L' origine delle fonti

Poema inedito ed altre poesie scelte
di Cesare Arici, novellamente corrette
Milano, per Giuseppe Crespi, 1833

Libro I

Per che ignoto lavor dentro ai segreti
Avvolgimenti di sotterra abbondi
Limpida vena, e come, onda perenne,
Succeda in fonte e l' alma terra avvivi,
Canterò: fin che libero dal pigro
Gel di vecchiezza il cor mi basta, e vive
Innamorata a' begli estri la mente.
Perocchè irreparabile sovrasta
Degli anni il verno, a scolorar del cielo
L' amabil luce, ond' ha forma e vaghezza
E vita or quanto i sensi allegra, e quanto
Dentro al gran mar dell' essere si stampa..
Nè più cinto di lampi e folgorante
Vedrò di tutta sua virtude il sole
Raggiar dall' alto dell' Olimpo, o volgersi
A man delle notturne ore condotta
Pei silenzj del ciel la vereconda
Luna, nè tremolar sull' orizzonte,
Dai lavacri del mar surto, il leggiadro
Astro di Vener bella. Astro gentile!
Cui gli occhi e l' alma in fin da miei prim' anni
Invïando, seguia tacitamente
Pei campi azzurri; e tanta indi mi piovve
Letizia al core di quel dolce lume,
Che le penne vestendo a nobil volo,
Come più volle Amore, a cantar presi.
Nè più tra i verdi miei colli e il romito
Tacer de le foreste e de le valli
Vedrammi e lungo i rivi errar, diviso
Da tutte cure, e far dentro la mente
Di bei modi tesoro e d' armonia,
La fantastica sera. Il tuo poeta
Dormirà in pace allor, nè di sotterra
Fia che il ridesti la vocal dolcezza
Della tua lira, inclita musa. Ai culti
Dell' industre sofia chiusi giardini
M' adducesti fanciullo, e le diverse
De la bella natura opre ammirande
Fêsti a' miei versi unico tema: e come
Opra d' amor, si rinnovelli e lieta,
Fruttifichi la terra, e come sorga
Perenne il fonte, e il moto ampio dell' acque
Abbondi interminabile, e un latente
Etereo foco l' universo avvivi:
E per che modo in ciel s' aduni e splenda
La folgore, e vaganti in su le rapide
Ali del vento i vapor lievi, in piogge
Solvansi poscia, in grandini, in rugiada
Che il vergin volto della terra infiora:
E come opposta al sol, tra il procelloso
Nembo cui porta assiduo il vento e sperde,
Maraviglia del ciel, la rutilante
E serena il grand' arco iride spieghi.
Ben io tenea l' invito. Acerbo intanto
Pungea di tutti il desiderio e il fato
D' Italia combattuta; e fra i perigli
Delle sorti mortali iva di tutti -
Quanti il pensiero a la civil salute:
Onde il carme dimesso, a' maschj ingegni
Cui talentava il suon de' brandi e il grido
De le battaglie, invilir parve abbietto;
Chè fra il romor del tuono immenso e il fremere
De' torrenti, mal s' ode aura che spiri
Fra' teneri virgulti, od amoroso
Augel che la sorgente alba saluti.
Quindi, come de' tempi era il desire
E la speranza (immemore di quanto
Mi ragionava dall' infanzia al core
Leggiadria di concetti e delle agresti
Muse il concorde genïal conforto),
Con mio periglio al casto e santo ulivo
Preposi i lauri trionfali.... A tempo
Tu mi torni però dal travïato
Cammino, o sapïente inclita musa,
Agli operosi e lieti ozj miei primi;
Perchè l' origin delle fonti in dolci
Carmi al chiaro d' AMALIA animo io canti.
Non è, donna gentil, senza consiglio
Ch' io di nobili versi orni e colori
Il sacro tema; perocchè di quanti
L' increata Virtù, nel benedetto
Dì che dal cieco inoperoso nulla
Splendidamente l' universo pose,
Operava portenti, altro più degno
E grazïoso dono a le create
Cose non fea, che statuir perenni
Di limpida e vivace onda sorgenti.
