L' origine delle fonti

Poema inedito ed altre poesie scelte
di Cesare Arici, novellamente corrette
Milano, per Giuseppe Crespi, 1833

Libro II

Come augel, che da lochi imi levando
Le non timide penne inver' gli aperti
Floridi colli, a sè medesmo applaude
Con l' ali incontro al sole, e a le serene
Aure s' allegra spazïando e canta:
Così l' animo mio sorge rapito
'Ve lieta irradia immortal luce; e vago
Di più nobili mete, inebrïarsi
Gode a fonti non tocchi, e le cagioni
Del mondo occulte rivelar cantando.
E di che più s' appaga e superbisce
Nostro intelletto, che recando in luce
Quel che natura arcanamente ascose?
Non perchè, vinto il fato e il timor sciolto
Dell' ignoto poter, tanto presuma
L' uom di se stesso, da recarsi ardito
Della mente divina entro ai consigli,
E a quel ver che mortal vista rifiuta:
Ma perchè dal saper quindi si stampi
Maggior nell' uom la riverenza, e il grato
Animo a Dio glorificando ascenda.
Lo cui piacer (nel benedetto giorno
Che pose i cieli e l' alma terra e il mare,
Che della vita allargò i campi, e tanta
Di se stesso al creato orma permise)
Alla dia luce, all' agil aere, al foco
Non men che all' acque, il moto impresse; ond'ella
Con alterna vicenda il duro volto
Della terra, dall' ime a le supreme
Parti correndo, movono il giacente
Vigor de' germi, e lo spirabil aere
Attemprano. Distinta a cotal uopo
La terra interior parve di ciechi
Labirinti, d' avvolti aditi mille
Rispondenti fra loro; ed all' aperto
Che l'aer lambe e signoreggia il sole,
Erta or sale per colli e si ammassiccia,
Or per chine precipita e digrada
E facile si svolge a la pianura:
Onde costante, agevole ed amico
Fosse dell' acque il moversi. Di tutte
Le corruttibil' tempre, abominosa
Quella è dell' acqua, se poltrisce e stagna
Immobile. Risolta ogni sostanza
In cui s' avvien, turbasi a fondo e imbianca,
E al sommo di cotai nebbie si vela,
Che a le pupille solitario torna
Il solar raggio; che se il guardo ajuti
D' ottico vetro, sterminata e varia
Mirabilmente di sembianze e moti
E d' indole, famiglia entro vi scemi
Errar di vispi insetti: e morir gli uni,
E nascerne altri, e volgersi incessante
Con gran contrasto la diversa mena.
Fatta quindi mortal putrido lezzo,
Intristisce i ricolti, i germi attosca;
La ben temprata vigoria nel volto
Spegne de' vivi, e rei morbi e mefiti
Mortifere saetta e all' uom fa guerra.
Di che memore ancor, sotto il velame
Di non concessi al vulgo alti misteri,
Inni sciogliea l'antica Grecia, ed are,
Statuiva solenni a Febo-Apollo:
Che allentando il sonante arco d' argento,
L' immane e pestilente idro trafisse,
Del vagante Penèo fra la belletta
Ingenerato; e il mistico peàna
Si riferia devoto intanto al sole,
Dispensier della luce: che dal sommo
Etra le vampe saettando e i raggi,
Arse dall' alto avea le fitte e il limo
E la sozzura, di che sparso avea
La sacra Tempe esalveando il fiume.
Sicchè quel che di vita all' universo
Esser dovea principio, a fieri danni
Tornava e a morte; perocchè dal pondo
Suo natural condotta a risedersi
L' acqua più basso, onde salir mal puote,
Nell' importuna inerzia ogni suo moto,
Ogni sua vita si moria dassezzo.
