Le Horla

Il testo di Guy de Maupassant viene presentato in versione digitale in una nuova traduzione italiana, che cerca di rendere fedelmente anche il periodare concitato del narratore, il sapore ottocentesco delle sue esclamazioni, il ripetersi delle parole, che si sforza di conservare, quando possibile, il suono delle lettere, gli artifici retorici e il gusto quotidiano dello stile.
Si tratta di uno stile volutamente semplice, pieno di parole comuni, che accrescono nel lettore il sentimento della normalità, della verità dell'enunciato, ma disposte con straordinaria efficacia, nei momenti di maggiore tensione narrativa.
Mediante questo lessico privo di ricercatezze si sviluppa il percorso del narratore che introduce il lettore in un mondo di quotidiana follia, dove la certezza scompare, per far posto ad una realtà alternativa, ma non meno vera, dove l'assurdo s'insinua tra le maglie del possibile e lo compenetra di quella impalpabile ma pesante sostanza che è la materia prima degli incubi.

Foresta, di Roberto Mura

8 maggio. - Che stupenda giornata! Ho trascorso l'intera mattina disteso sull'erba, davanti alla mia casa, sotto l'enorme platano che la protegge e la ricopre completamente con la sua ombra. Amo questo paese e amo viverci perché qui ho le mie radici, queste profonde e delicate radici, che legano un uomo alla terra in cui sono nati e morti i suoi antenati, che lo legano a quel che si pensa e a quel che si mangia, ai costumi come ai nutrimenti, ai modi di dire locali, alla cadenza dialettale dei contadini, agli odori del suolo, dei villaggi e dell'aria stessa.
Amo la casa in cui sono cresciuto. Dalle mie finestre vedo la Senna che scivola, lungo il mio giardino, dietro la strada, e pare quasi entrare dentro la mia casa, la grande e larga Senna che va da Rouen a Le Havre, coperta di battelli che passano.
A sinistra, laggiù, Rouen, l'ampia città dai tetti azzurri, sotto una quantità di appuntiti campanili gotici. Sono innumerevoli, fragili o massicci, dominati dalla guglia di bronzo della cattedrale, e pieni di campane che suonano nell'aria azzurra delle belle mattine, scagliando fino a me il loro dolce e lontano brontolio di ferro, il loro canto di bronzo che la brezza mi porge, tanto più forte o fievole secondo che si risvegli o si assopisca.
Come era bella la mattina!
Verso le undici, un lungo convoglio di battelli, trainati da un rimorchiatore, grosso come una mosca e che rantolava di fatica vomitando un fumo denso, sfilò davanti alla mia inferriata.
Dopo due golette inglesi, il cui stendardo rosso ondeggiava contro il cielo, veniva un superbo tre alberi brasiliano, tutto bianco, mirabilmente lustro e sfavillante. Lo salutai, non so perché, tanto mi fece piacere vederlo.

12 maggio - Ho un po' di febbre da qualche giorno; mi sento sofferente, o piuttosto mi sento triste.
Da dove provengono quegli influssi misteriosi che cambiano in scoramento il nostro buonumore e la nostra serenità in angoscia? Si direbbe che l'aria, l'aria invisibile, sia piena di inconoscibili Forze, di cui subiamo la misteriosa vicinanza. Mi sveglio pieno di allegria, con la voglia di cantare nella gola. - Perché? - Scendo lungo la riva del fiume e subito, dopo una breve passeggiata, rientro desolato, come se qualche disgrazia mi aspettasse a casa.
Perché? - È forse un brivido di freddo che, sfiorando la mia pelle, ha scosso i miei nervi e rabbuiato la mia anima? È forse la forma delle nuvole, o il colore del giorno, il colore delle cose, così mutevole, che, attraversando i miei occhi ha sconvolto il mio pensiero? Chissà, tutto quello che ci avvolge, quello che vediamo senza guardarlo, quello che sfioriamo senza riconoscerlo, quello che tocchiamo senza percepirlo, tutto quello in cui c'imbattiamo senza distinguerlo ha su di noi, sui nostri organi e, attraverso di loro, sulle nostre idee, sul nostro stesso cuore, effetti rapidi, sorprendenti e inesplicabili.
Com'è profondo il mistero dell'Invisibile! Non possiamo sondarlo con i nostri sensi miserevoli, con i nostri occhi che non sanno scorgere né il troppo piccolo, né il troppo grande, né il troppo vicino, né il troppo lontano, né gli abitatori di una stella né quelli di una goccia d'acqua... con le nostre orecchie che ci ingannano, perché ci trasmettono le vibrazioni dell'aria come note sonore. Sono delle fate che fanno il miracolo di cambiare in rumore il movimento e mediante questa metamorfosi danno origine alla musica, che trasforma in canto l'agitazione muta della natura... col nostro odorato, più debole di quello del cane... con il nostro gusto, che può a mala pena distinguere l'età di un vino!
Ah! Se avessimo altri organi che realizzassero in nostro favore altri miracoli, quante cose nuove potremmo scoprire intorno a noi!

