Legature a placchetta per Jean Grolier, tesoriere generale di Luigi XII a Milano. Considerazioni sul maestro IO.F.F.*

di Paola Venturelli

Succeduto il 15 settembre 1509 a suo padre Estienne nella carica di Tesoriere Generale dell'armata di Luigi XII1, Jean Grolier manifestò la sua passione di raffinato bibliofilo anche attraverso la committenza di preziose legature2. Di tipo del tutto nuovo per essere ornati di placchette impresse a rilievo3, gli esemplari che gli appartennero attestano l'importante passaggio avvenuto agli inizi del XVI secolo quando si abbandonano le impronte di monete romane e gemme antiche, tipiche delle rilegature degli ultimi due decenni del Quattrocento, per sostituirle con nuove composizioni eseguite da scultori o orafi del momento.
Educato a Parigi dall'umanista bolognese Gaspar Argilensis, Jean Grolier giunse in data imprecisata a Milano, forse già nel 1499 al seguito del padre
4. Il suo prolungato soggiorno nel capoluogo milanese, fu ricco di amicizie dotte e legami culturali altamente significativi. Fu sicuramente in rapporto con il musico Franchino Gaffuri, con Andrea Assaraco, Lodovico Ricchieri (Coelius Rhodiginus), Aldo Manuzio, Marco Musuro e l'Egnazio, come risulta dalle opere che essi gli dedicarono5. Nel suo entourage sembra essere rientrato anche Leonardo da Vinci, tornato a Milano alla metà del 1506 sotto la particolare protezione del maresciallo Carlo d' Amboise, luogotenente generale del re di Francia a Milano e suo grande ammiratore. Nel Codice Atlantico Leonardo ricorda infatti pagamenti da lui effettuati "dal luglio 1508 insino aprile prossimo 1509" (fol. 192 r-a) al "tosoliere" (cioè 'tesoriere' secondo l'antica forma toscana) "groliere" (fol. 192 v-b)6, da identificarsi se non con Jean con il padre Estienne7. Lo stesso maestro fiorentino non era del resto estraneo al mondo di Jean Grolier, dato che Geoffroy Tory nel suo Champfleury del 1529 elogerà le lettere attiche disegnate dal Vinci per la Divina Proporzione di Luca Pacioli, pubblicata nel 1509, affermando che il Pacioli se ne era anzi attribuito il merito8. Sempre a Milano si situano inoltre l'incontro con Aldus (avvenuto presumibilmente tra la fine dell'agosto e gli inizi del settembre 1511) e quelli con la maggior parte degli autori italiani che gli dedicarono libri9. Non pare neppure essergli mancata la frequentazione con il monastero domenicano di Santa Maria delle Grazie, dove lavora Leonardo e dove gravita il Pacioli insieme ad altri eruditi. Al "molto gentile vertuoso ed onorato monsignor Giovanni Gloriero tesoriero di Francia" Matteo Bandello, nipote del priore di Santa Maria delle Grazie, destinerà una delle sue novelle, affermando di averla udita in tale monastero, menzionandovi Stefano Negro, Valtero Corbetta, Lodovico Ricchieri, Antonio Tilesio10.
Il Grolier fu inoltre un noto collezionista di antichità numismatiche, delle quali era anche aggiornato conoscitore. Nella sua biblioteca si trovavano le Castigationes Plinianae di Ermolao Barbaro
11, un insieme di indicazioni nuove per affrontare fonti e monumenti antichi, estranee al Mantegna, per esempio, così come a Giovanni da Tolentino, un umanista milanese a Roma tra marzo e aprile 1490, ancora dipendente da una visione evocativa e letteraria dell'antichità12. Monete e medaglie della raccolta parigina del Grolier vennero viste dai cultori principali dell'epoca, incluso Jacopo Strada che ne diede descrizione entusiasta nell' Epitome thesauri des Antiquittez, c' est à dire. Pourtraitzs des vrayes Medailles des EMPP., tant d'Orient que d'Occident, de l'estude de Jaques Strada, Mantuan Antiquaire, traduit par Jean Louveau, d'Orléans (Lione 1553). Anche Johannes Sambucus rientrò nel gruppo dei colti ammiratori. Nell' Emblemata cum aliquot nummis antiqui operis (1564), introdurrà l'appendice numismatica con una lettera indirizzata a Jean Grolier, seguita dalla stampa di ventitre monete che nella seconda edizione (1566) diverranno quarantaquattro13.
Agli anni della permanenza nel capoluogo lombardo risalgono i volumi con grandi placchette impresse, caratterizzanti la prima fase del suo collezionismo
14. La grande rassomiglianza tra loro di queste legature ha fatto supporre che esse siano state eseguite da artigiani operanti nel settore del cuoio entro un breve giro di anni, forse dal 1506/150815, o più verosimilmente dal 1510 al 151616. Quella del Gellius (Bologna 1503), ritenuta la prima del gruppo, reca infatti la data 19 settembre 1510 attestante la consegna del volume da parte della bottega, mentre il manoscritto dell' Offices et charges de France, con atti di Luigi XII (il più tardo del 1515), non sembra esser stato legato sino al 151617.
È ragionevole pensare che il Tesoriere stesso non sia stato estraneo alla scelta dei temi raffigurati nelle placchette. Ad eccezione del Cavaliere turco a cavallo di incerto contenuto, impresso sul Gellius, unitamente a una Testa di Diana (fig. 11)
18, le restanti dodici impronte (la Testa di Asdrubale portata ad Annibale, il Sacrificio di Marco Curzio, Orazio Coclite che difende il ponte, Muzio Scevola con la mano sulla fiamma, il Trionfo della Prudenza, il Giudizio di Paride, Arianna a Nasso, l 'Abbondanza con un satiro, Orfeo che incanta gli animali, una Scena di battaglia, la Battaglia di Canne, e l 'Allegoria della Fortuna), si mostrano infatti compatte dal punto di vista dei significati, evidenziando attraverso la celebrazione delle virtù proconsulari gli orientamenti di vita e culturali del Grolier.
Marco Curzio, l'eroe leggendario che sacrificò la propria vita per la Repubblica lanciandosi nel precipizio [fig. 12.b], esemplifica la più importante virtù romana, il coraggio in battaglia
19, Orazio Coclite, altro salvatore di Roma, allude al coraggio in generale20, mentre il gesto di Muzio Scevola appare come un esempio di patientia (perseveranza) [fig. 12.a]21. La scena del generale cartaginese Annibale che contempla la testa del fratello Asdrubale gettatagli nell'accampamento quale avvertimento [fig. 11], può significare oltre a un elogio alla humanitas, dato che egli dava ai nemici caduti una decorosa sepoltura, anche la Forza nell'Avversità (una meditazione dunque su due opposte condizioni esistenziali), nonchè l'invito a una saggia moderazione, seguendo il pensiero di Giovenale espresso nella decima Satura, secondo il quale Annibale aveva mirato troppo in alto, verso imprese eccessive e senza senso, nei confronti delle quali l'unica giusta decisione è il riso di Democrito22.
