Le poesie di Neri Tanfucio

Cento sonetti in vernacolo pisano
di Renato Fucini
13. edizione.
Pistoia, Tip. Cino dei fratelli Bracali, s. d.

Pag. 6

Poesie in lingua

I.
Processo brevettato
per ottenere un Critico arrabbiato.

Prendi un quintale e mezzo di birbone
Con tre grammi d' essenza di talento;
Sei tonnellate e più di presunzione,
E due di gelosia repressa a stento.

Bùttaci, per ripiego, la passione
Di rampicarsi ai morti col commento:
Quindi: un genio incompreso in gestazione,
E trita il tutto in un molino a vento.

Dopo aggiungi: la lingua d'una ciana;
La bile d'un amante paralitico,
E gli organi vocali d'una rana.

Fa' con questo un clistere a un ciuco stitico,
Mettilo a paglia, e, a fin di settimana,
Dammi di ladro se non figlia un Critico.

Firenze, 1872.

II.
È bell' e addormentato.

Mamma. Eccoti a nanna, e dormi, angiolo mio,
Dormi e sii bono.
Bambino. Si, ma 'un te n'andare.
Mamma. Guarda, mi spoglio e vengo a letto anch'io.
Mamma sta qui con te, non dubitare.

Bambino. Mi dici una novella?
Mamma. Oh, santo Dio!
Te n' ho già dette tante: ma ti pare....?
Bambino. Si.... i.... l' agnellino che va a bere al rio,
Che viene un lupo che lo vol mangiare....

Mamma. C' era una volta un povero agnellino....
Bambino. Ho sete.
Mamma. Tieni m' avresti seccato....
Bianco, liscio, pulito.... un bel musino....

Dunque, un giorno che lui se n' era andato
Per bere.... Ma che senti eh, birichino?
Povero pipi, è bell' e addormentato!

Firenze, 1872.

III.
Sopra un quadro non finito
rappresentante la crocifissione di N. S.

Dilettante. Bravo! me ne rallegro tanto tanto....
Pittore. Troppo buono....
Dilettante. Ah! perbacco, è un gran lavoro.
Ma che mi burla, lei! questo è un incanto:
Più che lo guardo e più me ne innamoro.

Ma la faccia del Cristo! muove il pianto.
O la figura maschia di quel moro?
Pittore. Qui ci farò i Ladroni.
Dilettante. Ah! già; qui accanto.
O come mai non li ha anche fatti loro?

Pittore. Mi lasci star, son mezzo disperato!
Vorrei du' ghigne torve per far quelli....
Non se ne trova, e quanto n'ho cercato!

Dilettante. Come l [sic] e lei si sgomenta pei modelli?
Pittore. Mi dica.... le sarei tanto obbligato.
Dilettante. Alla Borsa, perdio; li vol più belli?

Firenze, 1872.

IV.
La canzone della povera Nena.

- Tre cose, al mondo, non si scordan mai:
La Gioventù, la Mamma e il primo Amore;
E se posso scordarle tu lo sai,
O disgraziato mio povero core.

Orfana e sola, nell'amor sperai
Conforto a questa vita di dolore:
Un angiolo mi parve e l'adorai;
Era pur bello! e mi rubò l'onore.

Ora è finita. Se la morte viene,
Pallida mi vedrà si, ma serena;
Da lei sola m' aspetto un po' di bene. -

Ripetendo la mesta cantilena,
Cerca, nel canto di sue lunghe pene,
La pace che non ha.... povera Nena!

Firenze,1872.

V.
Epitaffio.

Qui fu messo e dovrebbe ora giacere Gaspero Volarapidi cassiere; Però non potrei darne garanzia, Perchè probabilmente è andato via.

Firenze, 1871.

VI.
Una elemosina fatta bene.

Povera. Dio gliene renda merito, Signora.
Ah! se sapesse tutte le mi' pene,
Allora intenderebbe tutto 'l bene
Di quel soccorso che m' ha dato, allora....

Signora. Poveretta, che hai che t'addolora?
Povera. La fame....
Signora. (O Dio!)
Povera. Non so chi ci sostiene.
Son quattro mesi sabato che viene
Che 'l mi' Beppe ha le febbri e non lavora.

Signora. Hai figli?
Povera. Una bambina sola sola;
Di quattro 'un m'è rimasto altro che quella....
'Li s' è preso 'l malaccio nella gola!

No, non sarebbe giusta, è troppo bella:
Mio Dio non la rubate, è mi' figliola....
Piange? La lascio in pace, arrivedella.

Firenze, 1872.

