Segnatura: Biblioteca Nazionale Braidense - 13.77.B.5
Danza della pazzia.
Se i guardiani taciturni che vegliano la nostra pazzia
si addormenteranno ripiegando sulla propria stanchezza
la testa calva, dagli occhi lucidi e stravolti,
o compagni dei miti sogni celesti,
noi danzeremo una danza infinita: prima di morire.
E sarà l'ultima ebbrezza
quella che canterà a martello nelle tempie sensibili
i riti inesprimibili della ragione!
Gettiamo disordinatamente in un cake-walke fantastico
le nostre gambe per aria! Che facciano la ruota
questi pavoni maledetti, in un giardino incendiato
all'ombra di un grande albero secolare!
Agitiamoci come i risuonanti zoccoli marinareschi
in piedi microscopici di fanciulle sognanti:
nel vano della finestra, incuriosita,
una fanciulla fila all'arcolaio d'oro,
e la matassa s'annoda di stelle,
ed il gomitolo, alfine, si chiude: o bel cuore
che abbia diffuso il suo sogno in un delirio notturno!
Io so il vostro passo ginnastico e cadenzato
simile a quello del mare, che dalla riva stridente
corre a raggiungere il sole che s'affonda nell'acqua;
ad ogni istante un baleno sanguigno lo punge;
e l'ombra della montagna, da terra, lo insegue col fiotto.
A poco a poco, al passo isolato s'aggiunge
l'irrequieto ansimare delle onde tumultuose,
ma il sole fugge a ritroso, scivola sulla maretta,
e speronando il cielo che lo lascia passare,
entra fra due cortine di nubi d'oltre mare
come in una tranquilla alcova violetta.
Se danzeremo, o compagni dei miei sogni celesti
prima che si risveglino i guardiani atterriti,
noi troveremo pure un canto: che allunghi su di noi
l'inno tranquillo della nostra fine.
Ma ci parrà la voce straniera, sopraggiunta
dall' invisibile regno della Ragione lontana,
come la campana
che annunzia a tre rintocchi
nel crepuscolo insonne, l'ora fedele della morte.
Ogni musica lenta, troppo lenta,
sarà per questa danza scapigliata,
ed ogni movimento, troppo lento,
qualunque febbre lo culli del suo calor tropicale.
Ma se i vostri occhi splenderanno, a notte,
dell'importuna saggezza di una follia più feroce,
quelle piccole fiamme soltanto
vedranno gli uomini ragionevoli
navigare nel buio: lucciole a coppie,
in cerca d'un riposo.
E la danza suprema
della notte che trema - e s'addormenta
svanirà con un passo elegiaco,
quasi che i nostri corpi invisibili
volessero finire in una sinfonia di carezze.
...Tutto un giardino azzurro: mormorare di foglie,
un mandolino che si lamenta, suona
in un chiaro di luna artificiale,
e l'anima ci fa male, tanto male
perchè la nostra pazzia
vede più della Ragione che ci abbandona!
Apparizioni di nubi.
Piccola vela bianca, in un mare sconfinato
tremante sullo specchio volubile dell'acqua
di paura e di freddo, nella corsa verticale;
alle volte ti assale
lo spettro visionario che t'insegue nel cielo.
Un Re tronfio, con la pancia di nuvole,
passa nel limite estremo dell'orizzonte.
Delle case fantastiche, si disfanno
in una dissoluzione aerea
precipitando masso su masso, con un balzo profondo:
dalle finestre sbocconcellate
la luna si spenzola a contemplare il mondo.
È incuriosita di te, piccola vela:
E ti perseguita con la sua scia luminosa
che s'incendia nel mare in uno sciacquio d'oro infinito
Tu senti il freddo della sua luce, e più tremi.
Ed i navigli obbedïenti ai remi
fuggono verso i porti nascosti nell'ombra,
dove le braccia dei moli s'aprono sterminatamente nere,
e gli occhi dei fari piangono lacrime equidistanti.
Bivacco.
I monti inseguono l'ombra turchina delle nubi e dei cirri,
ed un rosario di grù
si snoda nel cobalto d'un cielo indefinito
in una catena perlare: piantata su nuvole d'oro.
Silenzio. Le ale lontane combattono con lentezza
sotto alla nuvolaglia che sale
in uno spasimo floreale
e invade il dominio della luna.