In modo particolare, nel gruppo di queste impronte spiccano le raffigurazioni della Prudenza e di Artemide. Il volto di profilo di Artemide compare sul cammeo utilizzato quattro volte sui due piatti della già menzionata legatura dell'Aulus Gellius, Noctium Atticarum commentarii, un manuale di grammatica e di morale ammiratissimo dagli umanisti e modello dei Miscellanea di Poliziano
23, dove tra l'altro il Gellio in un capitolo sull'avverbio 'mature' introduce il fortunato motto dell'imperatore Augusto, 'Festina lente', che raccomanda insieme rapidità e pazienza, audace abbandono e prudente controllo di sé24, motto sul quale torna Svetonio nel De vita Caesarum (II, xxv), un testo posseduto anch'esso dal Grolier. Le medesime figure tornano in altre due impronte. Artemide risulta infatti nella scena allegorica con una giovane donna su un dragone e un'altra alle sue spalle reggente uno specchio, recentemente identificata come il Trionfo della Prudenza [fig. 13.b]25, la virtù di discernere le azioni giuste da quelle sbagliate. Vi è rappresentata sulla sinistra, eretta sopra un cippo, nonché allusa dal dettaglio dell'asta con un capo mozzato, portata dall'uomo al suo fianco26. Anche la placchetta interpretata talvolta come Omaggio a Venere [fig. 14], sulla legatura della Comedia di Dante, rientra in questo discorso. In realtà mi sembra maggiormente appropriato proporre di ravvisarvi Dioniso quando raggiunge dal mare per la seconda volta Arianna abbandonata da Teseo sull'isola di Nasso, per congiungersi con lei27, un incontro conclusosi con la morte dell'amata tra le braccia del dio per condividerne l'immortalità. Questa interpretazione renderebbe comprensibile sia il dettaglio della torcia spenta e rovesciata tenuta da Arianna (risposta a quella accesa portata da Dioniso ), sia la presenza di Cupido su quella sorta di prora in mano al dio, così come l' atteggiamento di sorpresa manifestato dalla fanciulla al comparire improvviso di Dioniso, da rapportarsi alla descrizione proposta da Ovidio nei Fasti (III, 459-516) di questo episodio28. In tale raffigurazione spetta all'asta retta dal nudo virile alla destra di Arianna evocare il concetto di Prudenza e la figura di Artemide. In cima all'asta sono rappresentati un bucranio con le teste di un leone e di un cinghiale, animale quest'ultimo legato ad Artemide, la dea che nell'aspetto di Ecate è tricefala (muso di cavallo, cane e cinghiale), con immediato rinvio alle molte immagini proposte dall'arte del Medioevo e del Rinascimento per rendere la tripartizione della Prudenza, mostrata in forma zoomorfa generalmente accompagnata dal serpente di Serapide29, quale saggia utilizzatrice delle tre forme del tempo, perché sa applicare l'esperienza del passato al presente, con la dovuta considerazione per il futuro30. La Hypnerotomachia Poliphyli di Francesco Colonna (fol. y1; fol. y2) ne darà compiuta codificazione, presentando per la prima volta il signum triceps costituito da un cerchio su un bastone includente un leone al centro, con lupo e cane ai lati, come geroglifico indipendente e simbolo non solo del Tempo, come nelle fonti più antiche, ma anche della Prudenza, con grande successiva fortuna31.
Anche i temi di altre impronte delle legature del Grolier, quali il Giudizio di Paride [fig. 13.a] ed Orfeo che incanta gli animali, rivelano i suoi orientamenti intellettuali.
Nella biblioteca del Tesoriere sembra esserci stato l' Ovide Moralisé
32 dove, al contrario che in Ovidio, trova spazio la storia di Paride, proposta come parabola morale33. L'episodio della scelta di Paride riveste una particolare importanza nel pensiero neoplatonico, noto allo stesso Grolier possessore di due testi di Marsilio Ficino, la Theologia platonica e la traduzione e il Commento dell' Opera di Plotino. Per Ficino, la triplex vita rappresentata da Giunone, Minerva, Venere, costituiva un tema consueto di meditazione sulla vita activa, contemplativa, voluptuosa, esemplificazione delle tre strade verso la felicità a disposizione degli uomini, cioè potentia, sapientia, voluptas. Secondo tale concezione optare però per una via a scapito delle altre è ingiusto, anzi blasfemo, come esemplificano, oltre a Paride, anche Ercole, scegliendo la virtù eroica, e Socrate con la saggezza, tutti puniti dalla divinità che avevano disprezzato con una vita sventurata. Caduto nell'errore di cedere alla Bellezza discesa dal cielo e fattasi sensibile, Paride deve così sopportare le conseguenze tragiche per avere ignorato l'esortazione morale di Giunone e lo svelamento della verità di Minerva34.
Non meno cara all'Umanesino neoplatonico della seconda metà del Quattrocento fu la rappresentazione di Orfeo sull'Olimpo con accanto a se gli animali selvatici, da lui placati suonando la lira e cantando. La sua musica è armonia, discordia concors (Ovidio, Metam. X, 145-47), un concetto fondamentale nelle teorie pitagorico-platoniche presente anche nell'opera di Franchino Gaffurio che dedica al Grolier il suo De armonia musicorum instrumentorum
35. Divenuto l'eroe del Rinascimento, il civilizzatore di un mondo barbaro per mezzo dell'arte e della musica, nonché allegoria politica, perché attraverso l'armonia guida gli uomini alla civiltà, ed elogio della norma civile, Orfeo è motivo ricorrente negli scritti di Pico della Mirandola e anche del Ficino, che darà alla lira, o viola da braccio del Quattrocento (creduta lo strumento utilizzato da Apollo ), una pratica esoterica, suonandovi gli inni orfici da lui stesso recuperati e tradotti36.
Sono invece meno nitide le ragioni che guidarono il Tesoriere nella scelta dei temi delle altre impronte. Quella con l' Abbondanza e il Satiro, si è pensato possa riferirsi alla prosperità di Milano sotto il governo francese, mentre la Battaglia di Canne, usata su una sola legatura, potrebbe alludere alla vittoria di Francesco I a Marignano (1515) per la riconquista del Ducato milanese, attraverso la commemorazione della sconfitta francese da parte di Gonzalo Fernandez de Cordoba, detto il Gran Capitano, avvenuta nella battaglia di Cerignola (1503), presso Canne in Puglia
37. Per quest'ultima opera non credo però sia da escludere l'ipotesi di una datazione di poco posteriore al 1503, sulla base dell'idea che essa evochi la sconfitta di Canne, invitando a meditare sull'alternarsi della Fortuna, dato che nel De vita Apollonii Thyanei (1501- 1504) di Philostratus, l'impronta di questa placchetta si trova abbinata a una diversa scena di battaglia nota in numerosi esemplari anche con la legenda DVBIA FORTVNA38, per la quale è stata proposta una cronologia al 1505 e comunque prima del 1509 39. Sembrerebbe tra l'altro più logico pensare che la celebrazione di una vittoria quale quella di Francesco I a Marignano dovesse richiedere ben altre evidenze e sottolineature da parte di un personaggio come il Grolier, rappresentante del governo francese nel capoluogo lombardo.
Nessuna di queste placchette è comunque nota per essere stata riprodotta su altre legature. Il che farebbe supporre che il Grolier si fosse assicurato gli stampi da esse ricavati, rimasti di sua proprietà dopo essere stati utilizzati per i suoi libri
40. Dei loro autori sappiamo molto poco. Quanto noto non manca tuttavia di lasciare intendere da un lato la contemporaneità al committente, dall'altro salde radici lombarde, almeno per quanto riguarda l'orientamento artistico. Ad esclusione di quella con un Cavaliere turco, assegnata pur senza evidenze ad ambito veneziano41 e dell'altra con il profilo di Diana di non comprensibile autografia42, le altre impronte furono eseguite infatti dal misterioso maestro detto Moderno che si vuole da alcuni identificare con l'orafo veronese Galeazzo Mondella43, ma del quale urge sottolineare la componente lombardo/milanese44, dallo 'Pseudo Melioli', un artista del Nord Italia presumibilmente lombardo, attivo allo scadere del Quattrocento45, e dallo Pseudo Antonio da Brescia, uno specialista di placchette per pomi di spade46, il più prolifico in questo settore insieme al Maestro IO.F.F., altro autore delle placchette per le legature del Grolier.
