di Luigi Oldrati
Perchè soffro, perchè ho l' alma
Tutta fosca, intenebrata,
Solco un mar che non ha calma,
La procella è interminata,
Rotto è l' impeto del core
Agli insulti del dolore!
Son gettato, come il figlio
Del naufragio e della morte,
Nelle tenebre d'esiglio,
Fra i lamenti e le ritorte,
Ma il naufragio è tutto intero
Nella morte del pensiero.
Addio carmi celebrati
Nel pudor di giorni santi,
Il mio cor non v' ha obbliati,
Ma la cetra ha i fili infranti,
Perchè rugge come sgherro
Una balda età di ferro.
Sol la scienza e l' arti vive
Son nel secolo procaci,
Che farai su fresche rive
Ricantando rose e baci?
Mentre i giorni son di pianto,
Che far noi del tuo bel canto!
Dura legge, atro consiglio!
Se l'accesa fantasia
Corre sempre al suo periglio,
Chi dirà l'angustia mia
Combattuto e poi rivinto
Dal valore dell' istinto?
Cessa, o vate - che una muta
Di rie serpi in turpe fogna
Mostreran la 1ingua acuta
Per coprirti di vergogna,
E tu solo inestricato
Che farai col carme ingrato!
Io farò. Che come il latte
Al mio vispo fanciullino
Scorran morbide ed intatte
Le rie fonti del destino;
Che le serpi fien pasciute
Del mio latte di salute.
E se l' alma non si stanca,
Se dilungasi il nemico,
Se la cetra si rinfranca
Tornerò al mio plettro antico;
E di nenie e fantasie
Ferirò le occulte vie.
Il mio genio è irremutato,
Nacqui e vissi, e vo' con esso
Incontrar l' ultimo fato
Sotto i triboli defesso...
È l' amor de' carmi ancora
Che mi spinge all' ultim' ora.
Sdegno il verso allor che il senno
De' codardi lo calpesta,
Per la vergine di Lenno
Fu pur l' arpa un dì funesta,
Perirò, ma forse il canto
Resterà dopo il mio pianto.