Già diffusa de' cieli ardea la pura
Luce, e la danza dell' eterne stelle
Movea dall' alto al cenno onnipotente;
E cara al suo fattor, per le gioconde
Piagge dell' Eden, libera e contenta
Le prime nozze celebrava e l' are
La bella coppia, dalle mani uscita
Di Dio, che lieta ed immortal la volle.
E già le verginali aure serene
Volitando leggieri, aprian le fronde
Del sacro bosco, e ventilando ai fiori
Rorido nembo di notturne stille,
Fean di que' lochi primavera eterna;
Ma come di vapor lento non era
Salita ancor nebbia importuna al cielo,
Così, soave refrigerio all' erbe
E agli arbori, vital fonte si spose
Mirabilmente, e in rivoli d' argento
Corse divisa ad avvivar le mute
Del ridente giardino intime sedi.
E qui tra il musco zampillar fu vista
In polle, in vene; e là precipitando
E tonando dall' erta, in fra le chine
Frangersi vaporosa incontro al sole;
E dove accôrsi in lago e farsi velo
A la verzura, o rompere correndo
Fra monde arene; e dove in tra 'l conserto .
Dell' ombre insinüarsi a la foresta,
Mormorando profonda, occulta e cupa.
Quindi alla terra per diverse bande
Saliron l' acque, a fecondarne i parti,
A temprarne l' arsura; e quel che prima
Ebbero impulso dall' Eterno al moto,
Senza ristarsi invarïabil dura.
Così costante in ciel volge degli astri
La vicenda ammirabile; incessante
Fugge e torna e si stringe e si rallarga
Con certa legge il mare; e come viva
E presente la voce ascolti ancora
Dell' Eterno, la terra obbedïente
S' infeconda e ricrea con veci alterne:
Onde alla state il campo imbionda, e miti
Poma l' autunno a fin matura, e il verno
Gela intenso, e il redir del vago aprile
Per le selve canore e le molli ombre
Desti gli augei significando cantano.
Di cotal beneficio, onde il creato
Vige, e tempra del sol gli assidui ardori:
Dell' amico fluir de le sorgenti,
Odi or quel che ragiona il casto labro
Di nostra musa, che fra l' arti adulta
Di leggiadro idïoma, in carmi avvolge
Quel che de' fonti a lei Fisica parla.
Amor del patrio nido anco la move
Ed avvalora al suo tema gentile ;
Perchè fra i poggi e le ridenti chiostre
Onde Brescia ha ghirlanda, il fremer grato
Pur lei lusinga di piacevol rio:
Che surto a piè d' arcana arbore antica,
Stretto in marmorea conca si devolve
Alla cittade; e fresca e cristallina
In più di mille rivoli partita,
Mille avviva fontane onda salubre.
Non mai quel tronco secular dispoglia
L' onor delle sue frondi, e non per verno
Che geli, o vampa che a la state incalzi,
Cessa il fonte gentil: nè il corso allenta
Povero d' acque, o torbido prorompe
D' inutil piena; ma cortese a un modo
Rampolla dell' annosa arbore al cespo.
Ben altro appare, ed altra il vicin Mella
Serba misura; chè romoreggiando
Per le valli e rotando arbori e massi,
Ruinoso e superbo alla pianura
Si caccia e il campo de le messi invade;
Ed or, ratto mancando, arido letto
Appar di sabbie che l' aratro insolchi.
Somigliante, o gentil donna, all' incerto
Volger di tanti rivi, onde la valle
Di Taro e i gioghi d'Apennin selvoso
Recan vario tributo a la felice
Sopr' all' altre città Parma tua bella:
Onde or dell' alveo a fondo tutta quanta
Muor la riviera e gli arsi campi asseta;
Ed or crescendo assorda, e le barriere
Urta e dilaga repentina, e il passo
Con le sparse correnti altrui contende.
Se non che freno a la licenza impose
Del veloce suo corso, auspice Elisa,
Saldo un ponte che l' una all' altra riva
Giugne e il varco assecura a la gran villa.