VII.
Si fa quel che si pole.

Mi chiamarono al tocco: io mi destai,
E in fretta e 'n furia mi messi un vestito.
Come tremavo! A un tratto: - O dove vai? -
Mi domandò tra 'l sonno 'l mi' marito.
- More! - dissi - Ma chi? - More Amaddio.... -
Fece un salto dal letto, e - Vengo anch' io. -

Quando ripenso a cotesta nottata....
Guardi, Signora, ho sempre gli occhi rossi;
Che strazio! che famiglia desolata!
Io non sapevo più dove mi fossi.
Lei svenuta.... d'intorno i suoi bambini....
Cinque che urlavan - mamma - poverini!

Alle quattro spirò. Povero vecchio!
Stette in sè fin all'ultimo momento,
E ogni tanto ammiccava qui all'orecchio,
Come volesse dire: - anch'io li sento.... -
Poi guardava in quell'uscio, fisso, fisso,
E piangeva, e baciava il Crocifisso.

Lei, da quel giorno, è sempre allo Spedale,
E morirà di certo. La vedesse!
Uno scheletro, un'ombra tal' e quale.
Chè se un pensiero non la trattenesse,
Forse a quest'ora.... Oh, si! lo creda pure
Campa per quelle cinque creature

Quegl' innocenti si son presi noi
Gigi era tanto amico d'Amaddio
Che se li tiene come fosser suoi;
E, non lo nego, fo altrettanto anch'io.
De' mezzi non se n' ha, ma.... cosa vole?
Signora mia, si fa quel che si pole.

Firenze, 1872.

VIII.
Dopo il trasferimento degli uffizi comunali in Palazzo Vecchio: Riflessioni d'un impiegato.

Eppure è un fatto! In queste immense sale,
Tra queste mura gigantesche e nere,
Negli anditi, negli usci, per le scale,
Da terra, insomma, ai merli e alle troniere,

Tutto spira grandezza, e tanta e tale
Che, qua dentro, perfino un cavaliere
Sembra, al confronto, un misero mortale:
Figuriamoci, noi, che s' ha a parere!

Per aver qui un' idea della distanza
O, meglio, sproporzione all' infinito
Che v'è tra un impiegato e la sua stanza,

Facendo un calcoletto a menadito,
Si troverà la stessa discrepanza
Che v'è tra la su' paga e 'l su' appetito.

Firenze, 1872.

IX.
Un grosso inconveniente.

Un Lyon. Creda, Dottore, è un grosso inconveniente.
E il peggio è questo: che non posso entrare
Dove ci sia raccolta della gente
Se tutti non principian a sbuffare.

Dottore. Fa molto moto lei?
Lyon. No, poco o niente.
Dottore. Calza stretto?
Lyon. Dio guardi! ma le pare.
Dottore. Provi a bagnarsi con qualche astringente.
Lyon. Lo feci. Dottore. Ebbene? Lyon. Il medesimo affare.

Nell' inverno sto meglio.... ma l' estate!
Dio! se sentisse, a giorni, che fetore....
Eppoi vessiche.... e sa? tutte sgallate.

Dottore. Io non saprei, ci spruzzi acqua d' odore.
Lyon. Peggio! Creda, di tutte n' ho tentate....
Dottore. Ma, a lavarsi ha provato?
Lyon. Nossignore.

Firenze, 1873.

X.
In occasione del trasporto in Santa Croce
delle ceneri ec. ec.

L'Avv. Sodi. .... E l' abuso produce indigestione!....
Già sarà meglio mutare argomento.
Ma, mi dica, che razza di stagione!
Il Sig. Bassi. E non si para perchè viene a vento.

Senta, è un' annata proprio da malanni....
Sodi. Anche lassù?
Bassi. Tosse canina a iosa.
Sa chi è morto oggi a otto? il sor Giovanni!
Sodi. Quale?
Bassi. Il marito della sora Rosa.

Sodi. Gianni Gonzi?
Bassi. Pur troppo. Ah! è stata atroce;
Anzi son qui a Firenze per vedere
Se si può trasportarlo in Santa Croce.
Che crede, lei che si potrà ottenere?

Sodi. Secondo, caro mio. Per primo punto,
Lei presenti un' istanza e i documenti
Comprovanti la morte del defunto,
Tutti in carta bollata da uno e venti;

Ma se lei può trovar sei cavalieri,
Che attestino che il Gonzi era immortale,
Glielo piantano accanto all' Alighieri
Senza nemmeno il processo verbale.

Firenze, 1873.

XI.
La mamma tisica.

Si, me n' avvedo anch' io, son dimagrata.
E prima mi chiamavan Carnevale!
Fo una vita un po' troppo strapazzata,
Ecco da dove nasce tutto il male.
Però sto bene, e posso da me sola
Tirare avanti la mia famigliola.

Non son di quelle, no, non m'interessa,
Se mi trovate il viso impallidito.
Se son brutta, che fa? per me è la stessa,
Tanto m' adora sempre 'l mi' marito;
Anzi da po' che ho fatto questa cera
Mi vol quasi più bene.... o in che maniera?

