le Horla

30 luglio. - Sono tornato a casa da ieri. Va tutto bene.

2 agosto. - Niente di nuovo; fa un tempo superbo. Passo le mie giornate a guardar scorrere la Senna.

4 agosto. - Discussioni tra i miei domestici. Affermano che di notte i bicchieri si rompono da soli nella credenza. Il cameriere accusa la cuoca, che accusa la lavandaia, che accusa gli altri due. Chi è il colpevole? Bravo chi lo scoprirà!

6 agosto. - Questa volta, non sono pazzo. Ho visto... Ho visto... Ho visto! Non posso più dubitare... Ho visto...
Ho ancora freddo fino nelle unghie... ho ancora paura fino alle midolla... Ho visto!...
Passeggiavo alle due, all'aria aperta, nella mia aiuola di rosai... nel viale dei rosai d'autunno che cominciano a fiorire.
Mentre mi fermavo a guardare un gigante delle battaglie, che portava tre fiori magnifici, ho visto, ho visto distintamente, molto vicino a me, il gambo di una di queste rose piegarsi, come se un mano invisibile l'avesse ritorto, poi spezzarsi, come se la stessa mano l'avesse colto! Poi il fiore si sollevò, seguendo una curva che avrebbe descritto un braccio nel portarla verso una bocca, e rimase sospeso nell'aria trasparente, sola, immobile, terrificante macchia rossa a tre passi dai miei occhi.
Smarrito, mi gettai su di esso per prenderlo! Non trovai niente; era scomparso. Allora fui preso da una collera furiosa contro me stesso; perché non è permesso ad un uomo ragionevole e serio avere simili allucinazioni.
Ma si trattava proprio di un'allucinazione? Mi voltai per cercare il gambo e lo trovai immediatamente sull'arbusto, spezzato di fresco tra le due altre rose rimaste sul ramo.
Allora rientrai a casa con l'animo sconvolto, perché sono sicuro, ora, sicuro come dell'alternanza dei giorni e delle notti, che esiste vicino a me un essere invisibile, che si nutre di latte e d'acqua, che può toccare le cose, prenderle e cambiarle di posto, dotato di conseguenza di una natura materiale, benché impercettibile per i nostri sensi, e che abita come me sotto il mio tetto...

7 agosto. - Ho dormito tranquillo. Lui ha bevuto dalla mia caraffa, ma non ha turbato il mio sonno.
Mi chiedo se sono pazzo. Passeggiando talvolta sotto il sole, lungo il fiume, mi sono venuti dei dubbi sulla mia ragione, non dei dubbi vaghi come ne avevo fino a quel momento, ma bensì dubbi precisi, assoluti. Ho visto dei pazzi; ne ho conosciuto che restavano intelligenti, lucidi, capaci di veder chiaro anche su tutte le cose della vita, tranne che su un punto. Parlavano di tutto con chiarezza, con elasticità, con profondità, e improvvisamente il loro pensiero, toccando lo scoglio della loro follia, andava in pezzi, si sparpagliava e sprofondava nell'oceano spaventoso e furioso, pieno di onde saltellanti, di nebbie, di burrasche, che viene chiamato "demenza".
Certo, mi crederei folle, assolutamente folle, se non ne fossi cosciente, se non conoscessi perfettamente il mio stato, se non lo sondassi analizzandolo in modo completamente lucido. Io non sarei, dunque, che un allucinato che ragiona. Una turbolenza sconosciuta si sarebbe prodotta nel mio cervello, una di quelle turbolenze che cercano di annotare e di precisare oggi i fisiologi; e questa turbolenza avrebbe determinato nel mio spirito, nell'ordine e nella logica delle mie idee, una spaccatura profonda. Fenomeni simili hanno luogo nel sogno che ci conduce attraverso le fantasmagorie più inverosimili, senza che ne siamo sorpresi, perché l'apparecchio verificatore, perché il senso del controllo è addormentato; mentre la facoltà immaginativa è sveglia e lavora. Non può essere che uno dei tocchi impercettibili della tastiera cerebrale si trovi paralizzato dentro di me? Ci sono uomini che, a seguito di un incidente, perdono la memoria dei nomi propri o dei verbi o dei numeri, oppure soltanto delle date. Gli indirizzi di tutte le particelle del pensiero sono oggi provati. Ora, che ci sarebbe di strano se la mia facoltà di controllare l'irrealtà di alcune allucinazioni si trovasse intorpidita in questo momento!
Pensavo a tutto questo seguendo il bordo dell'acqua. Il sole copriva di chiaro il fiume, rendeva la terra deliziosa, riempiva il mio sguardo di amore per la vita, per le rondini, la cui agilità è una gioia dei miei occhi, per le erbe della riva il cui fremito è un piacere delle mie orecchie.
A poco a poco, tuttavia, un malessere inesplicabile mi penetrava. Una forza, mi pareva, una forza occulta mi intorpidiva, mi bloccava, mi impediva di andare più lontano, mi richiamava indietro. Provavo il bisogno doloroso di rientrare che vi opprime, quando si è lasciato in casa un malato che si ama e quando vi coglie il presentimento di un aggravarsi della sua malattia.
Dunque, rientrai mio malgrado, sicuro che avrei trovato, in casa, una cattiva notizia, una lettera o un telegramma. Non c'era niente; e rimasi più sorpreso e più inquieto che se avessi avuto di nuovo qualche visione fantastica.