In questo bivacco crepuscolare, che riposa,
si sentirebbe cadere anche la luce di una stella,
anche il petalo d'una rosa,
e l'anima degli uomini sembrerebbe più semplice:
chiusa nel cielo che va oltre le montagne nere,
s'io non vedessi il mio piccolo mondo a cui scavo la fossa
viver dipinto: col suo prato fiorito e con la sua fontana
a getto interminabile, su di un vaso di porcellana
che fa morire tre fiori sulla mia tavola rossa....
Primavera borghese.
Tardi viali, impigriti nell'ombra calda dell'ultimo sole!
Si confondono le cose in una nube diafana di lontananza
e gli alberi protendono le grandi braccia vestite
di una frangia verde di foglie vive,
sui sedili solitari: dove bisbigliano gli amanti primaverili.
Quest'angolo di mistero spalanca i panorami azzurri
del desiderio in tutte le pupille che sognano,
e il desiderio ad ogni istante si raddoppia.
Passano una alla volta, coppia dopo coppia,
uomini e donne avvolti in mantelli di tenebre.
Vanno col passo stanco come se indugiassero sui loro baci,
come se camminassero sulle loro parole dolcissime:
nel paese degli innamorati
che la primavera accende di piccole lucciole sentimentali.
La città si è dimenticata del grande giardino, che vive
all'ombra solitaria della sua decrepitezza,
ed all'infuori di queste ombre d'amore, che passano
abbracciate, forse per una volta sola, in cerca della gioia,
nessuno disturba il silenzio della solitudine borghese:
nemmeno i grilli!
Gli alberi soli si profilano nel cielo, dondolando
le braccia, quasi che ad ogni coppia che passa
e si allontana sulla cadenza dei baci lunghissimi,
volessero lanciare una pioggia di fiori:
come un pugno di confetti.
Diventano più violetti
ad ogni minuto: poi s'inchinàno alle stelle
in un gaglioffo saluto,
e s'addormentano in un'estasi generale
immobili: per non turbare con la presenza importuna
questi falsi richiami ciabattoni
di falsi innamorati: troppo ubriachi di luna....
Revolverate nelle nuvole.
Qualche volta mi accade di viaggiare a lungo
in una sterminata città, oppressa da nubi ingoiate
da vie a gamba di cane.
Ovunque io mi volga, le case hanno mura di nuvole
e finestre d'azzurro. Uomini ignoti vi girano
come fantasmi. Nessuna voce s'ode nei portici.
Nessun fiume si scarica sotto i ponti.
Ma dietro le grate compare uno strano volto di cadavere
che mi fissa con occhi ubriachi senza parlare.
Vorrei fuggire e non posso: da quest'incubo eguale,
tutto grigio ed insonne; da questa città scolorita
ove gli uomini son senza nome perchè non sanno parlare,
e si indicano a gesti, e strascican vecchie zimarre
naturalmente tessute di fili di nubi diafane.
Vorrei chiamare e non posso: questi compagni di via
che hanno di vecchie sete morbidezze invisibili
e mi tendon la mano attraverso il grigiore;
questi fantasmi, uomini od ombre che siano,
dall'incedere lento di gru filosofali.
Più grave, la nube m'opprime sotto il suo parapioggia
impalpabile. Le vie si moltiplicano, a sghembo,
fra catapecchie incrostate di lapidi sante,
e qualche macchia di sangue interrompe il selciato
lugubre con la purulenza rossa della sua traccia.
Cammino. Cammino. Cammino. E più si fanno i miei passi
piccoli. più la nube mi schiaccia sul terreno
allargando il mio corpo: che sembra d'un ranocchio
gigantesco.
Ma quando l'incubo mi ha stirato come un foglio
di carta, improvvisamente, mi libero dalla visione.
Ed al fragore infernale di tre revolverate
che squarciano a volontà le vie solitarie del cielo,
trovo che la nuvolaglia si esala come un profumo
da questa appassionata crudeltà del mio sogno.
In qualche notte umida...
In qualche notte umida s'odono canti diversi
strascicare, sospendersi agli aerei fili della nebbia:
canti che pare sorgano da invisibili abissi
senza che una gola umana li abbia lanciati alle nubi
E certo, non una creatura potrebbe pensarli
nella vibrazione profonda che li accompagna,
con un'eco grassa e carnosa di ventriloquo.
Gli alberi piangono sulle voci solitarie e fantastiche,
i lumi si spengono, il cielo si richiude
ripiegato dalla lunga tenebra sonnolenta.
Pare che il canto si sia diffuso in un solo grido,
e le vie ne riportano il lamento scivolato
per i canali confluenti del loro silenzio d'argento.