Questo è vero, chè spesso me lo dice:
- Tu ti strapazzi troppo, e mi rincresce....
T' ammalerai, riguàrdati, Beatrice.... -
Ma è inutile.... non so.... non mi riesce.
Lui, lo vedo, sta zitto e se ne prende.
Ma, santo Dio, chi mi fa le faccende?

Chi mi pensa ai bambini? Oh! fosse stato
Come quando mi prese.... allora forse,
Qualche aiuto per me l' avrei trovato;
Ma ora.... Ora non s' ha più risorse;
Il pane costa un occhio, e a mala pena
S' accozza il desinare con la cena.

Mi rammento, alla prima allevatura,
Che salute! com' ero rigogliosa!
Come mi venne bella la creatura!
Mi pareva di dar latte a una rosa.
Quanti baci gli ho dato in quel bel viso!
Ora è lassù.... è volato in paradiso.

Da quel giorno, per me, tutto è mutato;
Quel ch' era riso s' è cambiato in pianto.
Dio! quante notti, in sogno, ho sospirato
D' andarmi a riposare al camposanto....!
N' ho un altro, è vero.... una gioia, un amore....
Ma quello.... eccolo qui, sempre nel core.

Ma, che del resto, non è vero niente....
No, non è vero, via, che son malata.
Son un po' fioca si.... ma.... o non si sente
Che dipende dall' essere infreddata?
Proprio starei benone se non fosse,
Questa noiosa, antipatica tosse.

Quella febbre che ho sempre sulla sera,
Non è nulla, lo dice anche il dottore:
- Lei stia tranquilla - dice - a primavera,
Se si riguarda, lei ritorna un fiore.... -
Ah! se credevo, lo chiamavo avanti;
E' tanto bravo, ne guarisce tanti!

Come mi par mill' anni! che piacere!
Ci manca un mese, manca un mese solo;
Ma appena posso.... oh! sì lo vo' vedere
Dove me l' hanno messo 'l mi' figliolo....
Ecco la tosse.... o Dio! com' è noiosa....
Pazienza.... un mese, e finirà ogni cosa.

Firenze, 1873.

XII.
Il Pidocchio.

Ecco, è nato!.... si move, e.... lento lento
Scende alla base del natìo capello.
Fermi! non lo turbate. Oh, come è bello
Questo animato bruscolo d' argento!

Eccolo in fondo.... Arrota unghiello a unghiello;
S' agita, brilla e par tutto contento....
Che vorrà fare?.... No! fermi un momento;
Non lo sciupate, è un piccolo gioiello.

Ecco, raspa la cute.... Ecco, c' invita
La proboscide e succhia.... Ecco appagate
Le prime voglie al nuovo parassita.

Dio, come gonfia!.... No, non lo schiacciate....
No, fermatevi.... - Stip - Ah! sciagurati:
Quel corpicciuolo compendiava un Frate!

Firenze, 1873.

XIII.
La creazione dell'uomo.

Io so, da bona fonte, che il Creatore,
Dopo aver fatto i vermi e il firmamento,
Si decise a far l' uomo in un momento
Di malumore.
Ma quando l'ebbe fatto,
E, bello vivo, almanaccar lo vide,
Disse fra sè, ballando com' un matto:
- Mondo birbone, almeno ora si ride! -

Firenze, 1873.

XIV.
Docio, ossia il ciuco del pentolaio.

Bon giorno, Docio: Stronfi, eh, poverone?
Oggi è giornata nera, Docio mio.
Dopo ott' anni 'l tu' povero padrone,
Destino infame! deve dirti addio.
Caro 'l mi' Docio, la questione è seria:
Mi disfaccio di te dalla miseria.

Dov' è andata la striglia?.... Eccola. O vieni,
Che ti metta la groppa a pulimento.
Così sei brutto, eh Docio? ne convieni?
Mi costi meno 'l cinquanta per cento.
Mi lecchi? Vòi la semola, ho capito.
Dopo, amor mio, quando t' avrò pulito.

(Canta) La Miseria è un tal malanno
Che se un giorno t'entra addosso ,
Lemme lemme arriva all'osso,
E, 'un c'è Cristi, 'un esce più.

Allegri, Docio! sentirai che bòtte,
Quando non sara' più nelle mi' mane.
Lavora' notte e giorno, e giorno e notte,
E un po' di paglia, se ce ne rimane.
Questa è la vita che da qui in avanti
Ti toccherà a mena' finchè 'une stianti.

Lemme lemme arriva all' osso
E, 'un c' è Cristi, 'un esce più.

Mi rammento una sera, eri sfiatato
Dalla fiacca, dal caldo e dalla fame....
Quattro giorni si stiede, Dio beato!,
Senza trova' da vendere un tegame.
Avre' mangiato anch' io: ne feci a meno
Per comprarti una bruscola di fieno.

Per guari' da questo male
C' è un rimedio solamente:
Che t' acchiappi un accidente
E ti levi da patì.