9 agosto. - Niente, ma ho paura.

10 agosto. - Niente; ma che accadrà domani?

11 agosto. - Ancora niente; non posso restare in casa con questo timore e questo pensiero penetrati nella mia anima; vado via.

12 agosto, alle 10 di sera. - Per tutto il giorno ho desiderato andar via; non ho potuto. Ho desiderato compiere quest'atto di libertà così facile, così semplice, - uscire - salire sulla mia carrozza per raggiungere Rouen - non ho potuto. Perché?

13 agosto. - Quando si è colpiti da certe malattie, tutte le risorse dell'essere fisico sembrano spezzate, tutte le energie annullate, tutti i muscoli indeboliti, le ossa sembrano divenute molli come la carne e la carne liquida come l'acqua. Io provo questo nel mio essere morale in una maniera strana e desolante. Non ho più nessuna forza, nessun coraggio, nessun dominio su di me, nessun potere neanche di mettere in moto la mia volontà: Non posso più volere; ma qualcuno vuole per me; e io obbedisco.

14 agosto. - Sono perduto! Qualcuno possiede la mia anima e la governa! Qualcuno ordina tutti i miei atti, tutti i miei movimenti, tutti i miei pensieri. Non ho più potere su di me, non sono che uno spettatore schiavo e terrorizzato di tutte le cose che faccio. Desidero uscire. Non posso. Lui non vuole; e io rimango, smarrito, nella poltrona in cui mi tiene seduto. Desidero soltanto alzarmi, sollevarmi, per potermi credere padrone di me stesso. Non posso! Sono inchiodato alla mia sedia e la sedia è incollata al suolo, in maniera tale che nessuna forza ci potrebbe sollevare.
Poi, improvvisamente, devo, devo, devo andare in fondo al mio giardino per raccogliere fragole e per mangiarle. Ci vado. Raccolgo fragole e le mangio! Oh! mio Dio! Mio Dio! Mio Dio! C'è un Dio? Se ce n'è uno, liberami, salvami, soccorrimi! Perdono! Pietà! Grazie! Salvami! Oh! quale sofferenza! quale tortura! quale orrore!

15 agosto. - Certamente, ecco com'era posseduta e dominata la mia povera cugina, quando era venuta a chiedermi in prestito cinque mila franchi. Subiva una volontà estranea entrata in lei, come un'altra anima, come un'altra anima parassita e dominatrice. Forse il mondo sta per finire?
Ma colui che mi governa, chi è, quest'invisibile? quest'inconoscibile, questo vagabondo di una razza soprannaturale?
Dunque gli Invisibili esistono! Allora, come mai dall'origine del mondo non si sono ancora manifestati in modo preciso così come fanno con me? Non ho mai letto niente che assomigli a ciò che è accaduto nella mia dimora.
Oh! se potessi lasciarla, se potessi andarmene, fuggire e non tornare. Sarei salvo, ma non posso.