Il dato della contiguità di questi maestri con il mondo delle armi non deve essere sottovalutato. Anzi si rivela di estrema importanza, perché fornisce indicazioni sull'ambito geografico dove essi si trovarono sicuramente ad operare. Le placchette sono, come è noto, un territorio dai confini labili, con strade ancora tutte da tracciare e protagonisti da identificare, che acquisterebbe profili più sicuri se esaminato in rapporto all'attività degli spadari e non come un insieme di oggetti artistici a se stanti. Solo città che possedessero un'industria e un mercato della spadaria, potevano offrire concrete possibilità di lavoro ad artigiani così rigorosamente specializzati. In Italia del Nord, ciò si verifica a Milano e a Brescia e la riprova è il fatto che nei rari casi in cui le placchette sono tuttora applicate alle armi cui erano destinate, queste hanno invariabilmente le caratteristiche tecniche e tipologiche delle spade lombarde
47. Malgrado l'elaborazione di armi di lusso riccamente incise o sbalzate non fosse esclusività di Milano, risiedendo il Grolier in questa città è logico pensare che egli abbia attinto alle botteghe del capoluogo lombardo48, anche perché l'industria delle armi milanesi49 dopo aver superato brillantemente la battuta d'arresto verificatasi a fine Quattrocento a causa dello sviluppo delle armi da fuoco bresciane50, agli inizi del Cinquecento era fiorente e sicuramente in grado di fornire artisti capaci di soddisfare le richieste di un cliente raffinato quale il Tesoriere51.
Al settore delle placchette decorative per armi dovette appartenere il Maestro IO.F.F., l'autore al quale si ricorse maggiormente per realizzare le legature del Grolier. La questione anagrafica di questo monogrammista rimane ancora non risolta. Variamente identificato con l'intagliatore fiorentino di gemme Giovanni delle Corniole, con l'orafo bolognese Giovanni Francesco di Boggio, con il medaglista mantovano Gian Francesco Ruperti
52, o con il cremonese Giovanni Fondulino de Fondulis, documentato a Padova alla fine del Quattrocento e con bottega a Milano53, probabile autore del bronzetto raffigurante una Ninfa seduta alla Wallace Collection di Londra firmata OPUS IOCRE54, è stato recentemente inquadrato nell'ambito bolognese nello snodo da Quattro e Cinquecento55. Sulla base di quest'ultima congettura sono stati proposti i nomi di Francesco Furnio, ricordato dal Gaurico nel De Sculptura (1504) come sommo orafo accanto al Caradosso e quello di Giovan Francesco, menzionato da Giovanni Filoteo Achillini nel suo elenco del 1504 di artisti bolognesi viventi, il Viridario56, secondo un orientamento che punta alla Bologna dominata dal classicismo prematuro di Francesco Francia e rintraccia collegamenti con disegni della cerchia di quest'ultimo autore, con le stampe del giovane Marcantonio Raimondi, piuttosto che con nielli di Peregrino da Cesena e con le 'cinquedee' del pesarese Ercole Fedeli57.
Non potendo confermare o meno il ritorno di alcuni studiosi sul nome di Giovannino Fondulino de Fondulis
58, dato che non sono emersi documenti al riguardo, ritengo che il Maestro IO.F.F. vada quantomeno identificato con un artista che graviti culturalmente nell'area milanese, lavorando tra la fine del Quattrocento e gli inizi del secolo successivo59. Oltre all'improbabilità che il Grolier per la carica che ricopriva potesse sbilanciarsi troppo verso artisti appartenenti a centri non in sintonia con la politica francese, o ad essa decisamente ostili60, sono gli esiti stilistici delle placchette del Maestro IO. F.F., a invocare una lettura orientata diversamente rispetto al protoclassicismo convenzionale del Francia e al pacato equilibrio ed affabilità sentimentale di questo autore. Il monogrammista delle placchette Grolier si distanzia infatti dalla monotona ripetitività del Francia, così come dalle attonite figure del bolognese e della sua scuola. Opta invece per immagini più articolate e complesse, sia dal punto di vista compositivo sia emotivo (anche con ammissione di movimenti improvvisi e tagli arditi), elaborate tenendo conto della dislocazione su più piani di figure nervosamente plastiche.
Quanto alI'aria di classicismo in direzione centro italica ravvisata correttamente nelle opere del Maestro IO.F.F, era una componente a disposizione anche nel Ducato di Milano, dove la virata in tal senso è riscontrabile sin dalla fine del Quattrocento
61, come prova tra l'altro il grande modello della Certosa di Pavia. Se fino al 1494 l'attività della chiesa sembra infatti muoversi in ambito completamente lombardo, dagli inizi del 1495 i Certosini si erano volti altrove chiamando Filippino Lippi per la pala dell'altare maggiore e Perugino per l'ancona della cappella di san Michele62, con un gusto peraltro non isolato63, comprovato dagli echi perugineschi precocemente registrati allo scadere del Quattrocento da Matteo de Fedeli64.
Malgrado l'identificazione del Maestro IO.F.F. si presenti indubbiamente come un problema di ardua soluzione, non si può almeno non tentare in questa sede di evidenziare alcune componenti del suo linguaggio. In primo luogo il forte influsso che sembra avere avuto su di lui Leonardo, il cui impatto sui contemporanei dovette essere subito sconvolgente già durante il primo soggiorno milanese, come ricorda il dipinto per la chiesa milanese di San Giovanni al Muro che Boltraffio e Marco d'Oggiono si impegnavano a realizzare nel 1491 (non ancora concluso nel 1494), la Resurrezione oggi al Bode Museum di Berlino, da ritenersi dopo la Vergine delle rocce, la prima pala leopardesca, oppure il Solario che sin dal 1495, nelle prime opere eseguite a Venezia importa modelli leonardeschi
65. All'importante impulso impresso dal Vinci sullo studio della figura umana non sfugge il nostro Monogrammista, oltre tutto attivo in un settore artistico perfettamente adatto a sostanziare l'idea di Leonardo (sperimentatore in prima persona di procedure per stampare monete e "improntare medaglie" ), che la plastica fosse sorella della pittura e madre della scultura - secondo la felice formulazione fornita dal Lomazzo -, privilegiando una materia tipo terracotta o cera, malleabile, in grado di tradurre vibrazioni atmosferiche e movimento66. Nelle placchette del Maestro IO F.F., è vinciano il movimento avvolgente assunto dalle figure, con il busto in diagonale quasi a misurare la profondità dello spazio, così come le anatomie, con la posizione della testa che deflette dal busto e le sinuose delineazioni caratterizzate da una ricercata indagine, con la compiaciuta definizione della dinamica dei muscoli. Ancora a Leonardo rimandano inoltre la complessa e sottile allusività dei gesti e dei 'moti d'animo'. Esemplificativo è il personaggio nel gruppo di sinistra dell'impronta con la Morte di Marco Curzio, con il dito alzato verso il cielo, rinviante alI' Angelo dell'annunciazione, subito tradotto in varie versioni dai leonardeschi, le più importanti delle quali sono a Basilea (Kunstmuseum} e a Oxford (Ashmolean}. Ulteriori spunti sembrano chiamare in causa invece i fatti pittorici della Roma di inizio Cinquecento. Quanto osservabile all'estrema sinistra nell'affresco con la Disputa del Sacramento di Raffaello (1508-1509 ca.}, un'opera, come è noto, con evidenti elementi leonardeschi, si lega al particolare dei due personaggi appoggiati alla balaustra a sinistra nella placchetta del Maestro IO.F.F. recentemente identificata in uno dei temi dell' Ab Urbe Condita di Tito Livio, La rivolta di Volero Publilio [fig. 15]67, non presente però sulle legature del Grolier, il cui prototipo era con tutta probabilità a forma di scudo lobato. Nell'impronta con Arianna a Nasso la figura virile sulla destra di spalle e quella a fianco di Arianna reggente l'asta con i tre musi di animali richiamano d'altro canto le due nell'episodio di Apollo e Marsia nella volta della Stanza della Segnatura (1508 ca.}, attribuita tra il Peruzzi e il Sodoma. Mentre nella placchetta con il Giudizio di Paride, ritenuta tra le prime prove del Maestro per talune incertezze compositive, la posa incurvata del protagonista con l'evidenza conferita alla resa della muscolatura, non è esente da suggestioni deducibili dai Nudi seduti di Michelangelo della Sistina (1508/1511} e dal Torso del Belvedere, esistente a Roma da anni, ma prima del Cinquecento privo di influenza sull'arte68.