Non manco al senno indagator, per molta
Trascorsa etade, fu de' sofi occulto
Come inesausta accogliasi de' monti
L' onda ai cupi recessi, e tremolando
Saglia quindi alle cime e in rio si scioglia:
Chè il loco istesso ond' ella emerge al chiaro
Lume del sol spesso natura ascose
Agli sguardi mortali; e come sacra
Fosse la terra ond' han principio i fiumi,
La vallò di foreste e la ravvolse
Di fiere solitudini e paure.
Così 've più selvaggia e più deserta
Agli imminenti soli Africa avvampa,
L' ampio Negro si schiude e il Senegallo;
E il settemplice Nilo il sacro capo
Dell' arcane sue fonti entro al più chiuso
De' lochi annida, e il passo occupa e guarda
E ne contende altrui l' accesso il crudo
E vario mostro del latrante Anubi.
Cosi l' Etiope adusto e l' Abissino
E l' Egizio indolente, allorchè il sole
Tocca del Cancro ai luminosi alberghi,
Vede il tumido Nil via per l' immensa
Calda pianura uscir da le sue sponde,
Allargar le correnti e farsi-velo
Lieve alle messi e specchio al ciel sereno;
Poi come vôlta, pareggiando l' ore,
Ver' la celeste Erigone, allentarsi
La tepid' onda e riseder compressa,
E rapida avviarsi al mar sonante
Per sette foci: onde, al calar dell' acque,
Dalla fumida uligine cosparta
Appar la terra, e le sementi in poco
Volger di soli a fin cresce e matura.
Sicchè indarno guardando a le volanti
Pel sereno de' cieli aride nubi!
Ver' l' Etïopia pellegrine, ignoto
Ebbe l' Egitto il loco onde venìa
La mistica riviera; e il beneficio
Reverendo adorò d' un qualche iddio,
Che del fiume ai fatali antri custode,
Con alta intelligenza or vi temprasse
Ed or sciogliesse a tutte l' onde il freno.
Ma, o che dell' anno a certi tempi abbondi
La niliaca riviera, e tra le ripe
Mal contenuta le soverchi e passi:
O che rimpetto il mar gonfio le sorga
Là dove mette capo e la contrasti
(Chè spirando l' etesie aure soavi
Contro aquilone, allentano e a ritroso
Sospingon l' acque a la sorgente, ond' elle
Gittansi al largo e immobili ristanno);
Qual ch' ella sia che il moto ne governi
Alta cagion, non è di che ti ammiri
Sol di quel fonte sopr' agli altri antico.
Chè tal freddo nell' Africa discorre;
E tal, là dove il verno ispido agghiaccia,
Fervido si rimescola e gorgoglia
Come in lebete, e rompe in fumo e bolle;
Qual d' ingenito zolfo e di metalli
Va carco con misura, o di congesti
Mordenti sali e d' àlcali s' attempra
A pro dell' uom, che prega in su que' fonti
Alla buona salute. Il dolce invito
Della speranza via per monti e valli
Orride affida d' ogni parte all' alme
Salubri scaturigini l' afflitta
De' viventi famiglia, a cui la forza
Preme de' morbi, e della morte il duro
Combatte assalto. All' inchinar del vespro
E al raggio mattutin, d' ogni contrada
Accoltasi con fede, ai sacri fonti
Va degli egri la pia turba romita,
Cimentando affannosa aspri sentieri.
Caro è vederla or peritosa e lenta
Movere innanzi, ed or ristarsi, a modo
Di color cui già vide errar sul balzo
Il divino Alighier spiriti lassi,
Dove tempo per tempo si ristora;
Quivi, come a' tuoi colli, Abano bella,
Calda sempre è la terra d' un latente
Incendio, e sprizza in rivoli e zampilla
E repe il suol fumida l' onda. Un tempo
Forse l' euganea chiostra il vampo ardea
De la vulcania fiamma; e del Timavo
Alle foci venuto ancor non era
Il fortunato Antenore: ma quando
O per entro agli abissi acquistò loco
Più sempre e corse il mare, o il sommo adusto
Per così lunga età delle scoverte
Voragini, cadendo e divallando
Improviso, costrinse ognor più ad imo
L' incendio ed alla vampa ostacol pose:
Cesse palese la ruina e il tuono
Di quegli orridi lochi; e dell' antico
Vampo soltanto ancor desto rimase
Quel che valse a scaldar le soprastanti
Acque e avvivar più vigorosa e bella
La verzura de' colli e delle selve.