16 agosto. - Ho potuto liberarmi oggi per due ore, come un prigioniero che trovi aperta, per caso, la porta della sua cella. Ho sentito di essere libero improvvisamente e che lui era lontano. Ho ordinato di attaccare in fretta i cavalli e ho raggiunto Rouen. Oh! che gioia poter dire a un uomo che obbedisce: "Andate a Rouen!"
Mi son fatto fermare davanti alla biblioteca e ho pregato che mi prestassero il grande trattato del dottor Hermann Herestauss sugli abitanti sconosciuti del mondo antico e moderno.
Poi, al momento di risalire nel mio coupé, volevo dire: "Alla stazione!" e ho gridato, - non ho detto, ho gridato - con una voce così forte da far voltare i passanti: "A casa", e sono caduto, folle d'angoscia, sul cuscino della mia vettura. Mi aveva ritrovato e ripreso.

17 agosto. - Che notte! che notte! E tuttavia mi sembra che dovrei rallegrarmi. Fino all'una del mattino, ho letto! Hermann Herestauss, dottore in filosofia e in teogonia, ha scritto la storia e le manifestazioni di tutti gli esseri invisibili che vagano intorno all'uomo o che sono sognati da lui. Descrive le loro origini, il loro dominio, la loro potenza. Ma nessuno di loro assomiglia a quello che mi pervade. Si direbbe che l'uomo, da quando ha avuto la capacità di pensare, ha previsto e temuto un essere nuovo, più forte di lui, suo successore in questo mondo, e che, sentendolo vicino e non potendo prevedere la natura di questo padrone, ha creato, nel suo terrore, tutto il popolo fantastico degli esseri occulti, fantasmi incerti nati dalla paura.
Dunque, dopo aver letto fino all'una del mattino, ero andato poi a sedermi presso la mia finestra aperta per rinfrescarmi la fronte e il pensiero al vento calmo dell'oscurità.
Si stava bene, l'aria era tiepida! Come mi sarebbe piaciuta quella notte in un altro momento!
Non c'era luna. Le stelle avevano sullo sfondo del cielo nero scintillii frementi. Chi abita quei mondi? Quali forme, quali viventi, quali animali, quali piante ci sono laggiù? Quelli che pensano in quegli universi lontani, che cosa sanno più di noi? Uno di loro, un giorno o l'altro, attraversando lo spazio, non apparirà forse sulla nostra terra per conquistarla, come i Normanni un tempo attraversavano il mare per asservire popoli più deboli?
Siamo così fragili, così disarmati, così ignoranti, così piccoli, noialtri, su questo granello di fango che gira diluito in una goccia d'acqua.
Mi assopii sognando così al vento fresco della sera.
Dunque, dopo aver dormito per circa quaranta minuti, riaprii gli occhi senza fare un movimento, svegliato da non so quale emozione confusa e bizzarra.
Non vidi niente dapprima, poi, improvvisamente, mi sembrò che una pagina del libro rimasto aperto sul mio tavolo si fosse appena girata da sola: Nessun soffio d'aria era entrato dalla mia finestra. Ne fui sorpreso e rimasi in attesa. Circa quattro minuti dopo vidi, vidi, sì, vidi con i miei occhi un'altra pagina sollevarsi e ricadere sulla precedente, come se un dito l'avesse sfogliata. La mia poltrona era vuota, sembrava vuota; ma compresi che era là, lui, seduto al mio posto, e che leggeva. Con un balzo furioso, con un balzo da bestia ribelle, che sta per sventrare il suo domatore, attraversai la mia camera per afferrarlo, per stringerlo, per ucciderlo!... Ma la mia sedia, prima che l'avessi raggiunto, si rovesciò come se qualcuno fosse fuggito davanti a me... il tavolo oscillò, la lampada cadde e si spense e la finestra si chiuse come se un malfattore sorpreso si fosse lanciato nella notte, prendendo a piene mani i battenti.
Dunque si era salvato; aveva avuto paura, paura di me, lui!
Allora... allora... domani... o dopo... o in qualunque altro giorno io potrò dunque tenerlo sotto i miei pugni e schiacciarlo contro il suolo! Forse che i cani, talvolta, non mordono e non strangolano i loro padroni?

