Versi liberi
di Enrico Cavacchioli
Milano, Edizioni Futuriste di "Poesia", 1914
Segnatura: Biblioteca Nazionale Braidense - 13.77.B.5
L'uomo che ignora sè stesso.
Si era vestito come un selvaggio
primitivo: di foglie rosse d 'uva,
e procedeva in cadenza dalla boscaglia arcigna
verso la città tumultuosa: col candore barbarico della sua
ignoranza, e la fede grave del suo canto d'amore.
Non sapeva se i suoi occhi fossero fragili come vetri
o se l'anima sua rombasse come una colata d'acciaio
che tinga il cielo notturno
d'un fuoco artificiale incandescente.
Ascoltava soltanto la sua bocca cantare
e le orecchie nervose inghiottivano il canto
come lunghi sorsi di sole
piovuti a gargana in una prigione ignuda.
Piovevan fasci di stelle, anche, e la luna s'incoronava
con una mitria azzurra, e la foresta lontana,
dietro i suoi passi fuggiva: atterrita gazzella celeste.
Le rame scattavano al passo frusciante
in una orifiamma di foglie,
di fiori, profumi, rugiade, sospiri:
quasi che al canto nostalgico, esalassero l'ultima anima irrequieta
in una morte dolcissima tutta velata di sangue.
Dove? Ma dove, uomo che canti e ignori te stesso
fuggi: in questo silenzio di meraviglia omicida?
Si chiedevano gli alberi, le fonti, i fiumi viperei.
E più forte, il corso delle correnti scivolava
sui letti di muschi, dietro al suo passo di ladro:
animando l'immobile notte
di uno stupore fluido di sonno.
Stelle! Figlie di due mie attonite pupille verdi
io vi conosco: come non conosco me stesso!
Io so che vi muovete in un ondeggiamento di sogno
e rovesciate il vostro inverosimile mondo,
come il viaggiatore del cielo
che dalla piccola nave del pallone rigonfio
veda alla notte, tremare sotto di se la terra fiorita di lumi!
Si chiede allora, perchè brillino nell'oscurità
i fari elettrici di una ridicola luce lontana,
e crede il cielo sia sprofondato giù in terra:
sicchè il suo sogno naviga fra due paradisi paralleli !
Incontro alla nube? C'è la traccia della via lattea
tutta smerlata di mondi? Due corvi impazziti, volteggiano
con occhi di fiamma sulfurea,
attratti nell'orbita rossa degli astri?
Non è vero! Vaneggi, uomo che ignori te stesso
se canti finchè non ti scoppi la bocca,
perchè la tua voce, freme come il mare in tempesta,
e mormora come le pinete verdi scapigliate dal vento!
Non è vero! Vaneggi, se vedi con occhi spalancati
deformità di colori e di mondi, di sogni e di suoni:
case che s'inchinano in riverenze di schiave
flabellate da grandi alberi gialli, in vesti autunnali,
monti ironici d'ombra, e correnti di lava esplosiva!
Si spalancano inutilmente per i mortali iracondi
forzieri di ametiste, tatuate da duri intagli di sole:
dalle casse preziose, una tromba di grammofono bianco
vomita allora un madrigale collettivo d'idiozia.
Gli uomini ridono, baciandosi le mani,
e saltellano una danza cadaverica,
come sotto lo scudiscio tagliente di un tiranno:
l'opportunità, dagli occhi cangianti più dell'arcobaleno....
Tu, mio grande e pur piccolo mondo nel mondo,
sai che la tua canzone, se muti la luce del vespro,
può far piangere a tutti lacrime di coccodrillo!