16 maggio. - Sono proprio malato! Eppure stavo così bene il mese scorso! Ho la febbre, una febbre atroce, o piuttosto un'agitazione febbrile che rende la mia anima sofferente come il mio corpo! Ho continuamente la sensazione spaventosa di un pericolo incombente, il timore di una disgrazia che viene o della morte che si avvicina, il presentimento che è senza dubbio l'attacco di un male ancora sconosciuto, che germina nel sangue e nella carne.

18 maggio. - Ho appena consultato un medico, perché non potevo più dormire. Mi ha trovato il polso rapido, le pupille dilatate, i nervi eccitati, ma senza alcun sintomo allarmante. Devo assoggettarmi a fare delle docce e bere bromuro di potassio.

25 maggio. - Nessun cambiamento! Il mio stato, veramente, è bizzarro. Man mano che si avvicina la sera, un'inquietudine incomprensibile mi pervade, come se la notte nascondesse per me una minaccia terribile. Mangio presto, poi cerco di leggere; ma non riesco a comprendere le parole; distinguo appena le lettere. Mi metto allora a passeggiare nel mio salone in lungo e in largo, sotto l'oppressione di una paura confusa e irresistibile, la paura del sonno e la paura del letto.
Verso le dieci salgo nella mia camera. Appena entrato, do due mandate di chiave e metto il chiavistello; di che cosa ho paura?... Non temevo niente fino ad ora... Apro gli armadi, guardo sotto il letto; ascolto... ascolto... che cosa? È strano che un semplice malessere, forse un disturbo circolatorio, l'irritazione di una terminazione nervosa, un po' di congestione, una minuscola alterazione nel funzionamento così imperfetto e delicato della nostra macchina vivente possa trasformare il più allegro degli uomini in un malinconico e il più ardimentoso in un codardo? Poi, mi corico, e attendo il sonno come se attendessi il boia. Lo aspetto con il terrore della sua venuta, e il mio cuore batte, le mie gambe fremono; e tutto il mio corpo sussulta nel caldo delle lenzuola, fino a che non cado di colpo nel sonno, come ci si getta per annegarvisi in un pozzo di acqua stagnante. Io non lo sento arrivare, come un tempo, questo sonno perfido, nascosto accanto a me, che mi spia, che sta per afferrarmi la testa, per chiudermi gli occhi, per annientarmi.
Così dormo, per molto tempo, due o tre ore, poi un sogno, anzi un incubo, mi stringe. Mi rendo conto di essere a letto e di dormire... lo sento e ne sono consapevole... ma sento anche che qualcuno mi si avvicina, mi guarda, mi tocca, sale sul mio letto, s'inginocchia sul mio petto, mi prende il collo tra le mani e stringe... stringe... con tutta la sua forza per strangolarmi.
Io mi dibatto, legato da quell'atroce impotenza che ci paralizza nei sogni; vorrei gridare, - non posso; vorrei muovermi, - non posso farlo; - e cerco, con degli sforzi spaventosi, ansimando, di girarmi, di respingere quest'essere che mi opprime e che mi soffoca, ma non posso farlo!
E improvvisamente mi sveglio, sconvolto, coperto di sudore. Accendo una candela: sono solo. Dopo questa crisi, che si ripete ogni notte, dormo infine, tranquillamente, fino all'aurora.