18 agosto. - Ho meditato per tutto il giorno. Oh, si! io ora gli obbedirò, sarò consenziente ai suoi stimoli, apparirò umile, sottomesso, timoroso. Lui è il più forte. Ma l'ora verrà...

19 agosto. - So... so... so tutto! Ho appena letto questo nella Revue du Monde scientifique: "Una notizia piuttosto curiosa arriva da Rio de Janeiro. Una follia, un'epidemia di follia, paragonabile alle pazzie contagiose che colpirono i popoli d'Europa nel Medioevo, infierisce in questo momento nella provincia di San Paolo.
Gli abitanti smarriti lasciano le loro case, disertano i loro villaggi, abbandonano le loro culture, dicendosi perseguitati, posseduti, governati come bestiame umano da esseri invisibili benché tangibili, una sorta di vampiri che si nutrono della loro vita, durante il sonno, e che bevono inoltre acqua e latte, senza sembrar toccare nessun altro alimento.
Il professor Don Pedro Henriquez, accompagnato da parecchi sapienti medici, è partito per la provincia di San Paolo al fine di studiare sul posto le origini e le manifestazioni di questa sorprendente follia, e di proporre all'Imperatore le misure che gli sembreranno più appropriate per richiamare alla ragione quelle popolazioni deliranti."
Ah! Ah! mi ricordo, mi ricordo il bel tre alberi brasiliano che passò sotto le mie finestre risalendo la Senna, lo scorso 8 maggio! Lo avevo trovato così grazioso, così bianco, così allegro! L'Essere vi si trovava sopra, provenendo da laggiù, dove la sua razza è nata! E così mi ha visto! Ha visto anche la mia casa bianca; ed è saltato dalla nave sulla riva. Oh! mio Dio!
Ora lo so, lo immagino. Il regno dell'uomo è finito.
È venuto, Colui che prevedevano i primi terrori dei popoli primitivi, Colui che esorcizzavano i sacerdoti inquieti, che gli stregoni evocavano nelle notti scure, senza vederlo apparire ancora, a cui i presentimenti dei padroni effimeri del mondo prestarono tutte le forme mostruose o graziose degli gnomi, degli spiriti, dei geni, delle fate, dei folletti. Dopo le grossolane concezioni della paura primitiva, uomini più perspicaci l'hanno previsto più chiaramente. Mesmer l'aveva indovinato e i medici, già da dieci anni, hanno scoperto, in modo preciso, la natura della sua potenza prima che l'avesse esercitata lui stesso. Costoro hanno giocato con l'arma del nuovo Signore, il dominio di una misteriosa volontà sull'anima umana divenuta schiava. Hanno chiamato questa cosa magnetismo, ipnotismo, suggestione... che ne so? Io li ho visti divertirsi come bambini imprudenti con quest'orribile potere! Sventurati noi! sventurato l'uomo! Lui è venuto, il... il... come si chiama... mi sembra che mi gridi il suo nome, ma io non lo sento... il... sì... lui lo grida... io ascolto... non posso... ripete... l'Horla... ho sentito... l'Horla... è lui... l'Horla... è venuto!
Ah! l'avvoltoio ha mangiato la colomba; il lupo ha mangiato la pecora; il leone ha divorato il bufalo dalle corna aguzze; l'uomo ha ucciso il leone con la freccia, con la clava, con la polvere da sparo; ma l'Horla sta per fare dell'uomo ciò che noi abbiamo fatto del cavallo e del bue: la sua cosa, il suo servo e il suo nutrimento, con il solo potere della sua volontà.
Sventurati noi!