Sotto 'l mi' regno ancora non lo sai
Quel che costan li strami a quest' annate;
Ma domani, 'un pensa', te n' avvedrai:
Ogni boccone, un subbio di legnate....
Pppruu! fatti 'n là.... Sarà, ma 'nfin che campi
Padroni come me non ne rinciampi.

Donne, c'è 'l pentolajooo!....

Te n' arricordi, Docio, eh? bella vita!
Sempre d' accordo veh! sempre, per quello....
S'arrivava, com' esse', a una salita,
E io t' alleggerivo d' un corbello.
Pazienza, dillo, Docio, 'un mi confondo,
Si goderà un po' più nell' altro mondo.

Che t' acchiappi un accidente ,
E ti levi da pati'.

Rizza la testa, su, fatti coraggio.
Io creperò di fame e te di stento;
Ma almeno, tira via, sèmo di maggio,
Non ti lascia' piglia' dallo sgomento....
Ora mi garbi. Su bravo 'l mi' vecchio!
Guarda, ti vo' da' 'n bacio 'n un orecchio.

Zitto un po' po'.... Sì, dèccoli, ènno loro!
Animo, Docio, dècco 'l compratore.
O, ma lo sai, mi preme 'l mi' decoro;
Vol' esse' star su bello e farsi onore.
Allegri, allegri, su, svelto arrilà!
Ih koo.... Bravo, benone! koo.... kii.... kaaa....

Firenze, 1873.

XV.
Epigramma.

- Clodio il Banchiere, il sette volte almeno
Strarifallito, e sempre a sacco pieno,
Se ha saputo deludere il rigore
Dell' avvocato cavalier Questore,
Non è sfuggito
Alla giustizia fiera
D' un popolo redento.
Ei l' ha spedito.... -

Gli sta bene! in Galera? -
Al Parlamento.

Firenze, 1873.

XVI.
La tavola girante.

Una Signora. Mi pare, o....?....
Spiritista. No, per ora non si muove.
Si concentri, Signora, eppoi vedrà
Che avremo tante e convincenti prove....
Signora. O Dio!
Spiritista. Zitta, si muove.... Eccola in qua.

Ora silenzio, e lei la segua dove
Sente che il moto....
Signora. Ora a sinistra, eh?
Spiritista. Già.
Ma lei Signora....
Signora. O Dio!....
Spiritista. Lei si commuove....
Su, su, coraggio....
Signora. Ahimè!
Tavola. (Ta ta ta ta).

Spiritista. Ecco, parla! Chi sei?.... come?
Tavola. (Epicuro)
Spiritista. Sei in luogo di salute o dannazione?
Tavola. (Materia!)
Spiritista. Non l' intendo, è molto oscuro.

Dimmi, o me mi conosci?
Tavola (Sì, benoneee)
Spiritista. Vorresti dir chi sono?
Tavola. (Ma sicurooo)
Spiritista. Dunque chi sono? dimmelo.
Tavola. (Un coglionee!)

Firenze, 1873.

XVII.
Il dramma di iersera.

Verdiana. Se ci siam divertite? da impazzare!
Una cosa, mio Dio.... c' è l'ultim' atto,
Quando lui trova lei.... creda, un affare!....
Beppa. Su, su, mi dica.... o in che consiste il fatto?

Verdiana A un bel circa è cosi: Lui va per mare,
Ma invece finge e torna tutt'a un tratto,
E scopre che quell'altro, a quanto pare....
Lei gli avesse già dato il su' ritratto.

Allora lui che fa? Va dal su' Zio,
Senza cappello.... Immagini che scena!
E dice: "O morto lui, o morto 'io!"

Lei, che risà ogni cosa, dalla pena,
Viene con un vestito come 'l mio,
Ma che bellezza.... nero! e s'avvelena.

Firenze, 1873.

XVIII.
L' usignolo vedovo.

Su la cima d' un làrice posato,
Sospirando gorgheggia un Usignolo
Addolorato.
Ed ai sospiri suoi piange e si lagna
Tra le fronde la brezza, empiendo intorno
D' armoniosa mestizia la campagna.

- Dimmi, Usignolo: che t'affligge tanto,
Nella stagion de' gigli e dell'amore,
Per bagnare di lacrime il tuo canto? -
- M'hanno spezzato il core!
Stamani all'alba ho perso l'amor mio....
È morta Lei, voglio morire anch' io. -

-Forse la Biscia? - Ah, no! -
- Forse il Rospo, mestissimo Usignolo,
La tua speme troncò?
Sfoga il tuo duolo:
Qual fu della tua sposa il reo destino? -
- Me l' ha presa alla pania un abatino! -

Firenze, 1873.

XIX.
Sopra un ventaglio.

Chiese al ventaglio un dotto Archimandrita:
- Dimmi, ventaglio, che cos' è la vita? -
E il ventaglio, con molle ondeggiamento:
- E' tutto vento, vento, vento, vento.... -

Livorno, 1879.