Onde libero alfin dell' infelice
Amor che in pianto a' più begli anni il tenne,
Vi s' accogliea Petrarca. Il picciol bosco
Di che l' umil suo tetto ancor si cigne
Sommessamente mormora i soavi
Leggiadri carmi onde lodata e pianta
Fu la bella Francese
; e rammentando
Valchiusa e il genïal Sorga, 've misto,
A poco dolce molto amaro attinse,
De' lavacri aponensi a le sue frali
Egre membra porgea tardo ristoro
Quel valoroso: che da le procelle
E da' casi venuto a tanta pace,
Di quelle solitudini si piacque.
Oh! chi mi torna ai campi, Abano bella,
A' tuoi verdi silenzi, a' tuoi riposi?
Chi mi radduce ai limpidi ruscelli,
Di che il molle susurro ancor mi suona
Lieve agli orecchi e fin da qui m' invita?
Salve, diletta al cielo euganea terra :
Placidissimo asilo, unica pace
A lui che primo all' amorosa scola
L' itale muse ad erudir converso,
Volò siccome candida colomba
Fuor degli sconci di sua morta etade.
Certo che dal bel loco ove confuso
Coll' aure montanine e col frequente
Romor di tante al vento agili fronde
Tanto sorge e si spande e si rigira
E mormora di vive acque tesoro,
Tolse a' carmi divini abito e lena
Il solitario vate; e dal bel cielo
Che sorride a' miei colli, e da' ruscelli
Di che freme e s' infiora e si feconda
L' alma de' padri miei terra cortese,
Terrò consiglio anch' io per seguir questa
Che m' avanza de' fonti opra gentile.
Di cui perchè più sempre all' uman guardo
Fosse arcana l' origine, diverse
Condizion lor pose ed accidenti
Varia natura. E l' un continuo sorge,
Che nè soverchio abbonda o scarso appare;
Cessa l' altro per tempi, e vigoroso
Poi ripiglia; e tal altro le vicende
Segue dell' anno: or povero, or profuso
Di molt' acque. Nell' ombra altro si gode
E nei silenzi della notte; cheto
Fluisce al raggio de le stelle, e manca
Al far dell' alba. Al chiaro sol diriva
Tal altro, e con la luce alma del sole
Mesce i lucenti e limpidi zampilli,
E muor col sole. Liberal d' umori
Per ben due volte al giorno, altra sorgente
Ratto cala e si perde; altra non reca
Fuor che al settimo dì d' acque tributo:
Ond' ebbe fra gli Assiri e i Palestini
Di sabbatica il nome. Entro ai capaci
Rivolgimenti d' intentato speco
Arida tace al verno altra sorgente;
E al primo uscir di primavera, intenso
Romor di venti e fremiti e procelle
Assordan l' antro, come se di mille
Edifìzj laggiù fosse il frastuono
E la ruina, e un mar chiuso e il tremoto;
Poi sgorga del color che il latte agguaglia
L' argenteo fiume, e via corre superbo
Del vicin Lario a crescer l' ire. Udita
Da più rimote etadi a noi famosa
Maraviglia ti fu d' altra sorgente
Che da Plinio si noma. Accolta in verde
Pelaghetto, la schietta argentea linfa
Che d' irte balze si travolve, assume
Quasi dal mare qualitadi e modo,
E al varïar dell' ore or fugge, or torna.,
Errò perduto in mille ambagi e torte
Credenze chi le cause a tentar prese
Del fatto. E fu chi disse a fior di terra
Sospinta quella vaga onda per vie
Lontane e conventicoli e spiragli
Dal mar; che benchè lunge si divalli
In basso ed a più umìl letto dismonti,
L' urti ad imo e contrasti e con l' alterno
Contrarsi il moto ne governi al sommo.
Nè vide ( ancor che tanto e per sì lungo
Tramite il mar s' aprisse adito ai monti )
Che in poco star dovea mescersi il dolce
Col salso flutto e inamarir; non vide
Che gli aspetti su in ciel dell' incostante
Luna non segue lo scambiar dell' acque.