A mezzo sonno, in piedi sul letto, per ascoltarli,
rimaniamo un istante, con teso l'orecchio nella notte...
Più nulla. Invano, ci ha perseguitato l'orrore
di quella voce. La camera: è un funebre sepolcro
nel quale il sogno ci inchioda coi suoi puntelli lunari!
Non udremo più, mai, quel canto in minore, di tormento
correr prima della nostra inquietudine
ed inseguire il rimorso con voce d'avventura?
Forse, la vibrazione della nostra anima stanca
senza di noi, vagabonda come un cane notturno,
e cerca la sua sepoltura?...
La stessa ciliegia.
Vorrei piangere per un momento solo
con voi, che soffrite, o fratelli taciturni:
sarebbe in quel momento l'anima mia un'oasi sterminata,
un immenso giardino:
dove su tutte le rame un pappagallo turchino
beccherebbe la stessa ciliegia.
Tutti, verreste in quella tranquillità riposante,
senza meraviglia e senza stupore,
in una luce calma e diffusa, velata di sole,
a vivere l'ora della gioia
in una malinconia provinciale.
Nell'insonnia delle notti tormentate dalla luna,
udreste cadere dalla roccia
goccia su goccia
l'acqua delle sorgenti, che fino all'albeggiare
stillano il nastro di seta grigia
della loro vita infinita.
Camminereste in silenzio
assorti, come stranieri: che si domandino
se lo stesso sole o la medesima luna
splendano su la loro terra lontana,
e a sera, una campana
vi direbbe che la notte cammina
verso di voi: perchè la pace notturna
vi sorprenderebbe nell'estasi del vostro silenzio
senza che ve ne accorgeste.
All'ombra di un palmizio, una capanna di stoppia
accoglierebbe i vostri riposi randagi:
e per addomentarvi, a un frullo d'ale,
non avreste il pensiero, di nascondere sotto al guanciale
il portafoglio del vostro mistero.
Ogni amore, ogni cura, ogni cattivo tormento
voi filereste allora, in un bianco gomitolo di sogni,
composto ad ogni istante nella sua forma chiusa,
e l'anima serena diffusa
dalla vostra serenità, graverebbe in sordina
sulla stridula conocchia dalla testa canuta
della quale potreste dipanare i capelli a matasse...
Cosi la mia pietà,
vestì un giorno di sole dell'avvenire e di stelle
l'umanità tremante che moriva di stento:
ma se ora le chiedesse di disabbigliarsi un momento?
L' annegata.
- Ho i polmoni intessuti d'alighe azzurre,
e respiro a boccate tutto il veleno del mare.
Nel cavo delle mani, misericordi e salate;
raccolsi un giorno le mie lagrime di sangue,
e negli occhi trattenni l'immagine della luna
perchè i pesci vi prendessero
la tempra metallica delle squame.
Nei miei capelli, le stelle del mare,
le divine asterie miracolose,
s' intrecciano con le mobili
punte tentacolari,
tra rame di corallo bianco
e conchiglie madreperlari,
si che vi posso sembrare
una africana divinità orientale.
Volete i miei tesori,
uomini dalla piccola fede e dalla lingua ridicola?
Sotto lo schiaffo rovente del sole,
si sgonfia come una vescica
multicolore e diversa
il corpo che fu carne viva.
Il vento scompone gli stracci
tesi come vele,
e naviga su due livide mammelle.
L'odore del mare fermenta,
il sole assaetta.
- Ancora la tua voce sepolcrale,
o ritornata alla terra,
e i tuoi tesori - se vuoi - portati a renzaglio
dalla profondità degl'impossibili abissi!...
No. La femina si sfilaccia
più di una trina.
Le sue ricchezze incustodite s'agitano
in un groviglio di vermi,
come in un fermaglio
che le si chiuda alla vita.
- I miei tesori? - E ride
col fiotto della maretta,
che sciabordi sotto la chiglia
d'una barca sonnacchiosa.
- Li ho sognati in riflessi innumerevoli.
Tutta n'ero piena,
come lo scrigno del sole!
Mille vele fremevano su di me
nei mattini perlari,
con l'ombre fuggitive
dei pollacconi allacciati.
Poi, le barche gettavano
la stessa àncora rossa
fra gli scogli azzurrastri,
ed io l'abbrancavo coi denti.
- O maledetti, verrete a trovarmi!
E le scotte stridevano.