2 giugno - Il mio stato si è ancora aggravato. Che ho dunque? Il bromuro non fa effetto; le docce nemmeno. Nel pomeriggio, per affaticare il mio corpo, già così stanco, sono andato a fare un giro nella foresta di Roumare. Ho creduto dapprima che l'aria fresca, leggera e dolce, piena di odore d'erba e di foglie, mi riversasse nelle vene sangue nuovo, nel cuore un'energia nuova. Presi un grande sentiero di caccia, poi girai verso La Bouille, per un viale stretto, tra due schiere di alberi smisuratamente alti che interponevano un tetto verde, spesso, quasi nero, tra il cielo e me.
Un brivido mi colse immediatamente, non un brivido di freddo, ma uno strano brivido d'angoscia.
Affrettai il passo, inquieto per essere solo in quel bosco, impaurito senza ragione, stupidamente, dalla profonda solitudine. Di colpo, mi parve di essere seguito, che qualcuno mi tallonasse, così vicino da toccarmi.
Mi voltai bruscamente: ero solo. Non vidi dietro di me che il diritto e largo viale, profondo, angosciosamente vuoto, che anche dall'altro lato si stendeva a perdita d'occhio, identico, spaventoso.
Chiusi gli occhi. Perché? E mi misi a girare su un tallone, velocissimo, come una trottola. Stavo quasi per cadere; riaprii gli occhi; gli alberi danzavano, la terra ondeggiava; dovetti sedermi. Poi, Ah! Non sapevo più da dove ero venuto! Bizzarra idea! Bizzarra! Bizzarra idea! Non sapevo più niente. Mi diressi sul lato che si trovava alla mia destra e tornai sul sentiero che mi aveva condotto in mezzo alla foresta.

3 giugno. - La notte è stata orribile. Sto per andar via per qualche settimana. Un viaggio, senza dubbio, mi rimetterà in salute.

2 luglio. - Sono rientrato, guarito. D'altra parte ho fatto un'escursione affascinante. Ho visitato Mont Saint-Michel che non conoscevo.
Che visione, quando si arriva, come me, ad Avranches, sul finire del giorno! L'abitato si trova su di una collina e mi hanno condotto ai giardini pubblici, all'estremità della città. Ho lanciato un grido di stupore. Una baia smisurata si stendeva davanti a me, a perdita d'occhio, tra due coste allargate che si perdono in lontananza tra le brume; e in mezzo a questa immensa baia gialla, sotto un cielo d'oro e di luce, si elevava scuro e aguzzo un monte strano, in mezzo alle sabbie. Il sole era appena scomparso, e sull'orizzonte ancora fiammeggiante si disegnava il profilo di questa fantastica rupe che porta sulla cima un fantastico monumento.
All'alba, mi mossi verso di lei. Il mare era basso, come la sera del giorno prima, e guardavo ergersi davanti a me, man mano che mi avvicinavo, la sorprendente abbazia. Dopo diverse ore di cammino, raggiunsi l'enorme blocco di pietre che porta la piccola città dominata dalla grande chiesa. Dopo essermi inerpicato sulla strada stretta e ripida, entrai nella più ammirevole dimora gotica costruita per Dio sulla terra, vasta come una città, piena di basse sale schiacciate dalle volte e di alte gallerie che sostengono fragili colonne. Entrai in quel gigantesco gioiello di granito, leggero come un merletto, coperto di torri, di agili guglie, dove salgono delle scale a chiocciola, e che lanciano nel cielo blu del giorno, nel cielo nero della notte, le loro teste bizzarre irte di chimere, di diavoli, di animali fantastici, di fiori mostruosi, e unite l'una all'altra da sottili archi lavorati.
Quando arrivai sulla cima, dissi al monaco che mi accompagnava: "Padre, come dovete star bene qui!" Lui rispose: "C'è molto vento, signore"; e ci mettemmo a parlare mentre guardavamo salire il mare, che correva sulla sabbia e la ricopriva di una corazza d'acciaio.
Così il monaco mi raccontò delle storie, tutte le vecchie storie di quel luogo, leggende e ancora leggende.
Una di esse mi colpì in modo particolare. La gente del paese, quelli del monte, asseriscono che si senta parlare di notte tra le sabbie, perché si sentono belare due capre, una con una voce forte, l'altra con voce fievole. Gli increduli affermano che sono le grida degli uccelli di mare, che assomigliano talvolta a belati e talvolta a lamenti umani; ma i pescatori che rientrano a casa più tardi giurano di aver incontrato, aggirandosi sulle dune, tra due maree, intorno alla piccola città gettata così lontano dal mondo, un vecchio pastore, la cui testa, coperta dal mantello, non appare visibile e che conduce, camminando davanti a loro, un capro dal viso umano e una capra con la testa di donna, entrambi con lunghi capelli bianchi, che parlano senza tregua, lamentandosi in una lingua sconosciuta, e che poi smettono improvvisamente di gridare per belare con tutta la loro forza.
Chiesi al monaco: "Ci credete?" Mormorò: "Non lo so".
Continuai: "Se esistessero sulla terra altri esseri oltre a noi, perché mai non li conosceremmo da tempo; perché voi non li avreste mai visti? Perché non li avrei mai visti neanch'io? "
Rispose: "Non è forse vero che vediamo solo la centomillesima parte di quello che esiste? Ecco qua il vento, che è la più grande forza della natura, che fa cadere gli uomini, abbatte gli edifici, sradica gli alberi, solleva il mare in montagne d'acqua, distrugge le rocce e scaglia contro gli scogli i grandi bastimenti, il vento che uccide, che sibila, che geme, che muggisce, - l'avete mai visto, e potete vederlo? Tuttavia, esiste".
Tacqui di fronte a questo semplice ragionamento. Quest'uomo era un saggio o forse uno sciocco. Non avrei potuto affermarlo con certezza; ma tacqui. Quello che stava dicendo, l'avevo pensato spesso.

