diedero origine alla scoperta del galvanismo: il moto isocrono d'una lampada, la caduta d'un pomo ispirarono i grandi sistemi di Newton e di Galilei. Alfieri compose od ideò le sue tragedie, nel sentire musica o poche ore dopo. Anche Milton, Bacone, Leonardo e Warburton avean bisogno di sentir suonare per porsi al lavoro; Bourdaloue strimpellava un aria sul violino prima di dettar un dei suoi immortali sermoni. La vista d'un granchio suggeriva a Watt l'idea d'una macchina utilissima all' industria (Arago).

(1) Kreislauf der Leben, Brief, XVIII.

Or bene, ed una sensazione è, pure, il punto di partenza degli atti terribili della impulsiva mania. Così, la balia di Humboldt, confessava, come la vista delle carni fresche morbide del suo poppante la seducessero irresistibilmente a sventrarlo. Così altri, alla vista d'un'accetta, d'un fuoco, d'un cadavere, furono tratti all'incendio, all'omicidio, alla profanazione dei cimiteri.

Se noi, colla scorta delle autobiografie e della osservazione, indaghiamo più addentro, in che distinguasi l'organizzazione d'un uomo di genio da quella d'un uomo volgare, noi troviamo, che, in grandissima parte, la prima si risolve in una squisita, ed, alle volte, pervertita, sensibilità. Il selvaggio e l'idiota sentono, pochissimo, i dolori fisici; hanno poche passioni, e avvertono soltanto quelle sensazioni, che più direttamente li interessano, per i bisogni dell'esistenza. Quanto più si procede nella scala morale, cresce la sensibilità, che è massima negli elevati ingegni, ed è fonte delle loro sventure come dei loro trionfi; sentono ed avvertono più cose e più vivacemente, che non gli altri uomini; - e più tenacemente, e più cose ricordano e nella mente combinano. Le parvenze, gli accidenti che il volgo vede e non nota, sono da loro sorpresi, ravvicinati, per mille e mille guise, che l'uomo chiama creazioni; e non sono che combinazioni binarie e quadernarie di sensazioni.

Haller scriveva "che mi rimane altro, se non la sensibilità, questo forte sentimento, che è un effetto del temperamento, che subisce con vivezza le impressioni dell'amore, le meraviglie della scienza? Anche ora, mi move le lagrime il leggere un fatto generoso! Questa sensibilità diede, certo, alle mie poesie un tono appassionato, che altre non hanno." (Tagebuch, 2., 120).

Alfieri la prima volta in cui udiva la musica ne provò come un "abbarbaglio, un sole per gli occhi e per gli orecchi, sicchè più dì stette in malinconia straordinaria e non dispiacevole, bollore di idee fantastiche, durante il quale avrebbe potuto fare dei versi, se ne avesse saputo allora fare, ed esprimere affetto se non fosse stato ignoto a sé stesso." Egli conclude, come altrove Sterne, Rousseau e G. Sand, non esservi più potente, indomabile, agitatore dell'anima, di quello siano i toni musicali.

Sterne, il poeta più psicologo dopo Shakspeare [sic], lasciò scritto: "Quando leggo le storie dei nostri vecchi, piango come s'io ne fossi spettatore. L'intuizione e la sensibilità sono i soli strumenti del genio. Essa è la madre di quelle impressioni deliziose, che danno un colore più brillante alle gioie, e ne fanno piangere d'ebbrezza." (Lettera 20).

Ognuno sa quanto Alfieri, Byron, Foscolo fossero aggiogati a piedi di donne, non sempre degne di loro. Alfieri non poteva mangiare il giorno che il suo cavallo non avesse nitrito. Quanto amasse Petrarca ce lo attestano anche troppo i suoi canti. Come la bellezza e l'amore della Fornarina ispirassero la tavolozza di Raffaello tutti conoscono, ma pochi sanno, che giungessero a fargli toccare perfino il poetico plettro (1).

(1) Eppure si conservano di lui parecchi versi d'amore, fra gli altri questi dolcissimi:

Quanto fu dolce il giogo e la catena
De' suoi candidi bracci al col mio volte
Che sciogliendomi io sento mortal pena.
D'altre cose non dico che son molte
Che soverchia dolcezza a morte mena.