- Uomini vivi,
in cupidigia di squali danzerete
una volta o l'altra
in fondo al mare la tarantella della morte!
Vi sono sistri meravigliosi,
e cròtali, per la musica funerale!
I suonatori scheletrici
hanno occhiali di vipera
e attendono seduti su troni di corallo!
Silenzio. E l'elica di un piroscafo tumultuoso
mi accarezzava la chioma
con l'ondata sciante,
si che i miei capelli
sembravano la coda di una cometa.
E la mia voce perduta, senza eco,
e senza brividi,
mi ritornava improvvisa
nella gola palpitante!
Tutte le mie notti ho vegliato,
e valicato gli oceani,
tra scoglio e scoglio, scivolando sui muschi,
come se pattinassi
sulle correnti sottomarine,
tra un fremito metallico di pinne
che splendevano come mannaie,
in una luce verdigna di bottiglia!
Tutti i miei giorni ho salito,
la scala d'oro del sole,
fino alla superficie del mare,
tra una balaustra d'alghe agitate:
i palazzi abissali
spalancavano le finestre,
e le caverne rimbombavano,
nella solitudine,
dei miei passi feltrati.
Ed ecco, una rete stillante
mi prese nell'insidia delle maglie,
e vidi il sole a nudo
sanguinare sul mondo.
Ora, se mi fissate negli occhi di vetro
vedrete brillarvi delle enormi goccie
di mare ghiacciato!
Ho una croce di sangue
che dalla bocca mi scende sul collo,
e le mie mani raggrinzite
di cui potreste modificare la forma,
come fossero di cera,
stringono un pugno di rena.
Il mio corpo? Orribile: un sacco,
l miei capelli? Un nodo.
Il mio ventre è scarnito
più del guscio d'un'ostrica,
e si ritorce al sole come un polpo trafitto.
Non la vostra aria dunque,
uomini dalle piccole miserie nervose,
e non il vostro mondo!
Io, che odiai nella vita
tutto che fu malvagio,
e amai col cuore in tumulto
tutto l'amore,
sicchè la mia macchina
pulsò come la dinamo infernale
che canta nei volanti
una canzone di vertigine e di sangue,
- quasi che sfracellasse mille vite in un palpito -
perchè sono da voi oggi contaminata?
Volete forse vedere
questo orribile mostro
che vi porta dall'al di là
il suo ricordo d'amore,
e vi grida fremendo l'ultimo grido d'un sogno
per farvi ridere: come una scimmia camuffata da regina?
Lasciatemi! Il mare
è un liquido velario turchino,
ma è una coltre funeraria
ben piccola
per il mio gran sogno che muore!
Lasciatemi! Se no
io vi farò paura! Volete forse sognarmi,
alla notte,
stringendo le vostre donne
sotto alle stelle d'agosto?
Contro il petto vostro,
l'ironico fantasma della mia carne
stringerete ìn vece di loro
tra gridi pazzi di delirio,
mentre sulla bocca
vi passerà la mia capigliatura
in un azzurro brivido di morte.
E rivedrete il povero rimorso
delle mia membra disfatte
navigante nel mare
per la corrente oceanica
in una fuga pazza e taciturna
davanti a un gruppo di pescicani affamati,
sì che la carne vostra mortale
vorrà trapassare, nell'ultimo grido di orrore,
che spalanca le porte insaziabili
dell'eternità.
Maledetta la luna!
Preludio antiromantico.
Quando Pan impugnò la sua siringa d'oro
e la luna si sporse al balcone barocco,
gli alberi s'inchinarono in stile settecento:
gridava una civetta: Viva il romanticismo!
La notte azzurra sembrò sospesa nel grido occhialuto
con la tortura spasmodica delle sue stelle rosse:
ulcere fosforescenti, contagio di mondi divini.
Belarono i fiumi correnti, canzoni d'Arcadia e di sonno,
con le bocche bavose di tutti i contemporanei;
nella contemplazione si fossilizzarono gli occhi
cisposi di lacrime stanche, con un alone di luna.
I roseti fiorivano napoleonicamente
nei giardini storditi dal canto degli usignoli,
Dagli antri di muffa grigiastra, sorrisero le ninfe
quasi che sgocciolassero la lunga risata satanica
nelle sorgenti livide, scaturite dal monte.
Io ti cullai così, cantando, o mio piccolo amore:
"Maledetta la luna! Maledetta ella sia,
piccola ancella che porta il soggolo della beghina
e mormora ipocrituzze preghiere da innamorati!