3 luglio. - Ho dormito male; certo, c'è qui un influsso febbrile, perché il mio cocchiere soffre del mio stesso male.
Ieri, nel tornare a casa, avevo notato il suo pallore singolare. Gli domandai: "Cos'avete, Jean?"
"Ho che non riesco più a dormire, signore, sono le mie notti che mangiano i miei giorni. Dalla partenza del signore, mi ha preso come un sortilegio".
Gli altri domestici intanto stanno bene, ma io ho una gran paura di avere un altro attacco.

4 luglio. - Certamente, sono stato ripreso. I miei vecchi incubi ritornano. Stanotte, ho sentito qualcuno piegato su di me e che, con la bocca sulla mia, beveva la mia vita dalle mie labbra, Sì, la succhiava nella mia gola, come avrebbe fatto una sanguisuga. Poi si è alzato, sazio, e allora mi sono svegliato, talmente distrutto, rotto, annientato, da non potermi più muovere. Se continuerà in questo modo ancora per qualche giorno ripartirò di sicuro.

5 luglio. - Ho perso la ragione? Quello che è successo la scorsa notte è talmente strano che la mia testa si smarrisce quando vi penso!
Come faccio adesso ogni sera, avevo chiuso la porta a chiave; poi, avendo sete, ho bevuto mezzo bicchiere d'acqua, e ho notato per caso che la caraffa era piena fino al tappo di cristallo.
Mi coricai subito dopo e caddi in uno dei miei sogni spaventosi, da cui fui liberato dopo due ore circa da un'emozione ancora più terribile.
Immaginate un uomo addormentato, che venga assassinato, e che si svegli, con un coltello in un polmone, che rantoli coperto di sangue, che non possa più respirare, che sta morendo senza comprendere - Ecco, è così.
Dopo aver infine riconquistato la ragione, ebbi nuovamente sete; accesi una candela e mi diressi verso il tavolo sul quale era appoggiata la mia caraffa. La sollevai piegandola verso il bicchiere; non scese niente. - Era vuota! Era completamente vuota! Dapprima non compresi; poi, di colpo, sentii un'emozione così terribile che dovetti sedermi, o piuttosto che caddi su una sedia! poi mi risollevai con un salto per guardarmi intorno! poi mi sedetti di nuovo, smarrito per lo stupore e per la paura, davanti al cristallo trasparente! Lo contemplavo con gli occhi fissi, cercando di indovinare. Le mie mani tremavano! Qualcuno aveva dunque bevuto l'acqua? Chi? Io? Io, senza dubbio. Potevo essere stato solo io. Ma allora io ero sonnambulo, vivevo, senza saperlo, di quella doppia vita misteriosa che fa pensare che vi siano due esseri in noi, o che un essere estraneo, inconoscibile e invisibile, animi, a momenti, quando la nostra anima è intorpidita, il nostro corpo prigioniero che obbedisce a quest'altro, come a noi stessi, più che a noi stessi.
Ah! chi comprenderà la mia angoscia orribile? Chi comprenderà l'emozione di un uomo, sano di spirito, ben desto, pieno di senno, che guarda spaventato, attraverso il vetro di una caraffa, un poco d'acqua scomparsa mentre lui dormiva! E così rimasi là fino a giorno, senza osare rimettermi a letto.

