Giacomo Maria Foscarini

Il ritrovamento di un epistolario in gran parte dedicato alle quasi quotidiane relazioni inviate da un agente di campagna al proprietario, Giacomo Maria Foscarini, è stato occasione per riprendere le ricerche su questo interessante, ma quasi sconosciuto personaggio, che ebbe notevole rilevanza nel mondo dell'imprenditoria agraria del Varesotto nella prima metà dell'Ottocento.
Diversi spezzoni dell'Archivio Foscarini sono stati recuperati e unificati da Claudia Morando, che da vari anni dirige l'Archivio di Stato di Varese, ricreando un corpus di lettere inviate al Foscarini, per lo più da una tenuta di Cartabbia (Varese), dal suo agente, Vincenzo Fiorio, e da altri corrispondenti.
La figura del Foscarini emerge da questo insieme di lettere attraverso le parole di altri, in quanto non sono ancora stati ritrovati che in minima parte documenti da lui stesso redatti, e vengono evidenziati la passione e la meticolosità con cui il Foscarini seguiva l'andamento dei lavori agricoli, la vinificazione e la coltivazione dei bachi da seta. Giacomo Maria Foscarini, malgrado la sua importanza nella storia della vita economica del Varesotto, è ricordato quasi soltanto per i suoi rapporti con Vincenzo Dandolo, cui lo accomunava la provenienza dalla comunità ebraica veneziana, e per essere stato ricordato in alcuni scritti di Tullio Dandolo, figlio di Vincenzo.
Di lui si conosceva solo un articolo, pubblicato nella Biblioteca Italiana, in cui l'autore presentava una serie di esperimenti relativi a una delle più gravi malattie del baco da seta, il mal del calcino o calcinetto. Da una segnalazione in nota a quest'unico scritto firmato con il suo nome sono risalito ad altri articoli di argomento affine, pubblicati negli stessi anni in altri periodici.
Questo materiale viene presentato per la prima volta in edizione digitale.

G. M.

Sulla malattia de' filugelli, detta del Calcinello e del Segno.

Sig. COMPILATORE
Milano, 10 aprile 1820.

Nell'articolo recato dalla Gazzetta Milanese, n° 148, dell'anno 1819 (1), in cui s'espongono alcuni esperimenti da me fatti a fine di chiarirmi se la malattia del calcinello, a che vanno soggetti i bachi da seta, sia o no 'contagiosa, promisi di parlare altra volta delle pratiche che ho messo in uso finora per impedirne il progresso.
Avvicinandosi ora il tempo di allevare essi bachi, reputo opportuno di tenere la mia promessa con esporre alcuni fatti.

FATTI.

Nel corso di vent' anni che attendo al governo dei bachi da seta, quattro volte mi sono avvenuto nel male del calcinello, cioè nell' anno 1813 in una parti ta, nel 1816 in un'altra, e ne' due anni 1818 e 1819 replicatamente nelle partite poste dentro una stessa stanza. In tutti questi quattro casi ho veduto troncarsi il progresso della malattia mercè delle seguenti sem plicissime pratiche.
Tosto ch' ebbi scoperta la malattia, sviluppatasi dopo la quarta muta, feci trasferire i bachi da graticcio a graticcio, togliendone i letti e cangiandone le carte.
Indi spalancate tutte le aperture, e presi de' manipoli di paglia accesi, feci fare delle fiamme con fumo attorno la stanza, passando con essi di fila in fila per tutti i graticci, in modo che tutta l'area e tutti i bachi avessero da sentir l'influenza di queste fiamme, le quali vennero replicate da sei ad otto volte ogni ventiquattr'ore.
Feci inoltre tor via da' graticci i bachi morti, di mano in mano che alcuno di essi periva.
Da questa pratica ebbi per costante risultamento un buon prodotto di bozzoli, ad onta che nell'atto del raccoglierli, se ne sia trovato un sei per cento circa con dentro la crisalide calcinata.
Mi è d'uopo avvertire che, particolarmente in due di questi casi, il male minacciava assai danni.

ALTRI FATTI

Richiesto più volte di visitare partite di bachi intaccati della malattia del calcinello, ho suggerito i rimedi da me praticati e ho veduto perseveratamente:

  1. Che quando il rimedio è stato praticato in sul primo svilupparsi della malattia, favorevolissimo n' è stato l'effetto.
  2. Che quando i cambiamenti sono stati mal eseguiti, e le fiamme scarse e mal fatte, il prodotto è riuscito mediocre.
  3. Che quando si applicava il rimedio a male troppo inoltrato, esso tornava di poca efficacia.

Dal complesso di questi fatti a me pare che si possa dedurre essere probabile:

  1. Che le fiamme colla paglia, fatte ne' modi prescritti, possano impedire che la malattia del calcinello vada più innanzi.
  2. Che quando la malattia è molto avanzata, il rimedio scemi in virtù.
  3. Che in qualunque caso le fiamme si dovrebbero fare da sei ad otto volte il giorno nel modo indicato.
  4. Che per ottenere un risultato utile ed essenziale, farebbe mestieri di applicare il rimedio, immediatamente quando si manifesta la malattia.