Onde il fabro divino altre ammirande
Leggi provìde, perchè assiduo il giro
Fosse di quella e il trasmutarsi. E prima
Diè al gran padre oceàn che tutto abbraccia
L' universo, per turbini e procelle
Rimescolarsi, e con misura ai lidi
Ondeggiar sempre, e stringersi, e diffuso
Spargersi; e da quel velo ampio del sacro
Mare, e dall' acqua che il poter non sente
De' flussi alterni, al soprastante aperse
Etra tragitto: con sottil lavoro
Purissima e natia l' onda tornando
Dagli ardui gioghi a ricrear la terra.
Perocchè il sol da tutte parti scalda
L'orbe a tondo, e minuti erge vapori,
Che dal freddo rappresi erran sull' ale
De' venti e si fan nubi, ove li coglia
Rigor più intenso. E rasentar le vedi
L'alte cime de' monti, ed impigliarsi
Ne le foreste e sciorsi in piogge, o farsi
Neve; e sciolto a più miti aure il serbato
Ghiaccio, novellamente e con misura
Si travalica l' onda inver' le chine.
Di cotai trasmutanze e magistero
Con che natura al moto ed al perenne
Ricreamento provedea dell' acque,
Potea far certi il senso istesso e chiaro
L'esperïenza d' ogni ver maestra:
Guardando al mare immenso, a cui da tutte
Bande si volge immensa di tant' onde
Di torrenti e di fiumi assidua piena:
E non però s' allarga a nuovi regni
Col fiotto e l'ira de le sue procelle;
E se quinci si spigne oltre ai prescritti
Termini il flutto e prepotente abbonda,
Quindi a rincontro anco si strigne, e nuove
All' uman culto emergere fur viste
Isole e terre tuttavia sepolte.
Così fra i campi di Bisanzio antica
E le piagge retée corse improviso
Il Bosforo, e dai flutti a' rai del sole
Levâr l' alpi d' Ausonia il capo altero;
Così, se fama secular non mente,
Sparve dell' onde al tempestar la magna
Adlantide, e dal fondo uscia de' mari
Tanta dell'infeconda Africa parte
Al discoverto: ignuda, arida landa,
Che sembianze e tenor serba del prisco
Suo stato; e del natio sale si attosca,
E qual per l' onde un giorno era in tempesta,
Tal sorge ancor dinanzi al vento e vola
Fra le mobili sabbie in gran contrasto.
Pur tuttavia per tanta età l' effetto
Parlava indarno agli occhi nostri; e quello
Che ne adombrava il ver dell' ispirate
Carte concetto, ad altri intendimenti
Si condusse. = Nel mare a metter capo
Van di conserva i fìumi, e non soverchia
Dai lidi; perocchè novellamente
Dal mare ai monti tuttavia ritornano. =
Or come irriverenza era e delitto
Mover parola e ricercar più addentro
L'oracol santo a cui ragion s' atterra,
Si fe' stima che qual sale pei tronchi
Dall' imo a sommo delle piante il molle
Umor ch' alto le cresce e ne rintegra
Le novellizie di novelle frondi:
E come che dal centro a' suoi vivagni
Con rapida vertigine si volve
Negli uman corpi il sangue: anco sotterra
Da pelaghi rimoti a le gran falde
Montane per cunicoli e traverse
Si tragittasser l' acque. E da que' morti
Abissi a soprastanti aerie cime
Avviâr l'onda in rivoli sottili
Via per l' occulte viscere de' monti;
A quel modo che, attratto da beenti
Spugne e da tubi esìli, alto si leva
L' umor che stagna in basso, e la gravezza
Vince che l'affatica e che l' adima.
E fu creduto ancor che per cotanto
Cammin, dal mare travasando ai monti,
Per sì rinfrante vie, per sì diverso
E di terre e di sabbie e di macigni
Rivolgimento, il salso umor ponesse
L' ostica amaritudine e i rodenti
Sali, ond' è carco e putido e spiacente.
Ma perchè il vital succo a nodrimento
Degli alberi salisse, e via per tutte
Le membra velocissimo e diviso
Con libero vigor corresse il sangue,
Ben altri ingegni architettò natura:
Quai non veggiam nei baratri profondi
Là dove giace inoperosa e lenta.