6 luglio,. - Sto impazzendo. Qualcuno ha ancora bevuto la mia caraffa stanotte; - o piuttosto io stesso l'ho bevuta! Ma, sono stato io? Chi sarà? Chi? mio Dio! Sto impazzendo! Chi mi salverà?

10 luglio. - Ho appena fatto degli esperimenti sorprendenti.
Certamente, devo essere pazzo! Ma tuttavia!

Il 6 luglio, prima di andare a letto, ho sistemato sul mio tavolo vino, latte, acqua, pane e fragole. Qualcuno ha bevuto - io ho bevuto - tutta l'acqua, e un po' di latte. Non sono stati toccati né il vino, né il pane, né le fragole.
Il 7 luglio ho ripetuto lo stesso esperimento, che ha dato il medesimo risultato.
L'8 luglio ho eliminato l'acqua e il latte. Non è stato toccato niente.
Il 9 luglio infine, ho rimesso sul tavolo solamente l'acqua e il latte, avendo cura di avvolgere le caraffe con panni di mussola bianca e di legare i tappi. Poi ho sporcato le mie labbra, la barba e le mani con della mina di piombo e sono andato a letto.
L'invincibile sonno mi ha colto, seguito presto dall'atroce risveglio. Non avevo spostato niente; i miei stessi vestiti non recavano segni. Mi lanciai verso il tavolo. I panni che chiudevano le bottiglie erano rimasti immacolati.
Slegai gli spaghi, tremando di paura. Tutta l'acqua era stata bevuta! tutto il latte era stato bevuto! Ah, mio Dio!...
Parto subito per Parigi.

12 luglio. - Parigi. Avevo dunque perso la testa i giorni scorsi! Dovevo essere lo zimbello della mia immaginazione agitata, a meno che io non sia veramente sonnambulo, o che abbia subito uno di quegli influssi evidenti, ma inesplicabili, che si chiamano suggestioni. In ogni caso, il mio vaneggiare rasentava la demenza e ventiquattr'ore di Parigi sono bastate per rimettermi in sesto.
Ieri, dopo varie escursioni e visite, che mi hanno fatto circolare nell'anima un'aria nuova e vivificante, ho concluso la mia serata al Théâtre-Français. Vi si rappresentava una commedia di Alexandre Dumas figlio; e quello spirito vivace e robusto ha completato la mia guarigione. Certo, la solitudine è pericolosa per le menti che lavorano. Abbiamo bisogno attorno a noi di uomini che pensino e che parlino, Quando rimaniamo soli per molto tempo, popoliamo il vuoto di fantasmi. Sono rientrato in albergo molto allegro, attraverso i boulevard. Nel pieno della folla pensavo, non senza ironia, ai miei terrori, alle mie supposizioni della settimana passata, perché ho creduto, sì, ho creduto che un essere invisibile abitasse sotto il mio tetto.
Com'è debole la nostra testa e come si sgomenta e si smarrisce subito, quando un piccolo fatto incomprensibile ci colpisce!
Invece di concludere con queste semplici parole: "Non capisco perché la causa mi sfugge", immaginiamo immediatamente misteri spaventosi e potenze soprannaturali.