Ma altri echi sono presenti nelle placchette dell'elusivo Maestro IO.F.F. In Orazio che difende il ponte, prestiti ricavati dai rilievi della colonna Traiana
69 (cui sono da ricondurre i due guerrieri a sinistra}, si coniugano con rinvii agli studi per il monumento equestre di Leonardo, un tema al quale il fiorentino torna al tempo della dominazione francese con il progetto di un monumento sepolcrale per Gian Giacomo Trivulzio70. Ancora all'antico rimanda la figura femminile seduta su un dragone nella placchetta con l' Allegoria della Prudenza che ha alle spalle modelli quali le Muse, ritrovate al tempo del pontificato di Alessandro VI (1497-1503) nell'Odeon della Villa di Adriano, delle quali Marten van Heemskerck lascerà un disegno nel suo taccuino romano (Berlino, Kupferstichkabinett, fol. 34 v.), con riferimento alla figura sulla sinistra del foglio berlinese71.
La cultura antiquaria, entro cui si radica pure il tempietto con archi a tutto sesto e medaglioni, sormontato da una cupola embricata visibile nella placchetta del Maestro IO.F.F. con la Morte di Marco Curzio, suggestionerà del resto a lungo i milanesi. L'itinerario inizia al tempo di Francesco Sforza, registrando una tappa importante negli anni settanta al tempo di Gian Galeazzo Sforza, snodo rilevante tra Filarete e Bramante, e un picco al tempo di Ludovico il Moro
72. Nel 1490 la descrizione delle antichità di Roma appare in una lettera scritta dal citato Giovanni da Tolentino al poeta Baldassare Taccone73 e monete, medaglie, cammei, circolano numerosi tra gli scultori attivi nell'ambito del Ducato negli ultimi decenni del Quattrocento, quando la presenza di personalità quali Luca Pacioli, Francesco di Giorgio e Giuliano da Sangallo apporta nuovi stimoli all'antico. Con i francesi il tono non muterà. L'ingresso di Luigi XII a Milano dopo la vittoria sui veneziani del 1509, approntato presumibilmente anche dal Vinci, avvenne "selon l'ancienne coustume des Romains", culminando con l'apparizione di un carro trionfale su cui sedeva la Vittoria, retta dalla Fortezza, dalla Prudenza e dalla Fama, secondo un gusto pienamente condiviso per esempio anche da Odet de Foix, governatore di Milano che, secondo il Bocchi, tenterà di portare addirittura in Francia il Regisole74.
Non mancano del resto neppure viaggi dei lombardi verso la capitale dell'antico
75. Nel 1491 vi soggiorna Ambrogio de Predis lasciando la sua firma nel criptoportico della Domus Aurea76, lo stesso Leonardo forse è a Roma già nel 150177, ed è al Vinci che sono dedicate le Antiquarie prospectiche romane del "prospectivo melanese depictore", dove si descrivono i principali monumenti di Roma e le collezioni, scritto forse tra il 1498 e i due anni seguenti78. Cesare da Sesto, leonardesco di prima chiamata che appartiene a una nota dinastia orafa79 e muove i primi passi in Vaticano nel 1508 sotto la guida del Bramantino legandosi anche al giro del Ripanda, è più che invaghito dell'antico80, così come lo sono i numerosi artisti lombardi attestati ripetutamente nel capoluogo laziale, in un continuo andirivieni epicentrato tra il 1508 e il 151381. Nelle loro opere, tuttavia, il forte fascino scaturito dalle vestigia del passato non si tradusse in pedissequa imitazione. Tra le personali e riconoscibili traduzioni caratterizzanti questa rilettura è da situarsi la citazione, affastellata di motivi decorativi diversi, in una felice mescolanza di ovuli, foglie d'acanto, abaco ed echini classici con paraste e candelabre, ornate da tralci d'edera e vite, putti, vasi e fogliami. Proprio da queste soluzioni sembrerebbe uscito il dettaglio del braciere sull'alto basamento nella placchetta con Muzio Scevola 82, che sovrapponendosi esattamente al sostegno composito dell'arco spezzato retrostante, si presenta alla nostra fruizione come una sorta di candelabra dai rigogliosi elementi classicheggianti d'ornato.
A questo punto altre osservazioni possono essere infine avanzate per tentare di far chiarezza sulla personalità del Maestro IO.F.F. Bisogna subito dire che non si può confidare su recuperi come quelli da incisioni attribuite a Marcantonio Raimondi e a Peregrino da Cesena, per discutere sulle sue origini, dimenticando il grande ruolo dell'incisione rinascimentale quale veicolo sovraregionale di invenzione
83, anche perché la certezza assoluta, per una stampa, dell'autore di una invenzione, la si può avere solo se essa è dichiarata nella stampa stessa84. Inoltre, anche tra incisioni e placchette le precedenze non sono chiare, dato che talvolta le prime fornirono lo spunto alla realizzazione delle seconde, mentre in altri casi avvenne il contrario. Ed è proprio l'impossibilità allo stato attuale degli studi di definire il punto di partenza dell'idea iconografica, quale cioè sia il prototipo e quali le desunzioni, a generare in parte le contraddizioni tra le diverse interpretazioni avanzate dagli studiosi a riguardo del Maestro IO.F.F. Per esempio, si parla di prototipo per la placchetta con Muzio Scevola, un'opera dalla quale Peregrino ricaverebbe alcuni nielli, utilizzando un modello comunque particolarmente persistente, poiché lo ritroviamo inciso su uno scudo ora nella Torre di Londra, attribuito a Giovanni Battista Ravenna tra il 1544 e il 154785. Quella con Arianna a Nasso sarebbe stata invece eseguita dopo il 1506 perché due figure deriverebbero da un'incisione così datata di Cristoforo Robetta86; per altri studiosi sarebbe inoltre certa la desunzione da questa placchetta di alcuni nielli assegnati a Peregrino da Cesena o a Francesco Francia87. Ravvisare tuttavia medesime soluzioni iconografiche presso autori e contesti esecutivi diversi non prova assolutamente nulla, se non la maggiore o minore diffusione di queste invenzioni. Fortunatissimo fu, per esempio, il caso del modello con Arianna a Nasso. Tra le numerose divulgazioni figura anche una cinquedea (The Trustees of the Wallace Collection, Londra), assegnata al pesarese Ercole Fedeli88, che reca incisi i tre personaggi centrali ricavati dalla placchetta. Rivediamo la medesima composizione anche in un disegno a Firenze (Uffizi, Gabinetto Disegni e Stampe), ad esclusione del satiro con la satiressa sulla sinistra. Il disegno è variamente attribuito al Robetta, o alla maniera del Francia, a Raffaellino de Carli, o a Jacopo Francia, figlio e allievo di Francesco, piuttosto che a Lorenzo Leonbruno. Proprio questo foglio è intervenuto a gettare ulteriore confusione sulle vicende del Maestro IO.F.F. Si ritiene infatti che sia all'origine del niello assegnato a Peregrino da Cesena, dove tale invenzione èreplicata in controparte. Stando a questa interpretazione il niello sarebbe ricavato dunque dal disegno e dal niello arriverebbe la placchetta89. Ma non è stato notato che se tra il niello e la placchetta la contiguità è abbastanza stretta (varianti sono infatti ravvisabili negli imposti delle figure nel niello, più tornite, e nel dettaglio della fiamma dalla torcia), non così succede con il disegno, che si presenta in realtà come un'interpretazione di un modello, riletto privandolo di alcuni significativi particolari. Nel foglio agli Uffizi mancano infatti la torcia rovesciata tenuta nella mano di Arianna (rimasta così sospesa e irrisolta nella positura) e l'elmo al di sotto del piede della fanciulla, così come non del tutto delineati risultano il bucranio con le teste di un leone e di un cinghiale sull'asta. Compare invece un braciere retto dall'uomo di spalle, un dettaglio che calamita lo sguardo di questo personaggio, provocandone di fatto la totale estraneità al contesto narrativo della scena.