Lorry vide dei letterati cadere in deliquio alla lettura di un passo di Omero (De Melanc).

Il pittore Francia morì di piacere alla vista di un quadro di Raffaello.

Ampère era così sensibile alle bellezze della natura che affacciandosi alla magnifica spiaggia di Genova credette morire di gioia; ed egli lasciava, in un suo manoscritto, un diario di una sua passione infelice. Newton, dopo aver ottenuta la soluzione d'un suo problema, restò tanto commosso, che non potè più continuare il lavoro. Gay-Lussac e Davy, dopo una loro scoperta, ballarono in pantofole nel loro gabinetto. Archimede sotto la gioia di un problema disciolto andò nudo per le vie gridando Eureka.

Le passioni, insomma, sono forti nei forti ingegni; esse colorano le idee, cui la mente disegna; in alcuni le appaiono pallide, spente, solo perché, a poco a poco, cedettero il posto alla passione predominante della gloria e della curiosità scientifica.

Ed appunto questa esagerata sensibilità degli uomini d'ingegno è causa di moltissima parte delle loro sventure, così vere come immaginarie.
Da un lato tutte le offese, che per gli altri sono punte di spillo, per essi sono affilati pugnali. L'abate di San Ceyran, non potendo far passare un nodo scorsoio dalla impannata, lagnavasi che la Provvidenza l'avversasse in tutte le opere sue (Reveillé Parise). Boileau non poteva sentire le lodi d'alcuno, fosse pur del suo calzolaio senza provarne dolore.

Barthez perdette, di dolore, il sonno perchè nella stampa del suo Génie l'accento dell'é restò dimezzato. - Io non avrei, diceva Whyston, pubblicato la confutazione della Cronologia di Newton, perchè egli sarebbe stato capace di uccidermi (Arago).

Chi ebbe la rara fortuna di convivere con uomini di genio è colpito subito dalla facilità che essi hanno d'interpretare, male, ogni azione degli altri, di credersi perseguitati e di trovare, dappertutto, cause profonde, infinite, di dolore e di melancolia. A tutto ciò contribuisce l'ingegno maggiore, che è più atto come a trovare i lati nuovi del vero, così ad inventarsene del falsi a conferma delle dolorose illusioni. Vero è, poi, che vincendo, nell'intelletto, gli uomini volgari, acquistano ed esprimono, sulla natura delle cose, convinzioni differenti da quelle adottate dai più, e ne destano, e, coll'incrollabile fermezza, ne aumentano l'opposizione ed il contrasto.

Ma pure, la principalissima fonte delle loro melancolie , delle loro sventure, è, sempre, la legge di dinamismo e di proporzione, che tanto sovraneggia, anche nel sistema nervoso, per cui ad un eccessivo consumo o sviluppo di forze, succede un'eccessiva reazione, e rilascio delle forze medesime, per cui niuno dei poveri mortali può consumare una certa quantità di forze, senza pagarne, in altro modo, e duramente, lo scotto.

La melancolia, l'abbattimento, la timidità, l'egoismo loro è una mercede crudele del consumo nelle forze più sublimi dell'intelletto, come i catarri uterini, l'impotenza e la tabe dorsale, sono i compensi degli abusi di Venere , e le gastriti di quelli del ventricolo. La nostra Milli, dopo una di quelle feconde serate che valgono bene la vita intera d'uno dei nostri poeti minori, cade in una semi-paralisi e vi resta per varî giorni. Maometto, dopo aver profetato, piombava in uno stato d'imbecillità, e: "Tre Surate del Corano, diceva egli un giorno ad Abou-Bekr, m'hanno fatto divenir grigio" (J. des Savants, octobre, 1863).

Goëthe, il freddo Goëthe, confessa: la mia natura è fra l'estrema gioia e l'estrema melancolia. Giusti pativa l'ipocondria fino al delirio; spesso si credette idrofobo -- si diceva "malato d'intestini e di versi," e non una volta ripete, "Questo che par sorriso ed è dolore."