Tuttavia, l'animale, talvolta, si rivolta e uccide colui che l'ha domato... anch'io voglio... potrei... ma bisogna conoscerlo, toccarlo, vederlo! I sapienti dicono che l'occhio della bestia, differente dal nostro, non distingue come il nostro... E così il mio occhio non può distinguere il nuovo venuto che mi opprime.
Perché? Oh! mi ricordo ora le parole del monaco di Mont Saint-Michel: "Non è forse vero che vediamo solo la centomillesima parte di quello che esiste? Ecco qua il vento, che è la più grande forza della natura, che fa cadere gli uomini, abbatte gli edifici, sradica gli alberi, solleva il mare in montagne d'acqua, distrugge le rocce e scaglia contro gli scogli i grandi bastimenti, il vento che uccide, che sibila, che geme, che muggisce, - l'avete mai visto, e potete vederlo? Tuttavia, esiste".
E pensavo ancora: il mio occhio è così debole, così imperfetto, che non distingue neanche i corpi duri, se sono trasparenti come il vetro!... Che un vetro senza un velo di amalgama attraversi il mio cammino e lui mi ci fa gettare sopra, come un uccello entrato in una stanza si rompe il capo sui vetri. Mille cose inoltre lo ingannano e lo sviano. Che c'è di strano, allora, se non può vedere affatto un corpo nuovo che è attraversato dalla luce.
Un essere nuovo! Perché no? Doveva venire sicuramente! Perché dovremmo essere gli ultimi! Noi non lo distinguiamo affatto, così come tutti gli altri creati prima di noi? È che la sua natura è più perfetta, il suo corpo più fine e più rifinito del nostro, del nostro così debole, così maldestramente concepito, ingombro di organi sempre stanchi, sempre sollecitati come ingranaggi troppo complessi, del nostro, che vive come una pianta e come una bestia, nutrendosi faticosamente d'aria, d'erba e di carne, macchina animale in preda alle malattie, alle deformazioni, alle putrefazioni, asmatica, mal regolata, primitiva e bizzarra, ingegnosamente mal costruita, opera grossolana e delicata, abbozzo d'essere che potrebbe diventare intelligente e superbo.
Ci sono così poche specie su questo mondo, dall'ostrica fino all'uomo. Perché non una di più, una volta concluso il periodo che separa le apparizioni successive di ogni specie diversa?
Perché non uno di più? Perché non anche altri alberi dai fiori immensi, scintillanti e che profumano intere regioni? Perché non altri elementi oltre al fuoco, all'aria, alla terra e all'acqua? - Sono quattro, solamente quattro, questi padri nutritori degli esseri! Che pena! Perché non sono quaranta, quattrocento, quattromila! Come tutto è povero, meschino, miserabile! Avaramente concesso, aridamente inventato, goffamente costruito! Ah! l'elefante, l'ippopotamo, che grazia! Il cammello, quale eleganza!
Ma, direte voi, la farfalla! Un fiore che vola! Io ne immagino uno che sia grande come cento universi, con delle ali di cui non posso nemmeno esprimere la forma, la bellezza, il colore e il movimento. Ma lo vedo... va di stella in stella, rinfrescandole e profumandole col soffio armonioso e leggero della sua corsa!... E i popoli di lassù la guardano passare, estasiati e rapiti!
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Che ho dunque? E' lui, l'Horla, che mi possiede, che mi fa pensare queste follie! Lui è in me, diventa la mia anima; lo ucciderò!