Vedi quante l' artefice divino
Nei vivi corpi arti dispose e nuove
Ognor cagioni al facile del sangue
Rigirarsi: cui tanti aditi aperse
Tra fibra e fibra, e come ne sostegna
L' assiduo corso e con misura il prema
Il palpito del core, anima e fonte
Della vita! Nè manco d' ammirandi
Accorgimenti avaro esser si stimi
Nelle piante: chè vita anch' elle e senso
Han tutte, e natural testura al sorgere.
Dacchè le vedi alzarse, e i circostanti
Della terra, dell' acque e del fecondo
Aere elementi assimigliarsi, e quanta
Dell' igneo sol, dell'alma luce, arcana
Si converte sostanza a pro de' germi,
E organar tronco e frondi e fiori e frutti:
Chiaro appar, che vital forza lor propria
Le piante informi al crescere; e che tanto
Dall' insensibil terre e da' metalli
Le distingua natura e le diparta,
Quanto da quelle è all' uom, che della vera
Vita di senso e d' intelletto gode.
Quindi intesta compagine di mille
Cellette, d' otricelli aere spiranti,
Di maglie, di cunicoli, di fila
Condotte a spira, agevola de' succhi
Lungo ai tronchi il procedere; e a quel modo
Che la fiamma all'ingordo apice avvia
Degli arsi stami il pingue olio e richiama,
Così, come al tornar delle soavi
Aure d' aprile il ciel s'allegra, e il sole
Più sempre acquista, libero dal pigro
Freddo invernal che l'agghiadò, si solve
Vaporoso l' umor dentro ai composti
Intimi seggi delle piante, e al vertice
Operante il solar raggio l' estolle.
Ma chi mai s' avvisò di cotai fini
Accorgimenti fra le ignote al sole
Regïon di sotterra, e nelle cieche
Mute latebre d' intentati abissi:
Là dove inerte la materia, aspetta
Pur chi la mova, informe e ponderosa?
Nè men fe' ingiuria al ver chi, di sotterra
Dall'oceàn travalicando ai monti
Il marin flutto, argomentò l' ardore
Dispogliarsi de' sali, e lo spiacente
Lezzo ond' è misto e male odora e punge.
Ma non per vagli o colatoj feltrando
Si dissala egli mai, nè sua natura
Dimentica: che tanto aduna e solve
D' erbe e di spoglie d' animali, e quanto
Dall' universo a lui per tanta etade
Van di morte ogni dì putridi avanzi.
E, sia che il sale ingenito vaneggi
Minutamente e i molli atomi agguagli
Dell' acqua a cui si mesce, o cosi stretto
Vi s' appigli e con esso una sostanza
A farsi vegna: indarno il flutto amaro
Per anguste si fonde intime vie,
Chè lo consegue il natio sale; e spesso
Dove impedito l'umidor non varca,
Quello procede innanzi e si fa strada
Traverso i corpi e li penètra e invade.
Metti pregna di sali acqua a posarsi
Dentro vasi di terra; ove scoverto
Per tempo il lasci all' aere ambiente e al sole
Fino all' ultima stilla tutta quanta
Leverassi in vapori: e non per questo
Rasente al fondo sederà di sale
Vestigio alcuno. E dove lo sigilli
Di coperchio (se intonaco lucente
Dell' olla interïor non assecura
E guarda il grembo) la serbata linfa
Sederà tutta; e il sal via per lo mezzo
Mordendo e saettando aghi e pungigli,
Troverà modo per uscirne; e a tondo
Vedrai tu il vase esterïor levarsi,
Qual parete cui nitro intacchi e morda,
Grattugiato di bùtteri e di schianze.
Se quindi altro lavoro, altro tormento
D' etereo foco cui natura affini,
Non iscompon l' amara onda e rinnova
Purissima e leggiere all' esser primo,
Putida è sempre del sentor nemico
Di sua mistura. Ai miseri perduti
Per inospite mar, cui l' incalzante
Desio del ber più stimola e travaglia,
Qual mai non persuase arte e consiglio
La fiera sete che a morir li mena?