XX.
Dalle memorie d' un cannibale. vulgo pescatore di canna.

Il primo giorno un sole arcicocente Mi contrariò, sicchè non presi niente.

Il secondo, con nuvolo e scirocco, Mi disse meglio, ma non ebbi un tocco.

Ma quando fummo al terzo giorno giunti, Mi disse peggio e non ne presi punti.

Il quarto, poi, tanto la sorte è grulla, La faccenda cambiò.... non presi nulla.

Rapallo, 1890.

XXI.
Intorno all'origine del cognome Milloschi (1).

Òskos, voce antiquata, dai Comaschi
Fu adoprata ad esprimere arabeschi;
Ma poi, se abbiam da credere al Gatteschi,
Czamoiski la usava per tu caschi.

Però, su molte ciste (2), e in vari affreschi
Trovati a Siena nel Monte de' Paschi,
V' è quell' Òskos più volte, ed il Falaschi
Traduce addirittura, guidaleschi.

Ed ha ragione. Infatti i veri Etruschi
Diceano: -Se ti picchia , e' t' empie d' oschi! -
Equivalente al nostro Tu ne buschi.

Di qui venne il cognome Trecentoschi
Per quei ch'avea trecento guidaleschi....
Chi n' ebbe mille, si chiamò Milloschi.

Firenze, 1874.

1 Nel comporre questo sonetto burlesco, lungi dal volere con animo cattivo gettare il ridicolo su l'abile maestro di scherma Cesare Milloschi, intesi destinarlo a far compagnia ad altri innocenti scherzi a carico di lui che resteranno eternamente al buio. Quando mi saltò il ticchio di domandargli se mi avrebbe permesso di pubblicarlo, egli me ne dette piena facoltà. Ora lo ringrazio e al tempo stesso sono lieto di poter pubblicamente encomiare le virtù di un uomo il quale, nonostante le sue profonde e multiformi imperfezioni fisiche, ha saputo, per tanti anni guadagnarsi onoratamente la vita e fare allievi valenti in un esercizio di cui egli sembra la negazione assoluta.
2 Vasi che gli antichi greci e romani usavano nelle cerimonie religiose.

XXII.
La padrona amorosa.

Padrona. Sempre al solito?
Serva. Peggio.
Padrona. O che ti senti?
Serva. Male, Signora mia, dimolto male.
Padrona. Perchè piangi?
Serva. Signora mi contenti:
Domattina mi mandi allo Spedale.

Padrona. Zitta, via.... ma perche?.... Tu ti tormenti....
Vieni, t' ho fatto un sorso di cordiale.
Serva. Ah! Signora....
Padrona. E smettiamo i complimenti....
Sei bassa? tieni quest'altro guanciale.

Serva. Dica.... o il Padrone?
Padrona. È fòri.
Serva. O lui che ha detto?
Padrona. Che fra poco ritorna col Dottore;
Che ti riguardi e che ti tenga a letto.

Serva. Ma come! anche il Padrone.... O Dio Signore....
Padrona. Non c' è niente di strano; è tutto effetto
D' aver qui dentro un briciolo di core.

Firenze, 1874.

XXIII.
Beppe.

Si chiama Beppe; è basso di statura,
Pallido e secco;
Beve da far paura,
O, per dir come lui, si bagna il becco.

Come campi e di che,
Nessun lo sa, nè alcun giammai lo seppe;
Si chiama Beppe:
Il chieder d' altro, tempo perso egli è.

Ecco la vita, ecco le gesta sue:
Sorge col sole, e, appena escito fuori,
Beve liquori, e dura
Tutte le ore legali,
Cioè fino a chiusura de' locali.
Togli l'ore passate per le vie,
Recapiti ne ha due:
Biliardi e Drogherie,
Dove, in mezzo a un sinedrio di zozzai ,
Discorre sempre e non ragiona mai.

Parla d' Arte, di Lettere, di Scienza,
Senza capir che non capisce niente.
Vive di maldicenza;
Distrugge tutto velenosamente,
Citando spesso, ciucamente ardito,
Quello che ha letto e che non ha capito.

Nel vaniloquio suo sempre assoluto,
Se il contradici, guai!
Egli ha tanta modestia
Che, sgretolando un Dio con l'attributo,
Ti dà, per non offenderti, di bestia.

Egli ha scoperto che nel suo paese
Le entrate non suppliscono alle spese.
Crede molto economico il disarmo,
E lo prova col lapisse sul marmo.

Pensa al povero popolo che langue
Tra la fame e gli stenti;
Beve un bitter, s' unisce a' suoi 1amenti
E grida: sangue!
Predìce vicinissimo lo scoppio,
Ed urla - Sode! - e beve un ponce doppio.