19 agosto. - Lo ucciderò. L'ho visto! Mi sono seduto ieri sera al mio tavolo; e facevo finta di scrivere con molta attenzione. Sapevo bene che sarebbe venuto a girare attorno a me, vicinissimo, così vicino da poterlo forse toccare, prendere? E allora!... allora avrei avuto la forza dei disperati; avrei avuto le mie mani, le mie ginocchia, il mio petto, la mia fronte, i miei denti per strangolarlo, schiacciarlo, morderlo, dilaniarlo.
E stavo in agguato con tutti i miei organi sovreccitati.
Avevo acceso le mie due lampade e le otto candele del mio camino, come se avessi potuto, in quel chiarore, scoprirlo.
Di fronte a me, il mio letto, un vecchio letto di quercia a colonne; a destra il camino; a sinistra, la mia porta chiusa con cura, dopo averla lasciata per molto tempo aperta, per attirarlo; dietro di me un armadio molto alto con uno specchio, che mi serviva ogni giorno per radermi, per vestirmi, e dove ero abituato a guardarmi, dalla testa ai piedi, ogni volta che vi passavo davanti.
Dunque facevo finta di scrivere, per ingannarlo, poiché anche lui mi spiava; e subito, mi accorsi, fui certo che lui leggeva al di sopra della mia spalla, che lui era là, che sfiorava il mio orecchio.
Mi alzai, con le mani tese, voltandomi così in fretta che stavo per cadere. Ebbene?... ci si vedeva come in pieno giorno, ma non mi vidi nel mio specchio! Quest'ultimo era vuoto, chiaro, profondo, pieno di luce! La mia immagine non vi stava sopra... eppure mi trovavo lì di fronte! Vedevo il grande vetro limpido dall'alto in basso. E guardavo ciò con gli occhi smarriti; e non osavo più avanzare, non osavo più fare un movimento, comprendendo bene tuttavia che lui era lì, ma che mi sarebbe nuovamente sfuggito, lui, il cui corpo invisibile aveva divorato il mio riflesso.
Quanto ebbi paura! Poi ecco che d'improvviso cominciai a scorgermi entro una nebulosità, in fondo allo specchio, in una nebulosità come attraverso uno strato d'acqua; e mi pareva che quest'acqua scivolasse da sinistra a destra, lentamente, rendendo più precisa la mia immagine, di secondo in secondo. Era come la fine di un eclisse. Ciò che mi nascondeva non sembrava possedere contorni nettamente definiti, ma una sorta di trasparenza opaca, che si schiariva a poco a poco.
Potei infine distinguermi completamente, così come ogni giorno quando mi guardo.
L'avevo visto! Me ne è rimasto uno spavento che mi fa ancora rabbrividire.

20 agosto. - Ucciderlo, come? Dal momento che non posso toccarlo? Il veleno? Ma mi vedrebbe mischiarlo all'acqua; e i nostri veleni, d'altronde, avrebbero un effetto sul suo corpo invisibile? No... no... senza alcun dubbio... Allora?... allora?...

21 agosto. - Ho fatto venire un fabbro da Rouen e gli ho ordinato per la mia camera delle persiane di ferro, come ne hanno, a Parigi, certi alberghi particolari, al pianterreno, per paura dei ladri. Mi farà, inoltre, una porta simile. Mi sono fatto prendere per un codardo, ma me ne infischio!