Anche per il Maestro IO.F.F. la questione delle fonti e del primo sorgere dell'invenzione emerge dunque in tutta la sua spinosa rilevanza, senza che essa possa essere per il momento utilizzata per fornire prove attendibili alle diverse ipotesi che sono state avanzate a riguardo di questo autore. Tale situazione è resa ancora più confusa dal fatto che neppure risultano a tutt'oggi seriate le diverse cronologie delle 'tirature' delle sue placchette, né le varianti iconografiche e stilistiche che le caratterizzano
90.
Ne consegue la necessità di una approfondita ricerca tra fonti documentarie diverse che, nel consentire la delineazione della fisionomia di questo artista e delle tappe del suo percorso, dia anche motivazione al particolare favore della sua produzione incontrato presso Jean Grolier durante gli anni della sua permanenza milanese.



* A Luisa Giordano va la mia gratitudine.

1. Estienne era giunto in Lombardia nel 1499, al seguito del re di Francia; in un documento del 2 ottobre 1509 risulta defunto (cfr. E. Motta, Il testamento del padre di Grolier con altri appunti di storia franco lombarda (1507-1512), "ASL", XLIV, 1917, pp. 159-67).
2. Ad esclusione di alcuni incunabuli e due manoscritti, si tratta di opere pubblicate in Italia dal 1502 al 1507; la sola opera giunta dalla Francia, l'Ovidius (cfr. Elenco, n. 24), fu certamente legata a Milano (cfr. T. De Marinis, La legatura artistica in Italia nei secoli XV e XVI, Firenze 1960, volume III, p. 14), così come le altre (ibidem, pp. 12-16; l. Guignard, Notes et hypothèses à propos de Jean Grolier et des dèbuts de sa collection 1503-1515, in Sonderdruck aus der Festschrift Ernst Kyriss, Stuttgart 1961, p. 218) e non a Venezia, come era stato ipotizzato da alcuni studiosi (G.D. Hobson, Maioli, Canevari and Others, London 1926, p. 7; lo stesso G.D. Hobson, in Studies in the History of Bookbinding, London 1988, a p. 234, corregge con Milano la sua precedente assegnazione a Venezia).
3. Cf. De Marinis, La legatura, cit., pp. 69-76.
4. Su Jean Grolier si attende ancora una biografia documentata, cfr. A. Le Roux de Lincy, Recherches sur Jean Grolier sur la vie et sa bibliothèque, Paris 1866 (la traduzione in inglese rende noto di altri volumi appartenuti a Grolier, cfr. Researches conceming Jean Grolier his life and his Library, edited by Baron Roger Portalis translated and revised by Carolyn Ship man, New York 1907); De Marinis, La legatura, cit., pp. 12-16; Bookbindings from the Library of Jean Grolier, London 1965; The Library of Jean Grolier. A preliminary Catalogue by Gabriel Austin, New York 1971; A. Hobson, Humanists and bookbinders. The origins and diffusion of the humanistic Bookbinding, 1459-1559, Cambridge 1989, pp. 114-20). Figlio di Estienne Grolier e di Antoinette Esbarde, Jean nacque a Lione presumibilmente nel 1479, nell'ottobre del 1516 sposò Anne, figlia di Nicolas Briconnet; oltre al soggiorno milanese, risulta in Francia tra il 1512 e i11515 (a Milano per alcuni mesi nel 1513), nuovamente in Italia dal 1515 al 1521 (con un soggiorno a Parigi nel 1518); avrebbe lasciato l'Italia nel 1521, sarebbe stato inoltre fatto prigioniero a Pavia con Francesco I nel 1525, per tornare definitiva mente nel 1526 in Francia; nel 1537 risulta a Parigi come Tesoriere delle Finanze, diverrà Tesoriere Generale dieci anni dopo, ufficio che tenne fino alla morte, avvenuta nel 1565.
5. Cfr. Rispettivamente: Franchini Gafuri Laudensis [...l de Hannonia musicorum instrumentorum, Mediolani 1518; L. Coelii Rhodigini Antiquarum lactionuma libri XVI, Venetiis in aedibus Aldi et Andreae Soceri, 1515; Aldo gli aveva invece dedicato l'edizione del Terentius, del 1517; Marco Musuro inserisce una lunga prefazione dedicata al Grolier al testo della Grammatica greca di Aldo, pubblicata nel 1515 (cfr. Le Roux de Lincy, Recherches, cit., pp. 438-40); per Egnazio, cfr. Svetonio, edito da Aldo nel 1516 e ristampato ne 1521.
6. C. Pedretti, Postille all'onomastica vinciana di Nando de Toni, in Studi vinciani in memoria di Nando de Toni, Brescia 1986, pp. 97-99; O. Calvi, A. Marinoni, I manoscritti di Leonardo da Vinci dal punto di vista cronologico, storico e biografico, Busto Arsizio, ed. del 1982, p. 179, nota 134.
7. Nel testamento del 27 luglio 1509 Estienne Grolier disponeva tra l'altro di essere sepolto nella tribuna di Santa Maria delle Grazie di fronte all'altare maggiore, vicino al Sepolcro Sforza, eretto da Cristoforo Solari nel 1497 su probabili indicazioni di Leonardo (Motta, Il testamento, cit., p. 159; C. Pedretti, Leonardo architetto, Milano 1978, pp. 94-115).
8. Pedretti, Postille, cit., p. 99 (Carlo Pedretti nota inoltre che nel CA, al fol. 20 v-b, databile al 1508- '10, si trova un monogramma del tutto simile a quelli inseriti alla fine del suo libro dal Tory, il quale a sua volta afferma di avere eseguito tali lettere nel 1523 per il Grolier).