Il mondo si converte in un convento corrotto
mentre sbadiglia la cronica veglia di dodici ore,
ed i fratelli notturni pensano l'ultimo inganno
avvolti nel suo manto come in cotte d'argento.
Maledetta la luna! Che s'indugia nel trivio,
sgonnellando, come una meretrice gaglioffa:
e non vuole interrompere questa cristianità
che ci suggella a fuoco le midolla ammarcite!
Brilla nell'ombra a un tratto la lama d'un coltello,
così lucida che sembra un lampo di fuoco:
assassini, briganti, ladri e omicidi romantici
fuggono nel mistero in un brivido d'oro.
Tu che mi sei vicina, ti stringi al mio petto robusto
se ti raggiunge il grido d'un moribondo lontano:
e poi che il grido è rosso e profumato di sogno
cerchi la bocca mia, come un vulcano d'amore...
Ma quando una campana s'agita all'alba, e sta:
spalancando a volate la sua gola di bronzo,
sotto le coltri oscure della crosta terrestre
scivoli, brancolando in un altro emisfero,
che finalmente t'ha raggiunta l'estrema invettiva
del mio sonno irrequieto tormentato di baci,
e nel cielo verdigno lo spettro del mio desiderio
- come un eroe futuro va: cavalcando il sole!
Epilogo moderno.
Anche tu la conosci, o Bella, la malattia
grigia del nostro secolo: quella che fa morire
giorno per giorno, come se da una montagna celeste
rotolassimo i pesi della nostra gioia
e la mancanza di lei ci ardesse nei polmoni!
Piccolo sentimento di borghesia rattrappita
che s'avvolge in pelliccie che non potrà pagare:
- desiderio dell'impossibile, sete di infinità,
febbre di quello che diverremo domani
ci martella le tempie così fragili.
che quasi potresti schiacciarle come il naso d'un gatto!
E mentre la politica ci solletica i piedi
con la sua lingua perfida acidula e rovente,
e le religioni bugiarde ci chiudono gli occhi viziosi,
se tu vuoi vivere, devi creare un bel cuore meccanico,
ed aspirar l'effluvio rovente delle fornaci,
e tingere il bel volto nel fumo delle ciminiere,
elettrizzarti in milioni di volt, alle dinamo:
devi fare della vita, un automatico sogno,
martoriato di leve e di contatti e di fili!
Quando il tuo cuore sarà come un rocchetto di Ruhmkorff
e le tue mani tenaci avranno un furore metallico,
ed il tuo petto potrà gonfiarsi più del mare,
oh, grida allora la tua vittoria definitiva!
Chè se la macchina greggia ha sorpassato l'uomo
nella sua perfezione regolare e brutale,
l'uomo sarà domani il Re della macchina bruta,
dominatore di tutte le cose finite e infinite!
Sia maledetta la luna!
Cani senza padrone e senza laccio.
Cani vagabondi, nel rumore della città sconfinata,
cani senza padrone
e senza laccio, cari ai "notturni" dei poeti,
io v'ho sentito nelle chiare serenate d'Aprile
abbaiare alla luna, in un lugubre strazio,
il ritornello di pianto dalla gola affamata.
Era il cielo più profondo e luminoso di lontananza:
tutto palpitava nella diafana stanchezza della notte,
se il vento tiepido impregnava i roseti e le siepi,
e i messaggi dei mondi valicavano gli spazî,
per la via lattea, drappeggiata orifiamma.
Solo il miserabile armato del grimaldello
spiava il vostro spasimo sbadigliante nella tenebra,
e correva il selciato pulito dalla luna.
Ma dietro al passo elastico, balzava a perdifiato
la vostra corsa ansimante.
E la via ne risonava ad un tratto,
strappata nella tenebra dall'ululare irascibile.
L 'alba vi ritrovava, così, nella sua nudità,
bagnati dal suo brivido, dalla testa alla coda,
e le stelle morivano nei vostri occhi assonnati,
se, il vento le portava in un'altra notte lontana
come uno sciame di lucciole palpitanti
nella grigia meraviglia antelucana...
- Cercheremo un paese rosso
per dormire la siesta
quando la pancia è gonfia di vento
e le pulci ci ballano addosso
una tarantella molesta!
- Spolperemo la sanguigna frangia
d'una carogna bagnata di sole!
È giusto che la divoriamo,
se il sole la mangia,
in un prato livido di viole!
- Troveremo una cagnetta domestica
profumata come una cocotte
perchè inghirlandi la nostra avventura
contro natura,
sapendo la curiosità
della nostra libera brutalità!