10 settembre. - Rouen, Hotel Continental. È fatta... è fatta... ma lui è morto? Ho l'animo sconvolto da quello che ho visto.
Ieri dunque, dopo che il fabbro aveva sistemato la persiana e la porta di ferro, ho lasciato tutto aperto, fino a mezzanotte, benché cominciasse a far freddo.
Di colpo, ho sentito che lui era lì, e una gioia, una gioia folle mi ha preso. Mi sono alzato lentamente, e ho passeggiato a destra, a manca, per lungo tempo perché non indovinasse niente; poi mi sono levato i miei stivaletti e messo le ciabatte con negligenza; poi ho chiuso la persiana di ferro, e tornando a passi tranquilli verso la porta, ho chiuso anche la porta a doppia mandata. Girandomi allora verso la finestra, la fissai con un catenaccio, di cui misi la chiave in tasca.
Improvvisamente, compresi che si agitava attorno a me, che aveva paura a sua volta, che mi ordinava di aprirgli. Fui sul punto di cedere; non cedetti, ma addossandomi alla porta, la socchiusi, giusto quanto bastava per passare, io, all'indietro; e poiché sono molto alto la mia testa toccava l'architrave. Ero sicuro che non era riuscito a scappare e lo rinchiusi, da solo, da solo. Quale gioia! Era nelle mie mani! Allora, scesi giù, correndo; presi nel salone, sotto la mia camera, le mie due lampade e rovesciai tutto l'olio sul tappeto, sui mobili, dappertutto; poi vi misi fuoco, e mi salvai, dopo aver chiuso bene, a doppia mandata, il portone d'ingresso. E andai a nascondermi in fondo al giardino, in un boschetto di lauri. Quanto tempo ci volle! Quanto tempo! Tutto era nero, muto, immobile; non un soffio d'aria, non una stella, solo montagne di nuvole che non erano visibili, ma che pesavano sulla mia anima così opprimenti, così opprimenti.
Guardavo la mia casa e aspettavo. Quanto tempo ci volle! Credevo già che il fuoco si fosse spento da solo, o che lui l'avesse spento, Lui, quando una delle finestre in basso scoppiò sotto la spinta dell'incendio, e una fiamma, una grande fiamma rossa e gialla, lunga, molle, carezzevole, salì lungo il muro bianco e lo baciò fino al tetto. Un lucore corse si diffuse negli alberi, nei rami, nelle foglie, e inoltre un brivido, un brivido di paura. Gli uccelli si svegliarono; un cane si mise a ululare; mi sembrò che il giorno si levasse! Due altre finestre scoppiarono presto, e vidi che tutta la parte bassa della mia dimora non era più che uno spaventoso braciere. Ma un grido, un grido orribile, acutissimo, straziante, un grido di donna percorse la notte, e due abbaini si aprirono! Avevo dimenticato i miei domestici! Vidi i loro volti impazziti e le loro braccia che si agitavano!
Allora, smarrito per l'orrore, mi misi a correre verso il villaggio urlando: "Aiuto! aiuto! al fuoco! al fuoco!"
Incontrai delle persone che già stavano arrivando e ritornai con loro, per vedere.
La casa, ora, non era più che un rogo orribile e magnifico, un rogo mostruoso, che rischiarava tutta la terra, un rogo in cui bruciavano degli uomini, e dove anche lui bruciava, Lui, Lui, il mio prigioniero, l'Essere nuovo, il nuovo padrone, l'Horla!
Presto il tetto tutto intero sprofondò tra i muri e un vulcano di fiamme zampillò fino al cielo. Da tutte le finestre aperte sulla fornace vedevo la tinozza di fuoco, e pensavo che lui era là, in questo forno, morto...
"Morto? Forse?... Il suo corpo? il suo corpo che il giorno attraversava non era forse indistruttibile con i mezzi che uccidono i nostri?
"E se non fosse morto?... forse solo il tempo ha presa sull'Essere invisibile e Temibile. Perché questo corpo trasparente, questo corpo inconoscibile, questo corpo da Spirito, se dovesse temere, anche lui, i mali, le ferite, le infermità, la distruzione prematura?
"La distruzione prematura? tutta la paura dell'uomo viene da lei! Dopo l'uomo, l'Horla. - Dopo quello che può morire ogni giorno, a tutte le ore, in qualsiasi minuto, per qualunque accidente, è giunto colui che non deve morire che nel suo giorno, alla sua ora, al suo minuto, perché ha raggiunto il limite della sua esistenza!
"No... no... senza alcun dubbio, senza alcun dubbio... Lui non è morto... E allora... allora... bisogna dunque che io mi uccida!..."
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25 maggio 1887




Traduzione italiana di Guido Mura, marzo-aprile 2002, dell'edizione elettronica http://etext.lib.virginia.edu/etcbin/browse-mixed-french?id=MauHorl&tag=public&images=images/modeng&data=/lv1/Archive/french-parsed
Illustrazioni: "Foresta", di Roberto Mura; L'Horla, di Guido Mura.

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