Insomma, io non credo che siavi stato al mondo, mai, un grande uomo che, anche nel colmo della felicità, non siasi creduto e detto, anche senza causa, infelice e perseguitato, -- che non abbia per qualche momento provato quelle dolorose modificazioni della chenestesi , che formano la base della melancolia eretistica.

Altre volte la sensibilità è pervertita, si consuma, s'agita solo attorno un dato punto di vista ed è indifferente a tutti gli altri. Alcune serie d'idee, di predilette sensazioni a poco a poco acquistano la virtù d'agire, come uno stimolo specifico sul loro cervello, anzi spesso su tutto il loro organismo.

Heine, che, scrivea nelle sue lettere, sentirsi incapace di capir le cose facili, Heine cieco, paralitico, moribondo, consigliato a rivolgersi a Dio, rompe i rantoli dell'agonia col cinico motto: Dieu me perdonnera, c'est son metier, coronando con un' ultima ironia la vita più esteticamente cinica del nostro tempo. Anche di Aretino si disse che l'ultime parole fossero: "Guardatemi dai topi or che son unto."

Santenis impazzì dalla gioia di aver trovato un epiteto da lungo tempo invano cercato. Foscolo confessa: "che mentre era attivissimo, in certe cose, era davvero in certe altre, meno che uomo, che donna, meno che bambino" (Epist. 3, 163).

Poisson diceva che la vita non era buona che a far delle matematiche. D' Alembert, Menage, insensibili ai dolori d'una crudele operazione, piansero sotto la lieve puntura della critica. Lucio de Lanceval si lasciò amputar le gambe, ridendo, e non poté sopportare gli appunti critici di Geoffroy.

Linneo, a 60 anni, paralitico e stupido per apoplessia, si ridestava dal sonno quando lo si portava vicino al prediletto erbario (Vicq. d' Azyr. Elog., p. 209).

Lagny giaceva comatoso, insensibile ai più forti revellenti, quando uno s'avvisò di chiedergli il quadrato di dodici, e subito rispose centoquarantaquattro.

Sebouyah, grammatico arabo, morì di dolore perché il califfo Aron-El-Rascid gli si dimostrò di opinione contraria in un cotal punto grammaticale.

Questo esaurimento e questo concentramento eccessivo della sensibilità è certo la causa di quegli atti bizzarri che i grandi ingegni hanno comuni coi matti. Cosi si narra di Newton, che un giorno caricasse la pipa col dito d'una sua nipote, e si narra di Tucherel che una volta si fosse dimenticato perfino del proprio nome (Arago, 111).

Beethoven e Newton messisi a comporre musica l'uno, a risolvere un problema l'altro, dimenticarono cosi completamente di aver fame da sgridare i servitori perché loro andassero apprestando del cibo, mentre loro pareva di avere già pranzato.

Il Gioia, nella foga del comporre, scrisse un capitolo sul tavolato dello scrittoio invece che sulla carta. L'abate Beccaria, tutto preoccupato delle sue esperienze, si lasciò sfuggire, nella messa, di bocca, Ite, experientia facta est. San Domenico, trovandosi ad una cena principesca, tutto ad un tratto gridò battendo sul desco: Conclusum est contra Manicheos.

Similmente si può spiegare perché i grandi ingegni, alle volte, non adottino idee, cui l'intelligenza più volgare sarebbe capace a comprendere. Gli è che, nell'esaltamento della meditazione, la mente rifugge dai più semplici e facili movimenti, cui trova inadatti alla sua robusta energìa. Così Monge risolve i punti più difficili d'un calcolo differenziale e resta imbarazzato alla ricerca d'una radice algebrica di secondo grado, ricerca di cui sarebbe capace un qualunque discepolo (Arago, II).

Per questa esagerata e concentrata sensibilità così difficile ci riesce il persuadere o dissuadere tanto i pazzi come i grandi uomini. Gli è che le radici dell'errore, come quelle del vero, piantaronsi in essi più profondamente e più numerose che non negli altri uomini, pei quali l'opinione è come una veste, un affare di moda o di circostanza.

Da ciò s'apprende, da un lato, la poca utilità della cura morale, dall'altro il diritto di non credere mai, ciecamente,--nemmeno ai grandi uomini.


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