Nè valse immaginar che la corrente
Tanto a dati intervalli seco meni
Di sabbie al sommo ond' esce e chiuda il varco
A sè medesma; e quando il rattenuto
Umor più incalza urti la stipa e rompa
Seguitamente il molle argine opposto.
Ma forse presso al ver colse chi ai venti
Ond' ha il lago vicin perpetua briga
Reca il prodigio. Invarïabil sempre
Notte e giorno del Lario i flessuosi
Seni affatica or Borea, ora Ponente:
Onde impedito il lago a' suoi montani
Recessi allarga i flutti e risospinge
L' umor che da que' fonti a lui procede;
Cresce quindi, e sedate le correnti
Verso la china agevoli e disciolte
Cala il fonte a vicenda. Arrogi ancora
Che l' alpestre di rupi irta giogaja
Che gli sovrasta tutta si pertugia
diritto a fil dall' alto infino al cupo:
Dove, siccome pozzi d' ogni banda
D' acque s' accoglie gran volume in serbo
Ond' han principio i fiumi; ed intromessa
Giù per gli anfratti e gli scoscendimenti,
Con diversa misura incombe e preme
Sui discoverti abissi l' incostante
Aura che del vicin lago provòca
L' onda sonora ai margini fioriti.
Ma di che più maravigliar, se in tutte
Le più disgiunte al mar sparse isolette
Brulica il suol di dolci vene: e il nudo
Umile scoglio, che del circostante
Amaro flutto si ricinge, e spesso
Del crescente oceàn la piena asconde .
Geme dal rotto de' macigni all' arse
Labbia de' naviganti in mar perduti
Refrigerio di molli acque lucenti?
Chi mai sottesso a tanto mar che il campo
Tien degli abissi, i dolci umor tradusse
Dalle terre lontane a bear gli ermi
E rasi scogli d' isole rimote
Chè là dove costretto e combattuto
Aderge i flutti l' oceàno, o spazia
Lo sterminato adlantico senz' onda
Nè brezza che al nocchier scioglia le vele:
D' alme isolette sparge si l' immenso
Mar solitario, e dentrovi di molli
Rivi discorso: onde il vigor s' affolta
Dell' erbe, e ride primavera, e l' ombre
Allieta il vario degli augei concento.
Da che tutto potea stanza quaggiuso
Farsi dell' uom non rattenuto e vinto
Alla terra natia che il vide e crebbe,
Dell' infinito amor la providente
Sapïenza dispose a lui d' intorno
Ed ornò questi seggi, e del capace
Universo nessuna a lui contese
Intima parte. E quando al faticoso
Alito del torpente austro vïaggia
A stranio clima pellegrin naviglio,
Cui la stupida calma immota siede
Ne la vela, e gittata in su le brande
Langue inerte, assetata e dispossata
La ciurma, a cui malvagia e calda e scarsa
L' acqua invermina, e l' afa e la sozzura
Travaglia e il morbo ai naviganti infame:
Con che desio saluta e benedice
Al fresco rezzo, e come vi s' affigge
Desideroso, e di lontano esulta
Pur della vista! Dai luridi scanni
Ecco a terra si gitta e vi si sparge,
Cercando ai corpi salutar lavacro,
E refrigerio di dolci acque al core;
Chè dove più s' abbuja a la foresta
La verd' ombra, e più tenero è il rigoglio
Dell' erbe (o pianga il salce amaro, o sorga
Speco ederoso) fra il sisimbrio e il musco
E la ninfea, succede il vergin fonte
Ristoratore. Oh come il sangue attempra
Nelle vene, se prima inerte e crasso
Pel concetto alidor, per li mordenti
Commisti sali e la corrotta linfa,
Movea, recando all' arsicciate membra
Rosse margini e schianze e guasto e tabe!
Crudele, intolleranda, impazïente
Di soccorso, fra quante arma natura
Necessitadi del mortale a' danni,
Certo è la sete; che delusa a lungo
Volta in ismanie, in rabbia, e d' ogni erinni
Passa le furie. Poichè indarno ai petti
Arsi fe' guerra, nè dell' acque stilla
Temprò del concitato e caldo sangue
Le correnti, l' atroce avida brama
Cangia in torto disdegno; e quel che addentro
Còsse immenso desir, fassi tremendo
Abborrimento sconsolato e morte.