9. Hobson, Studies, cit., p. 235 e nota n. 27, p. 253; per la data della visita di Aldus al Grolier che contemplò la copia da parte di quest'ultimo di una moneta che l' Aldus gli aveva mostrato, cfr. E. Pastorello, Di Aldo Pio Manuzio: testimonianze e documenti, in "La Bibliofilia", LXVII, 1965, p. 180.
10. Per la novella del Bandello e i personaggi in essa menzionati. cfr. Tutte le opere di Matteo Bandello, a cura di F. Flora, Milano 1943, Il voI., pp. 268-77, e nota l, p. 1287; Guignard (Notes, cit.. pp. 205-207) suggerisce però che si confonda l'ambiente culturale del padre con quello del figlio, di 10 anni circa posteriore, ma il Richieri è a Jean che dedica il suo L. Coelii Rhodigini Antiquarum lectionum libri XVI, Venetiis, in aedibus Aldi et Andreae Soceri, 1516 (l'esemplare di dedica con l'arma Grolier è oggi a Chantilly, Bibliothèque du Musée Condé).
11. Cfr. E. Barbaro, Castigationes Plinianae et in Pomponium Melam, a cura di G. Pozzi, I-IV, Padova, 1973/79; V. Branca, L 'Umanesimo veneziano alla fine del Quattrocento. Ermolao Barbaro e il suo circolo, in Storia della cultura veneta, a cura di G. Arnaldi e M. Pastore Stocchi, Vicenza, 1980, pp. 146-55. Ermolao Barbaro fu legato della Repubblica di Venezia presso la corte del Moro a Milano; compose tra l'altro molte iscrizioni per edifici fatti erigere dallo Sforza, come la Villa Sforzesca a Vigevano, alla quale Leonardo da Vinci lavorò (cfr. C. Pedretti, in I tempi di Giorgione, a cura di R. Maschio, Roma, 1994, p. 100, nota 4).
12. Cfr. R. Schofield, Giovanni da Tolentino goes to Rome: a Description of the Antiquities of Rome in 1490, "Joumal of the Warburg and Courtauld Institute", XLIII, 1980, pp. 246-56; V. Farinella, Archeologia e pittura a Roma tra Quattrocento e Cinquecento, Torino, 1992, p. 11.
13. La notizia è a p. 54 (cfr. Le Roux de Lincy, Recherches, cit., pp. 69-71); per Jacopo Strada e Johannes Sambucus, cfr. J. Cunnally, Images of the Illustrious. The Numismatic Presence in the Reinassance, Princeton, 1999, rispettivamente alle pp. 208-209, p. 207.
14. Forse per la loro realizzazione ricorse all'ambito familiare, infatti una delle figlie di Jean, Margherita, è moglie del nobile Claudio Besson, un lionese attestato nel 1511 come maestro della zecca di Casale, dove il 7 luglio dichiara la buona qualità di 16 monete coniate da Andrea da Monza e dai figli di questi; assaggiatore è il milanese Cristoforo Osio (cfr. Motta, Il testamento, cit., p. 160). Come è noto, i volumi radunati dal Grolier a partire dal 1536 circa per vent'anni, saranno caratterizzati diversamente.
15. E. Dacier, in Trèsors des bibliothèques de France, Paris, 1938, pp. 190-191; De Marinis, La legatura, cit. p. 15.
16. Hobson, Humanists, cit., pp. 114-115.
17. Guignard, Notes, cit., pp. 211-213, p. 219; Hobson, Humanists, cit., p. 116, e nota 117 (nello stesso volume si trova la data 18 gennaio 1510 sotto al colophon, un'annotazione apportata dunque prima che il testo fosse legato).
18. Quest'impronta, di anonimo autore, compare su altri sette libri appartenuti a proprietari diversi, ma nel caso del volume del Grolier differisce dalle altre per avere l'esergo vuoto (Hobson, Humanists, cit., n. 3, p. 216); l'altra impronta, il Cavaliere turco a cavallo, risulta essere la più grande tra quelle adoperate per i libri del Grolier (66 mm di diametro), cfr. Hobson, Humanists, cit., n. 48a, p. 228.
19. Cfr. G. Hafner, Sieg und Friden. Zur Deutung des Reiterreliefs vom Forum Romanum, "Jahrbuch des Deutschen Archaeologischen Instituts" , 93, 1978, pp. 228-51; la Morte di Marco Curzio, Muzio Scevola con la mano sulla fiamma, e l'Orazio Coclite, sono tratti dall'Ab Urbe Condita di Tito Livio.
20. Valerio Massimo (Memorabili, 3, 2, I), nel suo capitolo sul coraggio, inizia la serie degli esempi romani proprio con Orazio.
21. Cfr. anche Valerio Massimo, Memorabili, 3, 3, 1.
22. Il tema trova ampia diffusione nel Quattrocento, grazie alle interpretazioni della cultura filosofica neoplatonica dovuta agli scritti di Marsilio Ficino sul concetto di divino furore. dove trova spazio la trattazione delle due opposte condizioni esistenziali dell'uomo (l'entusiasmo e la depressione, l'estro creativo e la maliconia), lette nel più ampio concetto della 'concordia/ discors' (A. Blankert, Heraclitus en Democritus in het bijzonder in der Nederlande Kunst van de 17de eeuwe, "Nederlands Kunsthistorish Jaarboeck", XVll, 1977, pp. 31-164); ne fa parte il motivo del contrasto sul riso e il pianto visualizzato dalle figure di Eraclito e Democrito. Un disperso dipinto con Democrito ed Eraclito è attestato intorno al 1474 nello studio del Ficino (Divi Platonis opera omnia Marsilio Ficino interprete, Basilea, 1561, p. 637); identico è il tema dell'affresco eseguito da Bramante nella casa milanese di Gaspare Visconti, ora alla Pinacoteca di Brera, che sembra derivare direttamente dal dipinto posseduto dal Ficino (cfr. G. Ferri Piccaluga, Gli affreschi di casa Panigarola e la cultura milanese tra Quattro e Cinquecento, "Ar te Lombarda", 86/87, 1988, pp. 14-25; D. Kiang, Bramante's Heraclitus and Democritus: the Frieze, " Zeitschrift für Kunstwissenschaft", 51,1988, pp. 262-68; R.V. Schofield, Gaspare Visconti, mecenate del Bramante, in Arte, committenza ed economia a Roma e nelle corti del Rinascimento 1420-1530, a cura di A. Esch, C.L. Frommel, Torino 1995, pp. 297-324).
23. Cfr. H. Baron, Aulus Gellius in the Renaissance and a Manuscript from the School of Guarino, "Studies in Philology", XLVllI, 1951, pp. 107-25.
24. Aulo GeIlio, Noctes Atticae, X, xi; cfr. anche Macrobio, Saturnalia, VI, viii. Festina lente (v. Erasmo nei suoi Adagia, s. v. 'Festina lente', cioè 'affrettati lentamente', quindi la maturità raggiunta attraverso il concomitante crescere di rapidità e fermezza). Diviene la massima preferita del Rinascimento, Aldo Manuzio sulla base di una moneta di Tito, lo illustrerà tramite un delfino attorno a un'ancora; le xilografie della sola Hypnerotomachia mostrano più di ottanta varianti di 'Festina lente'.
25. C.B. Fulton, The Master IO.F.F. and the Function of Plaquettes, in ltalian Plaquettes, ed. by A. Luchs, "Studies in the History of Art", voI. 22, Washington, 1989, nota 8, p. 159.