Così passa i suoi giorni, e a tarda notte,
Dando capate e bòtte
Nell' inferriate
E nelle cantonate,
Tutto ammaccato, a casa si ritrova.
Costì si riconcentra,
E dopo prova doppia e controprova,
Inciampa il buco della chiave ed entra.
Poi si spoglia sbuffando;
Rompe il solito vetro all'oriolo;
Si sdraia a suon di calci nel lenzuolo,
Indi, pensando
All' ultima questione che ha discussa,
Rutta, bestemmia, s'addormenta e russa.

Firenze, 1874.

XXIV.
A pancia all' aria.

Ah! che delizia, come son beato!
Questa è vita, o Monarchi: uscir da cena,
Poi sdraiarsi su l' erba, a pancia piena,
In mezz'a un prato.

Via! lasciatemi solo,
Esose cure d' un' esosa vita.
Sciogliete i lacci al vostro sibarita,
Ei leva il volo.

(Com' era bono quell'agnello in teglia!
E che strippata!.... ) Ecco si tuffa in mare,
E già parmi sentir voci e rumori
Dell'opposto emisfero che si sveglia,
Mentre, dorato, in Oriente appare
Febo carco di luce e di tepori.

Ah! ma perchè, perchè spender sì male
I miei verd' anni? Anch'io,
Come il sole girar, correre io voglio,
Quasi m' avessi l' ale,
Per incogniti cieli;
E fra popoli ignoti e ignote lande,
Portare il guardo mio
Pria che morte mi geli
Qui, com'ostrica adesa in su lo scoglio.

Quanto azzurro profondo! che divina
Sera di Maggio! Ecco, principia appena
A brillar tra le rose del tramonto
Venere!.... Ti saluto, o peregrina
Voluttuosa stella.
O, del creato, lubrica sirena,
Vita dell' Universo,
Di', sarà tempo perso
S' io ti domando:
Chi ti dette la luce, e come e quando?

Dimmi, ed è ver che popolata sei
Tu, come le altre belle
(Maledette le pulci!)
Lucide tue sorelle,
E come questa bassa, umida terra,
Di lombrichi e d' eroi?

Fan costassù la guerra?
Dimmi, adopran le voci e causa e santa?
Si sgozzan come noi,
Per l'eterno principio dell'agguanta?

Parla: e allignan su voi Procuratori,
Tarli, Ministri, Rospi, Imperatori,
Preti, Scorpioni? v' è costà il Bargello?
(Accidenti all'Agnello!
Ne son ghiotto, perdio, ma lo detesto
Perchè è troppo indigesto.... )

La Notte.... l'Infinito.... il Firmamento
Col suo d' astri solenne tremolìo....
Questa quiete severa
De' campi in mezzo a tanto lavorìo

Della nuova e feconda primavera,
Mi torturan fra i dubbi e lo sgomento....

Ma dunque c'è?.... c' è questo Dio? la vita
La dona lui?.... la toglie lui? Parlate,
Tremuli pioppi, lucciole infuocate.
Ma queste membra?.... (Eh! altro che sdrucita!
Questo è proprio uno spacco bell' e bono.
Frode per tutto! Che v'agguanti un tono,
Ladri di calzolari....
Anche quest' altra! tutt' e due son rotte!....
Là, ci vuol la rimonta e bona notte).

Tutto è pace.... non s' agita una fronda....
Quanta calma soave mi circonda,
E m' invita al riposo!
Anco la voce del romito grillo
Che fra l' erbette ascoso,
Spande all'aure notturne il mesto trillo,
Parmi silenzio, e già sugli occhi io sento
Dolce il sonno posare.... e.... m'addormento....
La conclusione?

Presi un' indigestione,
Mi buscai, con la guazza, un mal di petto,
E stetti un mese, a pancia all'aria, a letto.

Firenze, 1874.

XXV.
Il battesimo d'un cavallo.

Tizio. Indovinalo un po'?.... cento zecchini!
Caio. Sorbe! è un bell'animale, ma è salato.
Tizio. Ma, credi, va; va da levare il fiato:
Ci ho già finito un par di barroccini.

Caio. Bello!.... per quello è bello.... ben tagliato!....
E quant' anni?
Tizio. Puledro. Ha due dentini.
Caio. Sitoso (1)?
Tizio. Non saprei.... si.... coi bambini....
Caio. E lo chiami?
Tizio. Non l' ho anche battezzato.

Anzi, guardiamo se mi trovi un nome
Corto, ma che però faccia sapere
Come il cavallo scappa forte e come....

Caio. Razzo.... ti piacerebbe?
Tizio. No.
Caio. Sparviere?
Tizio. Si.... Sparviere s'accosta, ma siccome....
Caio. Te l' ho trovato: chiamalo Cassiere.

Firenze, 1874.

1. sitoso dicesi di un cavallo che si adombra delle persone che l'accostano, specialmente delle donne e de' fanciulli.

XXVI.

Monaca.

