Versi liberi
di Enrico Cavacchioli
Milano, Edizioni Futuriste di "Poesia", 1914
Segnatura: Biblioteca Nazionale Braidense - 13.77.B.5
La fontana dei pettirossi
Intorno alla vasca, per uno strano miracolo della notte,
i lilla sono cresciuti improvvisamente
in ombrelle di profumo soave,
e l'acqua è violacea come i fiori che la bevono
a piccoli sorsi, con le piccole bocche corrotte.
Un'alba tiepida si snerva senza sole
nel cielo. Il vento è rivoluzionario
e confonde gli aromi. La vasca gelida,
fa tremare di freddo l'acqua che s'illividisce.
O mio demonio, e tu, ridi coi fiori
se il loro profumo mi sfinisce;
ridi con la chiarità dei cieli
se la loro luce m'acceca;
e ti nascondi per siepi e per bossi,
se l'ombra di un pettirosso che vola
mette una macchia di sangue nel mare dei lilla:
passando sulla fontana dei pettirossi.
Ma stamane son'io che canto!
E la mia voce è più fresca
dell'acqua di tutte le polle!
Ed il mio cuore ha il profumo di tutte le corolle!
Io sono più semplice e canto!
Ti guardo nelle pupille finchè muoio di stanchezza,
perchè sono la carezza della primavera
più tiepida. Ti parlo sulla bocca
perchè tu sappia il fremito del mio discorso: messo
fra le tue labbra carnali come una foglia di rosa.
E ti chiudo gli orecchi: perchè tu non senta - tu sola! -
che sono l'empirico di me stesso
che nella vecchia anima corrosa e tranquilla
cerca un brivido di sangue: - per te sola! -
come la macchia che nel mare dei lilla
passando sulla fontana dei pettirossi
mette l'ombra di un pettirosso che vola!
Il mandorlo.
Il mandorlo, stiracchiando le rosse braccia nodose
s' accorse un mattino d'essere ignudo.
Disse: come mi vestirò
se i fiori del mio desiderio sono ancora in boccio?
Si domandò.
Non si rispose.
E l'orto fu pieno della sua querela
e dei trilli della capinera,
che s'era innamorata per la prima volta.
Sentiva, però, sulla ruvida scorza
il solletico delle gemme
che stanno per rompersi
per forza.
Ed una comune febbre di giovinezza,
lo faceva rabbrividire dalle radici,
gli faceva singhiozzare nell'alba,
un lamento monotono e fanciullesco.
- Un sorso di rugiada!
Ho sete e non voglio morire!
Son così giovine! Sarebbe un sacrilegio!
Ed a mio padre, vecchio mandorlo,
nessuno pensa?
Solo la notte immensa
è, dunque, la mia protettrice sicura
poichè mi accarezza
con la sua frescura?
E la rugiada, allora, giunse
passando di nube in nube,
in uno staccio d' argento,
e tutto lo avvolse nel suo piangere lento
e sottile, di mille stille, dall'umor vario,
di mille perle,
che il sole accendeva
come le fiamme di un lampadario.
Ma fu contento? No.
Tutto il mattino, vedendo
il pesco coprirsi, vestirsi
della bambagia rosata
dei suoi fiori da paravento,
il mandorlo delirò.
E solo quando ricadde
la notte, potè calmare, con un po' di pazienza
gli ardori della febbre,
e l'inquietudine dell' adolescenza.
E attese l'alba. Ancora.
L'alba che ha voce di campana
e di nidi aperti,
e di finestre esposte a tramontana.
L'alba che s' illumina per vederti,
o mandorletto,
tutta a festa,
e mi desta
gettandomi giù dal letto.
L'alba era calda d' amore
più del solito!
Più del solito ribalda
coi suoi fremiti
che sbattono le lenzuola al vento!
Il mandorlo non ebbe
più coraggio. Pensò:
Ecco è giunto il momento
supremol E salutò
il cielo con le rondini,
la siepe e gli usignoli dalle lingue prolisse,
che, perchè cantavano
a squarciagola
deridendolo, pure maledisse.
Un' ultima preghiera
gli rimase. E pregò:
- Linfa, mia linfa! Soccorrimi!
agitando la ramaglia
in un tremore verde:
il tremito di chi perde
la ragione,
e non s'accorge che non si sbaglia.
Ed ecco: come se un formicaio
gli si avventasse sul tronco,
la linfa, dalle radici
salì: di ramo in rametto;
la bianca scala delle sue fibre vive:
pullulò come il pozzo
che rampolla dalle sorgive.
E quando con l'aroma
acre pe'l lungo cammino solitario
lo squassò il vento, giunto,
in tempo di contrappunto,
a pettinargli la chioma,
proprio di là,
si: proprio dalle azzurre e fresche gole
della notte,
- o miracolo nuovo del miracolo! -
tutta la sua pubertà,
esplose in un raggio di sole!
Il gregge di gazzelle.
Col mattino liquido di rugiada sull'erba delle fratte,
la selva si destò, sgranando gli occhi alla primavera,
e disciolse le chiome delle lunghissime rame spettinate
quando le gazzelle uscirono in branco dal letto notturno.