26. La presenza di Artemide è sin qui sfuggita agli studiosi che si sono occupati dell'impronta. In Taurica era posto il tempio di Diana, dove venivano sacrificati i forestieri che vi ca pitavano, ammazzati con un colpo di scure al capo; il corpo era gettato in mare da un'alta rupe, mentre la testa veniva infissa a un palo (cfr. Servio nel commento a Virgilio, Eneide, II II6 e VI, I36; Erodoto, Le storie, IV, 193; Euripide, Ifigenia in Taurica, 40 e ss.). Per la palma, offertale dal giovane al centro della scena, si può pensare a un simbolo del trionfo nelle competizioni e sulle avversità della sorte; piuttosto che alla tenacia e alla forza, qualità necessarie per superare la sorte avversa (l' emblematica cinquecentesca farà uso della palma proprio in quest'ultimo senso, cfr. A. Alciati, Emblemata, ed. cons. Ludguni, 1564, n. 36; P. Giovio, Dialogo delle imprese militari e amorose, ed. cons. Venezia, 1556, n. 72), cfr. A. De Gubernatis, La Mythologie des Plantes, II rist. anast., Milano, 1976, pp. 277-82.
27. Il riferimento al mito di Arianna era stato proposto da Molinier (E. Molinier, Les bronzes de la Renaissance. Les plaquettes catalogue raisonné, Paris, 1886, nn. 130-32). A Bacco è consacrata la Pica, uccello garrulo e loquace (cfr. Pinctor, Theologia mitologica, Friburgo 1532, p. 67, p. 68; Valeriano, Hieroglyphica, Basilea 1556, Lib. II,43; Filostrato, Immagini, I, 19), forse alluso nella placchetta in questione dalla sagoma conferita a quella specie di prora di nave portata da Dioniso, sulla quale è un amorino.
28. Cfr. Ovidio (Fasti, III, 459/516; Ars Amatoria, I, 525/64; durante l'ultimo incontro Bacco dice: "Et, pariter coeli summa petamus, ait", inseguendola dal dietro, "a tergo forte se cutus": il che forse spiega la positura leggermente di spalle di Arianna nella placchetta; i gioielli della sua corona lanciati da Dionisio verso il cielo si trasformeranno nella costellazione detta Corona, che dirigerà sempre in mare la "nave dubbiosa" (cfr. Ovidio, Metam, VIII, 174-82; Boccaccio, Genealogia, V, 99).
29. L' esaltazione della Prudenza tramite Diana torna anche attraverso il tema del Sacrificio di Ifigenia ad Artemide, anch'esso trattato dal Maestro IO.F.F (cfr. in Bonhams Knightsbridge, The Adams Collection, part. IV , Important Renaissance Plaquettes from the Collection of Syl via Phyllis Adams, 23 maggio 1996, Cambridge, 1996, n. 14, p. 21 ), autore delle placchette con il Trionfo della Prudenza e con Arianna a Nasso (cfr. oltre nel testo).
30. Cfr. E. Panofsky, Il significato nelle arti visive, Torino, 1962, pp. 151 e sgg.; E. Wind, Misteri pagani del Rinascimento, ed. Milano, 1978, pp. 317-20; E. Panofsky, Tiziano. Proble mi di lconologia, a cura di A. Gentili, Venezia, 1992, pp. 104-110; per la triforrne Diana/Ecate, cfr. Lilio Gregorio Giraldi, De deis gentium varia et multiplex historia in qua de deorum imaginibus et cognominibus agitur, Basilea, 1548, XII, p. 505 (e in precedenza Georg Pictor, Theologia mitologica, Friburgo, 1532, p. 55); Filippo Beroaldo, Apuleius cum commento Beroaldi et figuris noviter additis, Venezia, 1510, fol. CCXIII v.; Ovidio, Fasti, I, 14; Esiodo, Teogonia 41 1/52; Valeriano, Hieroglyphica, Basilea, 1556, lib. XXXII, pp. 405-406 (con riferimento a Virgilio e a Pausania).
31. In Francesco Colonna l'attributo di Serapide funge da stendardo al trionfo di Cupido (nel testo non si forniscono però spiegazioni di tale simbolo). Al tempo in cui Ripa pubblica la sua Iconologia (1593, v. s. voce Consiglio), il mostro tricefalo cinto da un serpente è diventato un geroglifico morale e significa quella particolare virtù che Aristotele aveva chiamato Buon Consiglio (Etica Nicomachea, VI, ix, 1142b), una capacità che si acquista con l'età, di sapere guardare al futuro ricordandosi del passato e vedendo correttamente il presente, distinta dalla Prudenza, invece non necessariamente irraggiungibile dai giovani (sulla distinzione tra Consilium e Prudenza, cfr. Tommaso d' Aquino, Summa Theologica, I, ii, p. 57, art. 6, con specifico riferimento ad Aristotele).
32. Come ritiene De Marinis, Le legature, 1960, vol. III vol., p. 14.
33. Paride appare come il giovane sconsiderato che soggiace alla bellezza sensibile (Afrodite), non curandosi della saggezza (Atena), ne del potere e della ricchezza (Giunone). 34. Per l'importanza nel pensiero neoplatonico del concetto della scelta di Paride, cfr. P.O. Kristeller, Il pensiero filosofico in Marsilio Ficino, Firenze 1953; M.J.B. Allen, Marsilio Ficino: the Philebus Commentary, Berkley-Los Angeles-London, 1975; Wind, Misteri, cit., pp. 102-103.
35. Pubblicato a Milano nel 1518, reca le armi del Grolier incise in legno, l'esemplare di Parigi alla Bibliothèque de l' Arsenal, mostra un'epigrafe di mano del Gaffuri (De Marinis, La legatura, 1960, vol. III, nota 3, p. 13).
36. D.P. Walkers, Orpheus the teologian and Renaissance Platonist, "Journal of the Warburg and Courtauld Institute", XVI, 1953, pp. 100-20; A. Chastel, Arte e Umanesimo a Firenze nell'età di Lorenzo il Magnifico, Torino, 1964, pp. 272- 74; C.M. Pyle, Il tema dell'Orfeo, la musica e le favole mitologiche del tardo Quattrocento, in Ecumenesimo della cultura, vol. II, La parola e la musica nel divenire dell'Umanesimo, Atti del XIII Convegno Internazionale di Studi Umanistici, Montepulciano 1976, ed. Firenze, 1981, pp. 121-39. Leonardo da Vinci, che lascia schizzi per l'allestimento dell'Orfeo del Poliziano, forse realizzato a Milano per Charles d' Amboise nel 1506/1507 (cfr: C. Pedretti, Dessins d'une scène, exécutés per Leonard de Vinci pour Charles d'Amboise (15061507), in Le lieu thèâtral à la Renaissance, Paris, 1964, pp. 25-34; C. Pedretti, La macchina teatrale per l'"Orfeo" di Poliziano, in Studi vinciani, Genève, 1957, p. 90), era insuperabile nella pratica di questo strumento, di cui avrebbe dato una parti colare versione in argento in forma di teschio di cavallo (G. Vallese, Leonardo's 'skull lyre', in 'Tutte le opere non son per instancarmi'. Raccolta di scritti per i settant'anni di Carlo Pedretti, a cura di F. Frosini, Roma, 1998, pp. 405-14).
37. Per questa placchetta, recentemente assegnata al Moderno (D. Lewis, The Metallic Oeuvre of "Moderno": His Development at Mantua in the Circle of "Antico", in ltalian Medals, ed. by l. Graham Pollard, "Studies in the History of Art", vol. 21, Washington, 1987, pp. 84-85), cfr. inoltre G. Toderi, F. Vannel Toderi, Placchette. Secoli XV-XVII. Museo Nazionale del Bargello, Firenze, 1996, n. 169, p. 94.