Amava i campi, il cielo, l'allegria,
Le rose, il canto.... e l' han portata via!
"Figlia, ascolta" diceale il Confessore
" Non la senti? è la voce del Signore,
Che ti chiama sua sposa...."
Ed essa: "Non la sento.... ah! non è vero."
E poscia soggiungea tutta smaniosa:
" No, non mi trascinate al Monastero....
Amo i fanciulli, il riso, l'allegria;
Non m' uccidete.... " e l' han portata via!

Pianse, chiese, pregò.... non valse a nulla.
Sfortunata fanciulla!
Le reciser le chiome; entro una scura
Veste le chiuser la gentil figura....
Vide e non lacrimò.... Pallida e mesta,
Come appassito fior piegò la testa.
Ma da quel dì che l' han sepolta viva,
Anco quel core,
Che tanta mèsse promettea d'amore,
Si fè di gelo, diventò cattiva.
Ora non chiede più, non brama nulla....
Sfortunata fanciulla!

Nata all' affetto, nei materni baci
Tutta credea comprendersi la vita.
Oh! come l'ore le passâr fugaci

Quando strinta al suo petto,
In un dolce sopor quasi rapita,
" Madre" diceale, "se morir dobbiamo,
Morir prima di te, null'altro io bramo; "
Ieri le disser: " La tua madre è morta!"
Movendo il labbro a un gelido sorriso
Pensò: "Dio l'ha voluta in paradiso."
Nemmeno il pianto or l' è rimasto.... nulla!
Sventurata fanciulla!

Nei primi sogni giovanili apprese
I dolci dubbi e se gli accolse in seno;
Ma, quai stelle cadenti in ciel sereno,
Dileguarsi li vide e non li intese.
Sognò di biondi pargoletti, e insieme
Madre le parve esser chiamata e moglie....
Or, preda a sozze non sfogate voglie,
Muore disfatta.... le sue voci estreme
Suonan turpe menzogna spudorata:
"Signore, accogli un'alma immacolata!"

Sotto le ortiche in appartato canto
Del cimitero,
Serba il suo nome un sasso umido e nero:
Non un amico pianto....
Non un sospiro.... non un fiore.... nulla!
Sventurata fanciulla!

Firenze, 1875.

XXVII.
Meccanica universale.

- La vita è il moto. Le infinite cose
Che nello spazio, stupefatto, scerno,
Dal sole, alle più incerte nebulose,
Muovonsi tutte in lento giro eterno.

Gira la Terra, e, come Dio lo impose,
Giriam con lei sull' immutabil perno;
Così i geli succedonsi alle rose,
La bionda Estate al desolato Inverno.

Osservo sempre, e, più che penso e scruto,
Vedo che insiem cogli astri e le stagioni,
Tutto gira nè sta fisso un minuto.... -

- Bravo, perdio! stupende osservazioni....
Tant'è vero che appena t'ho veduto
M' è entrato 'l giramento di c....... -

Firenze, 1875.

XXVIII.
Al Senatore N. N.
(dopo il voto su la pena di morte del dì ....... 1875).

Illustre e venerabile Signore,
Io sottoscritto Macellaro smesso,
Di lei servo devoto e ammiratore,
Umilmente Le espongo quanto appresso:

Sanguinario di nascita e di core,
Per più omicidi già sotto processo,
Vorrei, senza rischiar pelle ed onore,
Servire il mio paese e far lo stesso.

Perciò, potendo aver, grazie al Senato,
Il posto di Carnefice Toscano,
Gliene sarei personalmente grato.

Eccellenza, ho famiglia.... Ella è si umano
Da non sprezzare l' artista onorato,
Che chiede oprar col senno e colla mano.

Scusi tanto l' incomodo e la noia
Mansueto Tranquilli detto Il Boia.

Firenze, 1875.

XXIX.
Dopo un congresso
artistico - scientifico - letterario.

Signora. Dunque, Dottore, dica.... e che le pare?
Medico. Cara Signora mia, per ora almeno,
Non trovo niente che possa allarmare:
Lingua bona.... la febbre è molto meno....

Nonostante lo faccia riguardare.
Il Conte è sano si, ma nullameno
Quei sessant' anni....
Signora. Ah! non doveva andare.
Pregai, pregai, ma chi lo tiene a freno?

Senza dubbio ha sofferto nel polmone.
Chi sa quanti noiosi battibecchi
Per poi.... mi dica lei la conclusione!

Medico. Eeeeh! i Congressi non son cose da vecchi.
Troppe fatiche, via.... ma, cospettone!
Quattro pranzi in tre giorni e' son parecchi.

Firenze, 1875.

XXX.
Ad un cipresso.

Scuota Aquilon dai cigolanti rami
Della tua fosca chioma
La bianca soma di gelata neve;
O che d' april tepida auretta e lieve,
Sfiorandoti con l' ale,
A un amor taciturno ti richiami,
Mi sei grave e molesto a un modo istesso,
O prete vegetale,
Negromante cipresso.