COROLLARIO

Avendo io levato, colle mie mani, da più di 200,000 bachi i 39 bachi che servirono per i tre esperimenti:
Avendo esaminato con somma diligenza le partite che diedero più di 200.000 bozzoli, formate da' suddetti 200.000 bachi, senza rinvenire in questi veruna crisalide calcinata:
Avendo trovato ne' 39 bozzoli risoltati dagli esperimenti n. 34 bigatti o crisalidi calcinate:
mi pare che ragionevolmente si debba riputar probabile che la malattia del calcinello possa essere contagiosa.
Meditando sopra l'ipotesi che il male del calcinello sia contagioso, e sul favorevole effetto che ottenni dalle fiammate e dal fumo, mi sovvenne, che nei porti di mare quando capitano lettere da paesi infetti, le affumicano prima di dispensarle. Io dissi allora fra me: se nel fatto si crede che le fumicazioni tolgano il miasma pestilenziale dalle lettere, perché non si vorrà anche supporre che le fumicazioni di paglia possano distruggere il miasma nelle stanze infette del calcinello ?
Se questa mia ipotesi venisse avvalorata da osservazioni e da cimenti instituiti da altri allevatori di vermi da seta, converrebbe in allora cercare se alla fiamma oppure al fumo si abbia da attribuire l' attività distruggitrice del miasma, o veramente se al loro effetto insieme unito si debba ascrivere questa salutare virtù.

Z. (Continua).



(1) Ecco l'articolo di cui si fa cenno. Le linee stampate in corsivo sono giunte ora fatte a quell'articolo dal suo stesso autore.

"Signor Estensore.
"La prego di inserire nell'Appendice del suo giornale i seguenti fatti, che sembranmi importantissimi per chi attende alla coltura dei bachi da seta, che formano un ramo precipuo della nostra ricchezza nazionale.
"Sono questi alcuni esperimenti da me fatti, onde esaminare se la malattia del calcinaccio, cui vanno soggetti i bigatti, sia o no contagiosa.

FATTO

"Dopo l'ultima muta si è manifestato in una partita de' miei bigatti il male del calcinaccio: previe alcune cure, di cui parlerò altra volta, i bigatti sono andati felicemente al bosco, ed hanno formato i loro bozzoli. Non ommisi però di visitare il bosco due o tre volte al giorno; il terzo dì esaminando una capannella all'estremità d'un graticcio, trovai dieci o dodici bigatti calcinati; mi feci ad esaminare in seguito tutto il bosco di quella stanza, e ne trovai 50 a 60, alcuni de' quali nel toccarli, lasciavano le dita come se avessero maneggiato del gesso; li raccolsi, e con questi bigatti ho proceduto ai seguenti esperimenti.
Scopo del 1.° sperimento. Scoprire se la sola aria della stanza in cui era una partita di bachi afflitti dal male del calcinaccio potesse essere contagiosa ai bachi sani.
"Esperimento: Ho fatto una piccola cassettina di carta, e congegnata in essa una capannetta di ravizzone: in questa ho posto n° 10 bigatti tolti da una partita sanissima: ho situato questa cassettina entro quella capannetta, nella quale aveva trovato i 10 bigatti calcinati.
Scopo, del 2.° sperimento. Scoprire se quell'aria, unita al contatto de' bachi calcinati coi sani, generasse a questi la stessa ma1attia.
"Esperimento: Nella stessa capannetta ho posto una simile cassettina con 11 bigatti della qualità posta nel n. 1, aggiungendovi tre bigatti calcinati.
Scopo del 3.° sperimento. Scoprire se il solo contatto de' bachi sani co' bachi calcinati comunicasse a' primi quest'infezione.
"Esperimento: In uno scaffale del mio studio ho posto una quarantina di bigattì calcinati unitamente a dieciotto bigatti sani; cioè dieci della stessa qua1ità di quelli posti nella cassettina, e otto levati da due altre partite di bachi sanissime.
"I bigatti de' suddetti tre esperimenti furono trattati in seguito come il solito.
"Dopo quattro giorni sono andati al lavoro i bigatti delle due cassettine, e dopo sei quello dello studio.
"Passati otto giorni ho levati i bozzoli da' piccioli boschi serviti per gli esperimenti, ed ho trovati i seguenti risultati:
"Nel 1.° esperimento trovai dentro di tre bozzoli i bigatti ridotti in mummie calcinate, e sette con grisalidi sane.
"Nel 2.° esperimento si rinvennero n.° otto calcinati e tre sani.
"Nel 3.° esperimento tutti i bozzoli avevano il bigatto o grisalide calcinati, e qualcuno anche aderente allo stesso bozzolo.
"Lascio a' teorici e pratici il giudicare, se da questi tre esperimenti si possa trarre qualche argomento, onde dedurre se la malattia del calcinaccio sia o no contagiosa.

"N. B. Le tre partite dalle quali ho levati i bigatti per fare le suddette prove, non hanno avuto nemmeno indizio di calcinaccio, ed hanno dato un copioso raccolto di galette con grisalidi sane.
Debbo ora aggiugnere che dopo la pubblicazione di quell'articolo, alcune delle poche crisalidi, trovate nei bozzoli degl'esperimenti, si sono calcinate, ed il più notevole si è che una delle crisalidi sane, divenuta farfalla, si è calcinata.


Da: Il Raccoglitore, tomo VIII (1820), n. 30


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