Quai batavo piloto, anglico o franco
Modi non tolse a varïar, cercando
Come addolcir l' acqua nemica? In docce
Raccolta, e stretta nel rigor del gelo
Al discoverto, e sciolta indi e sbattuta
Perchè d' aria novella si rintegri,
Parve alquanto allentar l' ostico amaro;
Or bollita a rilento e vaporando
Per gli alambicchi, altrui venne con manco
Ribrezzo; ma funesta a chi ne bebbe,
Tetri malori ingenerò diversi.
S' arrossan gli occhi, anèlo il respir move
E dolente, la pelle si trasmoda,
Solvesi il corpo tabido, e i pungenti
Lozj colora il vivo espresso sangue.
Ma perchè da' lambicchi uscendo a stille
Incomportabil manco all' altrui sete
L' acqua venia del mar, quel che fra noi
Chimica adopra, fu creduto ancora
Operarsi dissotto a le montagne
Dal foco interïor che il centro occùpi
Della terra. Di tegghie e di lambicchi
Sovrastanti a grand' arco in su gli abissi,
E di vôlte ricurve e di sifoni
Fu supposto comporsi il vano immenso
De' gran monti: distinti infino al cupo
Di gironi, di bàratri, di pozzi,
Dentro cui d' ogni banda ondeggi e frema
Del circostante mar l' acqua diffusa.
La qual, poichè fra tanti e sì composti
Cribri di terra, trapelò de' monti
A le falde, ponendo in fra gli strati
Fra cui si caccia, il sal molto e l' amaro
Ond' ella è mista, risedea tranquilla
Dentro laghi profondi e sovra salda
Compagine di vôlte, che dappresso
Sente l' incendio che sotterra avvampa.
Dall' ampio vel dell' acque il foco occulto
Leva il bollor che in nebbie e fumi avvolge
Per entro i vani del capace abisso;
Saglion lenti i vapor fin sotto al colmo
Che sovrasta: addensandosi e correndo,
Vôlti in calde rugiade, or degli infranti
Archi le scabre commessure, o i rocchi
Sporgenti, a gocce, a fili, a rivoletti:
Infin che dai pertugi escon del monte,
Tumidi torrentelli, al discoverto.
Per tal doppio lavor, dell' incessante
Fluir dell' acque si avvisò condursi
L' origin vera: e come il marin flutto
Sua rea natura dispogliasse, e come
Salir potesse di sotterra alI' ardue
Alpestri cime. E molta anco e sincera
Apparenza il sospetto avvalorava
Che così fosse. Dove che lo sguardo
Uman penètri fra le balze e i rischi,
O come che sottentri a' tortuosi
Sentier sepolti al dì, là dove suona
La mazza e al duro faticar s' arrende
Il rigor di metalli: a cotal uopo
Adatta appar l' intrinseca struttura
De' monti. Qual di cocci un sopr' all' altro
Messi per caso, che al sottan s' attaglia
Il primo e fa coperchio: a cotal foggia
Infin dal centro sagliono ricurvi
I montani comignoli. Addossate,
Siccome al vario trasmutar di fiumi
Tra via riman quel che il lor corso mena,
Scorgi or terre, or macigno, or calce, or sabbia,
Tramezze e stipe e infranti archi e pilieri
L' un dall' altro sofferti; e come fatti
A cappel d' alambicco, accorre il molto
Fumar dell' acque che l' abisso aduna.
A cotai vani, onde la terra è tutta
Distinta, acquista fede or lo scoscendersi
Vario de' gioghi per valanghe e frane,
Or per tremoto che dentro gli scrolla
E ne rompe i sostegni, or per l' alterna
Opra del gel che si discioglie, o vampo
Per tanta età d' assidui soli; e spesso
Più ancor per l' ira de' torrenti alpestri
Che si fan loco tra le valli e portano
Svelte le selve. E più n' accerta ancora
Lo andar de' fiumi che tra via repente
Scompajon ratto inabissando; a tanti
Guardando, un tempo aperti a vele e a remi,
Tumidi laghi, or fatti aride lande,
Marazzi e chiostre di riposte valli.