Il maschio precedeva agile e nervoso,
e la rugiada lo batteva sul mantello, a colpi di perle.
Egli era veramente il magnifico re del suo gregge,
e il velluto dei suoi zoccoli sfiorava il velluto della selva.
Sfrascava egli, per primo, con le corna aguzze:
e dalla siepe cadevano pioggie di fiori sanguigni.
In ogni fremito del suo galoppo feltrato
la primavera metteva un brivido verde di desiderio,
gli occhi ardevano di sole, le nari cercavano un profumo
di carne viva, la corsa moltiplicava l'ardore,
e ad ogni scossa gli gettava il cuore fra i denti bianchissimi.
Tutta la selva frugò nel mattino fiorito, tra le felci femmine:
come se cercasse il fantasma di un sogno di gazzelle.
Ma poi che egli fu giunto sul limitare degli alberi,
e vide tra i campi ondulare le forme degli uomini,
il ribaldo non volle andare più lontano, e tornò
nell'ombra umida e nera della foresta materna.
Allora, re della torma, cavalcò ogni sua femina, ignuda,
e fu letto all'amore la siepe di rose di macchia
che lo punse come un cilicio nei fianchi divini.
Bramì, di ferocia e di ardore, il maschio tigrato di sangue
nei lombi. Più presso si fecero le altre gazzelle
a lambir le ferite del loro signore, in silenzio,
mentre l'orchestra dei rosignoli,
trillava dalle rame in pianto:
cosi che il bosco
sembrava suonare più della corda bassa di un'arpa
toccata appena dal disco rovente del sole di Marzo....
Le campane eretiche.
Le campane non vollero più chiamare i fedeli alla messa.
Spalancando nell'aurora le loro gole di bronzo
lanciavano un altro grido, col rintocco argentino,
e le rondini spaurite, garrivano sulle gronde della torre.
« Oh, non lascerete i vostri letti, tiepidi come piume di tortora!
Stamane il sole, ara la terra per voi, o bifolchi!
E voi, arate le vostre donne:
col seme che non date ai solchi!
« Oh, le vostre beghine gridano tutte all'inferno,
e l'inferno le arroventa nelle vecchie carni solitarie!
Nemmeno Gesù cerca le dolci parole dei preti!
« Oh, le vittime ridono a gola piena di voi,
usurai d'amore che volete il cento per cento sentimentale!
La primavera semplifica d'ogni interesse il capitale!
Le foreste scattano, il sole proietta su tappeti verdi
braccia di rami in una trina nera d'ombra,
e nel mare dei fiori navigano incertamente i merli
che senton su la testa chiudersi la risacca dei petali.
« O voi che avete un cuore, apritelo come un frutto! -
boccheggiano le campane nell'ansia turchina de' cieli -
Uomini siete! L'istinto può governarvi da soli!
Malediciamo i preti! Glorifichiamo i mercanti!
Per l'obolo dei peccatori col quale fummo create
noi scampaniamo nell'alba il peccato della rivoluzione!...
E quando il campanaro, stanco, lasciò la sua corda
e le gole di bronzo si chiusero senza più voce,
i bifolchi, con occhi tumidi si affacciarono alle porte,
le beghine segnarono le strade con le loro ciabatte,
e tutti i cuori squillarono: come campane al vento....
La ruota del mulino.
Anche la ruota del mulino ha imparato una diversa canzone,
che l'oboe dei fanelli accompagna, nel contrappunto
del fiume.
Il fiume che la cimenta nella corsa perpetua,
indifferente al suo triste cigolìo d'ammalata
è fiorito di rosse corolle annegate nel gorgo.
Più turchino è il cielo,
e più turchina è l' acqua che lo vorrebbe inghiottire.
Le lente pale della ruota sono vecchie e virtuose.
Ma quando videro succedere all'impeto loro
di tutti i giorni, le forze dei frantoi elettrici, piansero
come non mai. - È finita. Morremo in un'ora di sogno! -
E dissero al fiume: Travolgici nell'ansia della tua corsa,
sinchè esplodiamo dal mozzo come un fuoco d'artifizio.
Gli uomini sono animali gonfi di ingratitudine.
Ne uccideremo qualcuno, in un mattino celeste
perchè la nostra morte sia orribile di rimorso!...
Ed ecco stamane che il fiume
s'intorbida, e scivola cadenzato di profumi,
e cresce dentro al suo letto, per solchi, tortuosi arabeschi;
e s'infuria se tiepido il cielo d'oro apparisce,
e dai monti che sgelano si disfanno le vecchie valanghe,
consumate dal sole: che guarda
dal grande oceano degli astri.
La ruota del mulino sferra intorno al suo mozzo,
e l'acqua la sospinge di più nel gorgo spumeggiante:
sembra impazzita nella vertigine dell'ultimo mattino.
Gli uomini, raggruppati intorno a lei, non sanno spiegare
il mistero.