- E pisceremo di corsa, passando
all'ombra di qualche tabernacolo:
rispettiamo troppo la religione
benchè siamo cani senza laccio
e senza padrone!...
Era il cielo più profondo e luminoso di lontananza
e l'Aprile bruciava nell'incensiere del mondo
il profumo della sua giovinezza ammalata e ribelle:
un fantasma di donna con un diadema di stelle.
La confraternita della morte.
La confraternita della morte s'è abbigliata a nuovo,
e conduce stanotte al cimitero l'Eroe:
chiuso in una bara di quercia che crebbe sul monte.
In una fila paurosa s'è schierata lungo la strada,
sebbene la pioggia singhiozzi a raffiche.
E chi ha indossato strani costumi: con teste di coccodrillo,
ed occhi di gatto feroce ed artigli di iena.
E chi ha voluto perdere anche la forma del bruto:
s'è tagliato la testa, addirittura,
di modo che il suo corpo che cammina fa quasi paura.
Occhi fosforescenti vivono di verdi bagliori,
ed ombre si confondono in un tumulto silenzioso.
È un funerale in cui non s'ode un singulto, nè un pianto.
Nessuno, per fortuna, dice commemorazioni.
Ma si presenta come sarebbe, se le finzioni
della vita non sempre lo obbligassero a rivestire
gli stracci che la moda ha tagliato a suo uso...
Strano che per un funerale la confraternita abbia raccolto
gli affiliati da tutte le parti della terra!
Nel proclama era scritto: È morto un eroe leggendario,
- Garibaldi? Mazzini? - godiamone dunque insieme,
e serva l'esempio in eterno della sua vita.
Ne godono, cosi, taciturni. Le notabilità
procedono dietro al mortorio con passo tradizionale:
s'è intonata l'Eroica di Beethoven!
Il cielo si allarga nell'arco infinito dello spazio
drappeggiato tappeto funebre,
ed intorno, le stelle, le fiammeggianti torcie notturne,
v'intrecciano lunghi veli volubili di fumo.
Oh sviolinate, che l'accordo dei tromboni affila nel silenzio,
mentre i flauti stillano lacrime di suono, raucamente!
Invisibili orchestre, tormentate dai contrabbassi
galoppano col grave incedere delle note sonnacchiose,
schiacciando gemiti d'arpe e sospiri di viole!
Una nota tremula, tenuta, resiste sospesa nel vuoto:
trilla, tristissima estenuata nel "si".
E cigola il cancello del cimitero. Cipressi schiomati
s'agitano; salici barbuti si piegano:
ogni tomba s'arrovventa, in un infula d'argento;
sull'agonia delle ghirlande passa un alito di vento:
tutto si raccoglie in un profumo d'assenzio.
Come in quest'attimo la morte odora di santità
e di silenzio!
Ma c'è la Stupidaggine dal tiepido corpo rotondo,
nell'attonita sospensione di quest'ora interminabile!
Gira gli occhi verdastri di brillanti, nel vento,
e dritta sulla croce d'un monumento,
che forse crede la croce del suo martirio,
dice l'elogio dell'Eroe
mostrando il flaccido ventre: dal quale la Ragione
rubò le budella, in un sereno di primavera,
quando c'era
la poesia dell'Aprile, e le fontane, destate
nella paralisi invernale dal giovinetto sole dell'alba,
singhiozzavano di gioia!
Ecco dove la fossa umida inghiottirà la bara di quercia!
Il cielo discioglie i veli opachi delle sue nubi:
come gli uomini saggi ha chiuse le porte d'oro del sogno,
in cui le fanciulle gigliate cantano in torno a una fonte
fresche parole di giovinezza!
Tutto l'orizzonte
riflette il tedio pauroso in una placida ebrezza
senza fine.... Che s'aspetta? L'ora del trapasso, che suona
inesorabilmente, a rintocchi grigi, nelle torri,
della città fanfarona?...
La confraternita non può sciogliersi così. Qualcuno
picchierà bene il piccone sulla terra grassa
dove la cassa scompare col suo cadavere ignudo!
Qualcuno? Ma certo! E s'udrà battere il marrello!
E s'udrà scivolare la vanga! E piantare la croce!
Mentre al canto d'un gallo
esploderà la prima luce, ad oriente, in un alone giallo,
e trionfale nel purificato mattino
comparirà con un fascio di corde,
uomini ed ombre, il nostro amico becchino!