A quante non s' aperse il terren sotto
Città fiorenti al tempo antico, e a fondo
Di schiusi abissi ruinâr sepolte?
E quanta parte ancor dell' oceàno,
Che al primo uscir dell' universo ascose
Tanta dell' uman seme altrice terra,
Non iscomparve all' impeto improviso
D' oblïate vicende? I procellosi
Regni del mare attestano le accolte
Sabbie ammontate, il sale amaro, e tanta
Sterminata di nicchi un dì famiglia:
Or morte spòglie, che l' andar degli anni
Strinse in rigida pietra. Onnipossente
Una forza percosse ne la vôlta
De' campi, al soprastante mar sostegno;
Squarcionne il fondo, e via pei vani immensi
Calò l' ondante allor pelago al cupo,
L' antica lite a rinnovar col foco.
E perchè intenso il vaporar dell' acque
Fosse per foco che sotterra scaldi,
Non indarno da molti ardere addentro
Della terra fu detto arcana fiamma:
Cui pasce eterna il pingue assalto, e sparso
Lo zolfo, e il vario fossile, e l' asbesto,
E l' ardente pirite, e l' aura altrice
Delle folgori. O sia che per sì lungo
Correr d' etadi saettando il sole
L' ampia foga de' raggi, del soperchio
Calor cui l' etra non disperge e il fresco
Ventar dell' aure a fior di terra, addentro
Si stipasse inesausta ignea conserva;
O sia che infin dal primo dì, che tanta
Dell' Increato al cenno onnipotente
Uscîr moli fiammanti e luminose
Rapidamente a rotear ne' campi
Dell' infinito, ancor duri sottesso
L' orbe l' ardor nell' impeto concetto
Dell' alto impulso che a girar lo spinse:
Lungi dal ver non si travia chi stima
Lampeggiar dentro della terra occulto
Antico incendio, e fusa in fiamme ancora
L' interïor compagine del mondo.
Onde creduto ancor fu che sotterra
De' riprovati all' anime malvage
Tra gran vampe corresse inesorato
Cocito, e di candenti onde in eterno
Bollisse un vorator pelago agli empi.
Che se nessun tra quelle invïolate
Latebre invia da costassù lo sguardo
A spiarne il contegno, aperti indicj
Ne porge il fatto, se cercar ti avvisi.
Quanto più cavi il suol, quanto più cali
Investigando al basso, il calor monta,
Rispetto a quel che a fior di terra esplora
E nota la scalar tessera industre;
Tante aggiugni d' ugual tempra bollenti
Fra nevi e ghiacci acque diverse. Or d' onde
Invarïabil sempre il caldo abbonda,
Se non arde a que' fondi ignea fornace?
E qual più chiara, antica e memoranda
Testimonianza, che in tempesta ondeggi
Di sotto al suol che l' uom calpesta un chiuso
Mar di fiamme: se noti a quanti un tempo
Ardean vulcani, o tuttavia da mille
E mill' anni fan guerra al firmamento?
Sovra molti il furor corse improviso
Del percosso oceàno; ad altri imposta
Mole di monti occupò il varco e chiuse
Di salde sbarre; e non però, per quanto
Discorre intorno l' universo, fremono
Tonando, ardendo e folgorando, ignivome
Fucine. E spesso ancor d' inopinate
Procelle al navigante, a ciel sereno,
Di mezzo al mar coglie il ribrezzo. E sente
Senza vento tremar l' onde, agitarsi,
Accavallarsi vorticose, e correre
Sott' esse un mugghio, un fremer cupo, un tuono
Rotto, discorde, pauroso; e vede
Con maraviglia a terror mista, al cielo
Vibrarsi l' acqua in turbini e sïoni,
Ed alghe e sabbia e fango e fumo e fiamme;
E levarsi dai negri umidi fondi
Novella terra, e divallarsi, e crescere
Con guerra e scoppj, e lampeggiando aprirsi
Con fragoroso incendio in mezzo all' onde.