14 luglio. - Festa della Repubblica. Sono andato a spasso per le strade. I petardi e le bandiere mi divertivano come un bambino. È tuttavia molto stupido essere allegri a data fissa, per decreto del governo. Il popolo è un gregge imbecille, talvolta stupidamente paziente e talvolta ferocemente ribelle. Gli si dice: "Divertiti". Lui si diverte. Gli si dice "Va a combattere il tuo vicino". Lui va a combattere. Gli si dice: "Vota per l'Imperatore". Lui vota per l'Imperatore. Poi gli si dice: "Vota per la Repubblica". E lui vota per la Repubblica.
Quelli che lo dirigono sono altrettanto cretini; ma invece di obbedire a degli uomini, obbediscono a dei princìpi, che non possono essere che sciocchi, sterili e falsi, per il fatto stesso di essere princìpi, cioè idee reputate certe e immutabili, in questo mondo in cui non si è sicuri di niente, poiché la luce è un'illusione, poiché il rumore è un'illusione.
16 luglio. - Ho visto ieri cose che mi hanno fortemente turbato.
Pranzavo da mia cugina, Mme Sablé, il cui marito comanda il Settantaseiesimo Cacciatori a Limoges. Mi trovavo a casa sua con due giovani donne, di cui una ha sposato un medico, il dottor Parent, che si occupa molto delle malattie nervose e delle manifestazioni straordinarie che producono proprio ora gli esperimenti sull'ipnotismo e la suggestione.
Il dottore ci raccontò a lungo i risultati prodigiosi ottenuti da alcuni studiosi inglesi e dai medici della scuola di Nancy.
I fatti che egli espose mi sembrarono talmente bizzarri che mi dichiarai del tutto incredulo.
"Noi siamo", affermava, "sul punto di scoprire uno dei più importanti segreti della natura, voglio dire, uno dei suoi più importanti segreti su questa terra; perché ne ha certo anche di maggiore importanza laggiù, nelle stelle. Da quando l'uomo pensa, da quando sa dire e scrivere il suo pensiero, si sente sfiorato da un mistero impenetrabile da parte dei suoi sensi grossolani e imperfetti e si sforza di supplire, con lo sforzo della sua intelligenza, all'impotenza dei suoi organi. Quando quest'intelligenza rimaneva ancora allo stato rudimentale, l'ossessione dei fenomeni invisibili ha preso delle forme stupidamente spaventose. Da questo sono nate le credenze popolari sul soprannaturale, le leggende sugli spiriti erranti, le fate, gli gnomi, gli spettri, direi anche la leggenda di Dio, perché le nostre concezioni dell'operaio-creatore, da qualunque religione ci provengano, sono proprio le invenzioni più mediocri, le più stupide, le più inaccettabili uscite dal cervello impaurito delle creature. Nulla di più vero della frase di Voltaire: "Dio ha fatto l'uomo a sua immagine, ma l'uomo non è stato da meno".
Ma, da un po' più di un secolo, sembra di avere il presentimento di qualcosa di nuovo. Mesmer e alcuni altri ci hanno messo su una strada inattesa, e così siamo arrivati davvero, da quattro o cinque anni soprattutto, a risultati sorprendenti".
Mia cugina, anche lei molto incredula, sorrideva. Il dottor Parent le disse: "Volete che cerchi di addormentarvi, signora?"
"Sì, certo."
Lei si sedette su una poltrona e lui incominciò a guardarla fissamente incantandola. Io mi sentii subito un po' turbato, col cuore che batteva, la gola stretta. Vedevo gli occhi di Madame Sablé appesantirsi, la sua bocca contrarsi, il suo petto ansimare.
Dopo dieci minuti si addormentò.
"Mettetevi dietro di lei", disse il medico.
Mi sedetti dietro di lei. Lui le mise tra le mani un biglietto da visita dicendole: "Questo è uno specchio, che cosa vi vedete dentro?"
Lei rispose: "Vedo mio cugino."
"Che cosa fa?"
"Si attorciglia i baffi."
"E ora?"
"Tira fuori dalla tasca una fotografia."
"Che fotografia?"
"La sua."
Era vero! E la fotografia mi era stata consegnata, la sera stessa, in albergo.
"Come appare in questo ritratto?"
"Sta in piedi, con il cappello in mano."
Dunque lei vedeva in questa carta, in questo biglietto bianco, come se avesse guardato in uno specchio.
Le ragazze, spaventate, dicevano: "Basta! Basta! Basta!"
Ma il dottore ordinò:"Vi alzerete domani alle otto; poi andrete a trovare vostro cugino nel suo albergo e lo supplicherete di prestarvi cinque mila franchi che vostro marito vi domanda e che vi richiederà al suo prossimo viaggio."
Poi la risvegliò.