Sia ch' io ti miri austero
Lanciar sdegnosa la tua cima accanto
Al salice del pianto
Nel cimitero;
O ch' io ti vegga in lunghe file doppie,
Processionante immobile drappello
Di non feconde coppie,
Fiancheggiare i sentieri aridi e muti
Di pauroso castello;
Sia che l'astro del giorno
O la pallida luna
Trepida con un raggio ti saluti,
Spira sinistra un' aura a te d' intorno
Di misteriosa quiete,
Ch' io penso: Ah! m' ingannai, non v' è lacuna;
Anco le piante han tra di loro il prete.

Mi è grata l' ombra negli estivi ardori,
Ma per me l' ombra tua non ha conforti:
Ella m' affligge; ella è ombra pei morti.

Grata m' è pur la vista
D' erbe feraci e di leggiadri fiori:
Mai non ne vidi crescere al tuo piede,
O longevo egoista;
Presso a te non alligna
Che strisciante, clorotica gramigna.

Quando miro le selve ove, raccolti
In amica famiglia,
Giovani faggi, àlbatri e pioppi annosi
Veggo uniti intrecciarsi in amorosi
Nodi coi rami folti,
Penso: il Cipresso a quelli non somiglia!....
Tu perfino all'innesto,
Ribelle e ad ogni lieta compagnia,
Ipocrita funesto,
Solo, freddo, composto, minaccioso
Ombreggi cupo la deserta via.

Guai se uno stanco arbusto
Cerca fra i rami tuoi dolce riposo!
Tu non ti pieghi, accogli le sue fronde
Tra la tenebra fitta
Che la tua densa chioma a lui nasconde;
Non piangi e non sorridi,
Ma lento, inesorato,
Dopo una vita afflitta ,
Soffocato lo uccidi.

Va', chè Drùida, Dervis, Bonzo o Fachiro,
Spandi un' aura letale a un modo istesso,
O Prete vegetale,
Negromante Cipresso.

Firenze, 1875.

XXXI.
La preghiera del mattino.

Signore Dio, tu che se' tanto immenso,
Che non soffri di tosse e non t' inquieti
Nemmeno al puzzo del tarlato incenso
Che ti bruciano i preti;

Tu ch' hai fatto le zampe ai mastodonti,
Gli occhi alle pulci, i peli alle zanzare,
La spina ai gobbi, le cascate, i monti,
L' acciughe e il mare;

Tu che dal soglio d' etere, nell' azzurro infinito
Sbuzzi vassalli e despoti con un colpo di dito;

Tu che del cielo all' estasi accogli anco i birbanti,
Purchè prima di stendere (cinque minuti avanti!)

Pietosi a te rivolgano un pensiero, un accento,
Sicuri, sicurissimi dell' ottanta per cento,

Deh! guarda della misera Terra la rea sozzura.
E dimmi se a non fremere ci fai bella figura!

Onde, se fosse lecito a questo indegno figlio
Verso il Tuo trono volgere un debole consiglio,

Direi, ma rimettendomi, che non sarebbe male,
Rinnocare un diluvio, potendo, universale.

Ma innanzi di far piovere, credo, sarebbe bene
Pensare un po' qual genere di pioggia Ti conviene;

Perchè nel nostro secolo, con l'acqua solamente,
C' è il caso di far ridere senza concluder niente.

Vi son tanti piroscafi, e gozzi, e paranzelle
Che non ne affoghi sedici e giocherei la pelle.

- O provando coi fulmini? - Nulla! nemmen con quelli;
Restan su i pali elettrici peggio de' filunguelli.

- O un diluvio di vipere basterebbe? - Nemmeno!
Mio Dio, siamo alle solite: ci hanno il contravveleno.

- D' acqua vite? - La bevono. - Di tigri, di leoni?....
D'orsi bianchi? - Li spellano e fanno de' giubboni.

- O dunque? - Io, per non perdermi in tante lungagnate,
Manderei uno splendido diluvio di legnate.

Firenze, 1878.

XXXII.
Una condanna dell'avvenire.

Chiotto, dentro la gabbia accovacciato
Come un lupatto preso alla tagliola,
Ride dal vizzo ceffo l'imputato.
Il capo de' Giurati ha la parola.

...."Il genitore fu da lui scannato? -
- Sì - Il colpo fu ammenato nella gola? -
- Sì.- Fu solo movente del reato
Il furto d'una lira? - Si. - O fu sola

Brutalità malvagia? - No. - In coscienza
E sul mio onore, visto che il misfatto
È sì atroce da ascriverlo a demenza;

Comprovato l'assalto armata mano,
L'eccidio, il furto e le altre vie di fatto,
Noi v'ordiniamo sei mignatte all'ano.

Pistoia, 1884.

Ndr: Le note sono trascritte dall'edizione originale


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