Così, come per lunghe ingiuste fami
E dolenti ferite, o servir duro
A la catena, o rangolo astïoso
Della contesa Venere, l' infesta
Paurosa e mortal rabbia s' apprende
Al fido cane: anco per sete, a lungo
Sostenuta, il crudel morbo si svolge.
Ahi, qual delirio, o ineluttabil fato
L' umanissima belva a guerra mena
Contro se stessa e contro l' uom, cui prima
Obbedïente, mansueta e cara,
Seguia compagna nelle cacce e ai rischj
Inopinati della via? Qual fiero
Caso, qual nuovo dèmone la mite
Indole a furor tanto, a tanta estrema
Sconoscenza e miseria ultima addusse,
Che in rei digiuni, in ciechi assalti e stolti
Rivolgimenti ed agonie l' uccide?
Da lieto, aperto e confidente, or come
S' è fatto triste e pauroso, e ringhia
A chi il palpa e festeggia e l' accarezza?
Dalle soglie vegliate entro ai più scuri
Aditi della casa a ricovrarsi
Va spesso, ombroso; e quella che gli piacque
Luce del giorno e compagnia festosa
Della famiglia, solitario, abborre.
Torbo, inquïeto il guardo affigge, ed acre
Fervor dai costernati occhi dardeggia;
Cibo e bevanda al par rifiuta; e stanco
Qualor s' acquatta per dormir, sommesso
Geme, e al ribrezzo che lo assal si desta.
Questi dell' ira, già concetta, indizj
Dà l' infelice ai primi dì; più intensa
Quindi lo incalza ed agita, e dimessa
Fra le gambe la coda, ed appassita
La lingua, e il varco delle fauci avvolto
E stipato di schiuma, al dolce ostello,
Fatto presago del morir, s' invola.
Ahi, chi seguirne i passi a la foresta,
Chi udir potria, non che narrar, le fughe
Miserande e i conflitti e il furor pazzo
E gli impeti e l' angoscia, che la pronta
Fiera morte del misero accompagna?
Qual trasognato, or lento incede, or prende
Rapide corse, e scambia loco: incerto
Sempre; al romor dell' acqua, abbenchè adusto
Dalla sete, s' arretra e raccapriccia.
Cerca solingo ove piu l' ombra addensi
La selva, e al sol s' asconde, ed all' aperto
Splendido cielo, ed ulula alla luna;
Il suon lo irrita e la minaccia a un modo,
Nè latra ei più, ma fra singulti e guai
Rompe e interrotti mormora lamenti;
Talor monta in furore, e sovra quanti
Piccioli e grandi altri animali incontra
Disperato s' avventa, e morde, e fugge.
E fugge innanzi a lui, da repentino
Terror percossa, ogn' altra belva, e grida
Pur della vista; perocchè, mordendo
E morendo, l' innesto in altri ancora
Stampa dell' ira e la fatal dell' acqua
Nimistà: di cui forse atroce e crudo
Il disagio e il bisogno un dì sostenne.
Onde, da poi che a Dio piacque far tutta
Di germi e di viventi anime lieta
L' altrice terra, e che diffuso e lieve
Nel puro etra commisto e l' agil luce,
Corresse lo spirabile e sereno
Aere: a qual che si fosse ultimo loco
Compartì l' acqua ancora. A duri climi
Ne fe' dono, 've sterile e selvaggia
D' irte vepri, di scope e nude felci
Inospita si spazia erma pianura;
E n' accolse conserve infra le ardenti
Sabbie, là dove agli imminenti soli
Muor natura, e divampa il luminoso
Deserto. Ivi al Mandingo, al Cafro errante
Occorron pozzi a gran ventura, e fresche
Scaturigini e rezzo di molt' ombra
Ivi il gregge adunarsi ha per usanza
Delle miti gazzelle; ivi condotte
Da piacevole istinto (o che de' rivi
Lontani indizio alcuno arrechin l' aure
Quando va il vento della sera) insieme
Assetate convengono le belve;
E spenta l' ira delle zuffe, e queto
L' affollar delle corse, il generoso
Lione in su que' fonti invia de' grandi
Occhi il lampo sereno all' inclinato
Sole, e tuona profondo il suo ruggito.