S'interrogano. Così? Proprio così? Quand' ecco
le sue pale ad un tratto si scompongono,
e tutta disfatta, in barbagli di shrapnel,
muore nel cielo magnifico, dietro a un volo di rondini
che insegue e disperde nell'orribile fuga.
Un fanciullo che guarda con occhi d'agnello, è percosso
in mezzo alla fronte, come un arancio che si fende,
dal bolide improvviso d'una pala che ricade,
Sprofonda nel fiume senza un grido,
e la corrente lo afferra
e porta con sè la ninfea rossa di carne viva.
Allora, nel mattino placido,
il mozzo si ferma con un piccolo gemito:
la vecchia canzone finisce di mormorare ai fanelli
il ritmo senza variazione
che la lebbra del musco cullava...
È il mattino della liberazione.
Un gallo.
« Chicchirichi! Buon giorno a tutti nella fattoria!
Massaie bionde, con belle carni rotonde,
uscendo dal pollaio
il sole mi ha incoronato con un infula rossa:
io vi farò la corte, prima che mi tiriate il collo!
Le mie mogli che covano sulla paglia, gravi e pesanti,
non sanno che io vi guardo con intenzione
dall'alto della fienaia,
ed i vostri mariti, certamente vi credono
protette dal mio desiderio, se vi spoglio
per cavalcar le vostre mammelle
rotonde come due chioccie....
La città addormentata.
Con la rete intricata delle strade violette,
sulle quali un asino pigro sferraglia nella penombra,
con le finestre chiuse e qualche beghina, in piedi,
su la porta, che scruta il cielo orientale,
la città che dorme, ha stamane un profumo
di convalescenza.
Ma dalla campagna lontana, giungono strani carriaggi,
che sanno di verdura e di concime. Schiocca una frusta
dietro lo zoccolante passo di un ronzino da fiera,
ed una canzone, a mezza voce, accompagna l'apparizione.
Piccolo borgo paesano, pare questa città nell'alba
con le bandiere
dei cenci che l'adornano da una finestra all'altra;
coi due caffè che spalancano le loro luci beffarde
prima delle chiese, e le campane malinconiche,
sguinzagliate a chiamar fedeli, di porta in porta....
Se non fosse la sua scenografia da Bastiglia,
se non fosse l'artiglieria delle sue ciminiere,
questa città sembrerebbe una ridicola
messa in scena borghese
cresciuta e morta su di una fossa:
in cui per fortuna, un pesco distende a gran pena
un braccio tutto fiorito della sua gloria rossa....
Sul pagliaio.
Io sono la civetta sul pagliaio
che guarda senza stupore la luce.
Come è tutto cresciuto in una notte, e qual meraviglia
hanno gli alberi, e qual freschezza hanno i fiumi!...
I nevai si disfanno zampillando; la giovinezza della terra
s'inghirlanda artificiosamente di nuove attrattive.
Ma non vi credo o magie delle stagioni allettevoli,
per cui il moribondo crede di poter vivere ancora!
Io sto sul mio pagliaio, a piedi asciutti, e posso ridere,
perchè lo stollo si dimena al vento
e spaventa tutti gli uccelli che non sono civette!
Ma non vi credo o evoluzioni della materia e della forma,
per cui nulla può morire e tutto può mutarsi:
io rimango da mille anni con la mia vecchia anima bruta,
e rido cinicamente per chi vive e chi muore.
A piedi asciutti, dal caldo letto del mio pagliaio
lancio come un sortilegio, la croce bieca del mio volto...
L' aratro.
L' aratro è la pantofola della primavera.
Il bifolco l'accompagna a passeggiare nel suo campo,
lascia cadere il seme nel solco, prega il suo Dio,
s'attanaglia un po' il cuore se grandina a dirotto,
e il fulmine spettina il raccolto.
A piene mani, falcia. E muore nello stesso solco.
Ma qualche volta la grande pantofola, cammina e cammina
senza tregua. Smuove tutte le zolle, sventra le porche:
lucida mannaia di ghigliottina ideale.
Un branco di passeri la precede, ciangottando,
volubilmente. E uno di loro prima di riprendere il volo,
dall'alto di un fumante rifiuto di giovenca
ammonisce la sua ciurmaglia rumorosa:
« Attenti, ohè, al primo filo d'erba che vibri!
Cogliete il seme nel solco! Attenti al volo! Ohè! Ohè! »
Il contadino ha l'occhio vigile e smuove
linee parallele di semente.
Il sole in ogni traccia cade, liquido, e la terra lo inghiotte:
su le creste ne rimane un attimo la schiuma
dietro il passo solenne del bove.
Ed il passero continua la concione marzolina:
« Ohè! Ohè! Non vi sembra di rivivere stamattina
fuor della vecchia vita che fin qui ci consuma? »
Il gallo avverte, da lontano, dal pagliaio
giallo, che l'ora trascorre,
e l'aratro immobile fiammeggia nel sole,
a un tratto, come un detrito d'astro
caduto dallo spazio.
« Attenti, ohè, al primo filo d'erba che vibri! »
Nell'aria trasparente sembra che si libri
il fantasma della primavera...