Rientrando in albergo, pensai a questa curiosa seduta e mi assalirono dei dubbi, non certo sull'assoluta e insospettabile buona fede di mia cugina, che conoscevo come una sorella, sin dall'infanzia, ma su un possibile trucco del dottore. Non nascondeva forse nella mano uno specchio che mostrava alla giovane donna addormentata, insieme al suo biglietto da visita? I prestigiatori di professione fanno cose altrettanto singolari.
Rientrai dunque e mi coricai.
Ebbene, stamattina, verso le otto e mezzo, fui svegliato dal mio domestico, che mi disse:
"C'è Madame Sablé che chiede di parlare al signore subito."
Mi vestii in fretta e la ricevetti.
Si sedette molto turbata, con gli occhi bassi, e senza alzare la veletta, mi disse:
"Caro cugino, ho un grande piacere da chiedervi."
"Quale, cugina?"
"Mi imbarazza molto dirvelo, ma tuttavia è necessario. Ho bisogno, assolutamente bisogno, di cinquemila franchi."
"Suvvia, voi?"
"Sì, io, o piuttosto mio marito, che mi ha chiesto di trovarli."
Ero così stupefatto, che balbettavo le risposte. Mi chiedevo se veramente lei non si fosse burlata di me con il dottor Parent, se questa non fosse una semplice farsa preparata in anticipo e molto ben interpretata."
Ma, guardandola con attenzione, tutti i miei dubbi si dissiparono. Infatti tremava d'angoscia, tanto questo passo le era doloroso, e compresi che aveva la gola piena di singhiozzi.
Sapevo che era molto ricca e ribattei:
"Come! vostro marito non ha cinque mila franchi a sua disposizione! Vediamo, riflettete. Siete sicura che lui vi abbia incaricato di chiedermeli?"
Esitò per qualche secondo come se avesse fatto un grande sforzo per cercare nei suoi ricordi, poi rispose:
"Sì, sì, ne sono sicura."
"Vi ha scritto?"
Esitò ancora, riflettendo: Immaginai la fatica tormentosa del suo pensiero. Lei non sapeva. Lei sapeva soltanto che doveva chiedermi in prestito cinque mila franchi per suo marito. Quindi osò mentire.
"Sì, mi ha scritto."
"Quando? Non mi avete detto niente, ieri."
"Ho ricevuto la sua lettera stamattina."
"Potete mostrarmela?"
"No... no... no... conteneva delle cose intime... troppo personali... io l'ho... io l'ho... bruciata."
"Allora, vuol dire che vostro marito fa dei debiti."
Lei esitò ancora, poi mormorò:
"Non lo so."
Dissi bruscamente:
"È che non dispongo di cinque mila franchi in questo momento, cara cugina."
Lei gettò una sorta di grido di sofferenza.
"Oh! oh! ve ne supplico... se voi sapeste come soffro... io ne ho bisogno oggi."
Ebbi pietà di lei
"Li avrete presto, ve lo giuro."
Gridò:
"Oh! grazie! grazie! come siete buono."
Ripresi: "Vi ricordate ciò che è avvenuto ieri a casa vostra?"
"Sì."
"Vi ricordate che il dottor Parent vi ha addormentato?"
"Sì."
"Ebbene, vi ha ordinato di venire a chiedermi stamattina cinque mila franchi, e voi obbedite in questo momento a questa suggestione."
Lei pensò per alcuni secondi e rispose:
"Ma è mio marito che li chiede."
Per un'ora intera cercai di convincerla, ma non ci riuscii.
Quando fu andata via, corsi dal dottore. Stava per uscire; e mi ascoltò sorridendo. Poi disse:
"Ci credete ora?"
"Sì, è inevitabile."
"Andiamo dalla vostra parente."
Lei sonnecchiava già su una poltrona a sdraio, prostrata dalla stanchezza. Il medico le prese il polso, la guardò per un po', con una mano levata verso i suoi occhi, che lei chiuse a poco a poco, sotto lo sforzo insostenibile di quella potenza magnetica.
Quando fu addormentata:
"Vostro marito non ha più bisogno di cinque mila franchi. State per dimenticare di aver pregato vostro cugino di prestarveli e, se ve ne parlerà, non capirete."
Poi la svegliò. Trassi dalla mia tasca un portafoglio:
"Ecco, mia cara cugina, ciò che mi avete chiesto stamattina."
Lei fu talmente sorpresa che non osai insistere. Cercai di rinfrescarle la memoria, ma lei negò con forza, credette che mi burlassi di lei e mancò poco che andasse in collera.

Ecco! sono appena tornato a casa; non ho potuto pranzare, tanto questa esperienza mi ha sconvolto.

19 luglio. - Molte persone a cui ho raccontato questa avventura mi hanno preso in giro. Non so più che pensare. Il saggio dice: È possibile?

21 luglio. - Sono stato a pranzo a Bougival, poi ho passato la sera al ballo dei canottieri. Certo tutto dipende dai luoghi e dall'ambiente. Credere al sovrannaturale nell'isola della Grenouillère sarebbe il colmo della follia... ma in cima al Mont Saint-Michel? ... o in India? Noi subiamo spaventosamente l'influenza di ciò che ci circonda. Tornerò a casa la settimana prossima.

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