E in fin dove madrigna e riluttante
La dura terra all' uom l' acque contende,
Ivi l' arte procura; o perchè forte
L' amor si crei dal beneficio espresso,
Dio la v' induce: chè non parla indarno
La storia de' portenti in Israello.
D' aspro servaggio a libertà chiamato,
Verso la terra de' suoi padri uscia
Peregrinando; ed or ne' passi amari
Di quell' esilio, nel furor s' avvenne
E nelle insidie di rie genti, o infesto
Sperimentò fra quelle sabbie il morso
Degli accesi colùbri; ma di quante
Incolsero sventure a que' raminghi
La più crudele apparve esser dell' acque
Il disagio, cercando quella terra
Di selve e di sorgenti inope e brulla.
Quindi all' uopo maggior, quando appassite
Le membra, e chino il fronte, ed anelante
Fra que' deserti si moria l' afflitto
Popolo, uscian prodigi; or la nocente
E putrid' acqua si fe' dolce; or tocco
L' aspro macigno, in duo s' aperse, e schiuse
Gelida vena. Iddio creolla, e messi
Gli angeli spesso l' additâr dal cielo.
Così dal ricco ostello, in che fu sposa
E madre, e dove acerbi e duri oltraggi
Sostenne e il cenno di partir col figlio,
Erasi tolta alfin la pellegrina
Agar d' Egitto: il cor pieno e la mente
Dei rabbuffi di Sara, e del commiato
Che il suo signor con lagrime le porse;
E non altro con seco al suo viaggio
La poverella si traea, che il figlio
A mano, e scarso pane, e di serbata
Acqua un' idria ricolma, che le fosse
Viatico pel lungo aspro cammino
Che dalla terra la partia de' suoi.
Ancor degli anni in fiore, ancor di tutta
La persona leggiadra, a cui nè l' opra
Nocque di madre, nè d' ancella il carco,
Soletta uscia non senza pianti a lochi
Inabitati, ed all' ospizio antico
Volse cogli occhi l' ultimo saluto.
Se non che a' rischi della via selvaggia
Il cor le avvalorava alta promessa:
Che di non nati ancor popoli ignoti
Ponea padre Ismaèllo; onde secura
Negli accolti presagi, avventurarsi
Ardì col figlio a nuovi regni: uscita
Dalla casa d' Abramo, iva con lei
Non visibile a' fianchi un benedetto
Soccorritore a provederne i passi.
Ma poche stille omai della serbata
Idria cresceano all' esule il travaglio
Della via; nè vestigio era d' intorno
D' acque che si paresse ai sitibondi:
E più sempre lontano apriansi i campi
Sterminati. Già fiacco e dispossato
Cadea il ginocchio a la meschina, e il petto
Le combattea l' anelito e il mortale
Sitir per cammin tanto ognor deluso;
E non, per questo (dappoichè finito
Vide il fanciul giacersi in su l' arena)
Recossi in collo il morïente, e nuove
Spiò contrade e sentier nuovi. Indarno
Tornò la notte, e il sol novellamente
Surse all' incendio usato; ond' ella il dolce
Lasciò cadersi da le spalle incarco,
E compostolo a piè d' un arboscello
"Ch' io non ti vegga almen, disse, morire,
"Sventurato figliuol, cogli occhi miei!"
E in così dir, più che potea lontana
Si dilungò la madre a pianger sola,
Quando dinanzi a lei stette improviso
L' Angiol benigno a confortarla "Udito
Ha Dio, le disse, d' Ismaèl la voce;
Cessa l' affanno, al figliuol torna e vivi".
Volse la tramortita Agar la fronte
A le parole; e nel levar gli stanchi
Occhi di tanto lagrimar confusi,
Opra di Dio, lucente onda vivace
Vide l' afflitta tremolarle a' piedi.



FINE DEL LIBRO PRIMO


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