II vampo struggitor che l' ime tiene
Viscere della terra (allor che nuova
Esca lo esalta e allarga ad altre sedi)
Agita e sforza que' serragli, e solve
Quanto il contrasta e fuor si disprigiona.
Tale adombrando il ver, l' antica etade
Sottesso l' Etna sospettò sepolto
Il fulminato Encelado: che quando
Più lo stimola il duol de le solcate
Membra alle punte degli scogli affisse,
Muta fianco, e tremar fa col superbo
Capo Sicilia e dell' Ausonia i lidi.
Quindi terror de' popoli e ruina
Alle cittadi, stermina e conquassa
La terra, e schiude abissi, e monti adegua,
E rimescola il mar forte il tremoto;
Ed or che lieto e immemore di tutte
Sciagure, io seggio del paterno campo
Ne la quïete, e questi al tuo bel nome,
Come piace ad amor, medito e vergo
Nobili carmi, amabil donna: il suono
Odo e il compianto e la misera fuga
Dell' italiche ville, e lo sgomento.
D' Etruria le maremme, e del Piceno
I còlti, e l' Umbria popolosa assedia
Senza posa e diserta irreparabile
Calamitade, incontro a cui non puote
Forza nè senno che le salvi. Al dolce
Antico ospizio de' suoi padri alcuno
Non è che fidi la famiglia; il tetto
Crolla de' padri, il campo si sprofonda
Che li nodrì. Qual falda ospite accampa,
Qual terra estrania gli infelici? A stormi,
Come la fuga il volle e la paura,
Raggiuntisi, al vernal freddo, alla brezza
Di più notti malvage, ignudi e poveri
Di soccorso, le tende afflitte posero
Nel duro campo allo scoperto: al caro
Letto mirando che gli accolse, or fatto
Polve e macerie solitaria, o tomba
A lor cui piena la ruina oppresse.
Nè a que' termini stette il portentoso
Sdegno di Dio; che via per l' alpe e i gioghi
Di Taro, addusse i suoi flagelli all' alma
Sopr' all' altre città Parma tua bella.
Sotto povero ciel, di nubi avvolta
Segnava il mezzo della notte amica
Scema la luna, e possedea le stanche
Menti soave il primo sonno. Stupida
Sedea la calma; se non che, presago
Della sciagura, irrequïeto e desto
Vigilava il pulledro, il veltro, e quanta
Crestuta prole il dì nascente avvisa
Ai dormigliosi. In sangue atro si volse
Allor la luna, e trasmutò sembianti
Mirabilmente; e quale in sulla sera
L' ultima luce del tramonto arrossa
Le falde ampie del cielo, a cotal vista
Di porpora si tinse il negro ammanto
Delle nubi: e con questo un fremer sordo
Corse nell' aria, un rugghio, una procella,
Qual di mille torrenti in lontananza,
O gran vento che insulti a la foresta.
Agli attoniti allor, per tutto quanto
Potè vedersi, lampeggiò dall' etra
Vivida luce; e in un col lampo, il suolo
Più e più volte crollarsi e tremar tutto
S' intese, e con feral, rotto lamento
Rimescolarsi dai profondi abissi...!
Qual fato, ahi! s' apparecchia anco sotterra.
A la divisa Italia? A che la serba
L' inesorata e lunga ira del cielo?
Se dalle fondamenta anco vacilla
Dell' alpe, e trammendue l' antiche prode
Del doppio mare seppellirsi accenna:
Perchè col fasto de' trionfi aviti
Fin anco il loco se ne sperda e il nome!



FINE DEL LIBRO SECONDO


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