38. Per questa placchetta, con attribuzioni tra il Moderno e la sua scuola, cfr. la scheda di D. Banzato, in Fondazione Giuseppe Roi. Placchette, bronzetti e cristalli incisi dei Musei Civici di Vicenza. Secoli XV-XVIII, a cura di D. Banzato, M. Beltramini, D. Gasparotto, Vicenza, 1997, nn. 43-44, pp. 69-70.
39. D. Lewis, The Plaquettes of 'Moderno' and his Followers, in Italian Plaquettes, cit., pp. 124 e 140; la placchetta con Scena di battaglia, è presente sulle legature di altri due volumi del Grolier, in entrambi i casi con Orfeo che incanta gli animali.
40. Hobson, Humanists, cit., p. 119.
41. Molinier, Les bronzes, cit., n. 449.
42. Hobson, Humanists, cit., p. 216, n. 3.
43. J. Pope Hennessy, The !talian Plaquettes (1964), in The study and Criticism of Italian Sculpture, New York, 1980, pp. 197-204; Lewis, The Metallic, cit., pp. 77 e ss.
44. Ulrich Middeldorf avanzava l'ipotesi che il Moderno potesse identificarsi con il Caradosso (U. Middeldorf, O. Goetz, Medals and Plaquettes from the Sigmund Morgenroth Collection, Chicago, 1944, pp. 33-34, nn. 233, 234, e nota al n. 229, p. 33); pensa ad un autore lombardo G. Agosti (Bambaia e il classicismo lombardo, Torino, 1990, p. 123, e nota 87, pp. 131-32), non concordando inoltre con l'ipotesi 'Moderno=Mondella': R. Bartalini (Le occasioni del Sodoma. Dalla Milano di Leonardo alla Roma di Raffaello, Roma, 1996, p. 93 e nota 9 ivi), P. Venturelli (Leonardo e leonardeschi. Temi di arte applicata, in corso di pubblicazione per Marsilio, Venezia).
45. Cfr. F. Vannel, G. Toderi, Medaglie e placchette del Museo Bardini di Firenze, Firenze, 1998, pp. 144-45, n. 172.
46. Cfr. F. Rossi, Maffeo Olivieri e la bronzistica bresciana del '500, "Arte Lombarda", 1977, pp. 123-24.
47. G. Habisch, Schwertknaufe der Renaissance, "Der Cicerone", Il, 1910, pp. 427-31; F. Rossi, Musei Civici di Brescia. Cataloghi. 1. Placchette, sec.XV-XIX, Brescia, 1974, n. 28 c.; Rossi, Maffeo, cit., p. 124; P. Cannata, Piccoli bronzi rinascimentali e barocchi del Museo Olivetano di Pesaro, Pesaro, 1987, n. 33.
48. Cfr. B. Thomas, O. Gamber, L 'arte milanese dell'armatura, in Storia di Milano, vol. XI, Milano 1958, pp. 698-841; B. Thomas, Die Harnische und Blankwaffen von Brescia (testo tedesco per la Storia di Brescia, III, Brescia, 1961, pp. 791-815); A.V.B. Norman, Wallace Collection Catalogues, European Arma and Armour, supplement, London, 1986, p. 334; M. Scalini, Il poema epico cinquecentesco armi all'eroica e da pompa, in Armi e armati, cat. Mostra Cracovia-Firenze, 1989, pp. 14-15, n. 10, p. 28, n. 1; L.G. Boccia, Armature 'estensi': problemi e concomitanze, "Schifanoia", 1989,5, pp. 9-22.
49. Cfr. E. Motta, Armaiuoli milanesi nel periodo Visconteo-Sforzesco, "ASL", XLI, 1914, pp. 187-232. Nella seconda metà del XV secolo intere colonie di armaioli milanesi si stabiliscono in città francesi quali Tours, Lione, Avignone, in Borgogna, in Spagna, cfr. M.P. Zanoboni, Artigiani, imprenditori, mercanti. Organizzazione del lavoro e conflitti sociali nella Milano sforzesca (1450-1476), Firenze, 1996, pp. 145-51; per forniture ai re di Francia, di Inghilterra, ai duchi di Savoia e di Lorena, cfr. G. Franceschini, in Storia di Milano, voI. VII, Roma, 1956, alle pp. 868 e ss.; M.P. Bortolotti, Armi e metalli, in Ludovico il Moro la sua città e la sua corte ( 1480-1499), Como, 1983, p. 157 (con indicazioni sui mercanti d'armi milanesi che accompagnano nel 1494 i soldati svizzeri che vanno al servizio del re di Francia e sulle armi al duca d'Orléans).
50. Cfr. I. Gelli, Gli archibugiari milanesi. Industria, commercio e uso delle armi da fuoco in Lombardia, Milano, 1905; C.M. Belfanti, Una catena di mestieri: la filiera delle armi nel Bresciano (secoli XVI-XVlll), in Corporazioni e gruppi professionali nell'ltalia moderna, a cura di A. Guenzi, P. Massa, A. Moioli, Milano, 1999, pp. 404-20.
51. Gianjacopo Caroldo nella sua relazione sul Ducato di Milano del 1520, afferma che nel capoluogo lombardo sono "grandissimo numero de artefici più che in altra città de cristiani, li quali fano ogni sorta lavori e merce, che vano per tutto el mondo, come armature, briglie, sele, ecc." (CAROLDO, p. 18). È a Venezia, eventualmente, che si deve pensare come antagonista di Milano a partire dal Quattrocento e sino a tutto il Seicento, e con lei i territori del Bellunese, del Friulano e del Bresciano (cfr. L.G. Boccia, E.T. Coelho, Armi bianche italiane, Milano, 1975, p. 19).
52. Per il dibattito attributivo rimando a Fulton, The Master, cit., nota 1, pp. 156-57.
53. Cfr. W. Terny de Gregory, Giovanni da Crema and his "Seatled Goddess", "The Burlington Magazine", XCII, 1950, pp. 158-61; Giovanni, è il padre del più noto Agostino de Fondulis, plasticatore e architetto, proveniente da una famiglia orafa, in contatto stretto con Bramante, Giovanni Battista Battagio e in generale con l'ambiente aggiornato della corte di Ludovico il Moro, già al suo arrivo a Milano (1483) distintosi per uno studio dall'antico rigoroso, cfr. S. Bandera, Agostino de Fondulis e la riscoperta della terracotta nel Rinascimento lombardo, Crema, 1997.
54. J.G. Mann, M.A., F.S., Wallace Collection Catalogues. Sculpture, London, 1931, With supplement, London 1981, n. 72, pp. 30-31, tav. 19. M. Faietti (in Bologna e l'Umanesimo 1490-1510, a cura di M. Faietti, K. Oberhubert, Bologna, 1988, n. 138, p. 347), richiama la stretta relazione tra quest'opera e la figura femminile che siede sopra un drago nella placchetta del Maestro IO.F.F con Arianna a Nasso.
55. Fulton, The Master, cit.
56. Per Francesco Furnio, cfr. Fulton, The master, cit.; M. Scalini, in Le Tems Revient. 'L tempo si rinuova. Feste e spettacoli nella Firenze di Lorenzo il Magnifico, a cura di P. Ventrone, Cinisello Balsamo, 1992, n. 3.15, pp. 180-82; M. Collareta, Sul 'Maestro Io.F.F. ' e sulla posizione dell'oreficeria nell'arte italiana intorno al 1500, "Prospettiva", nn. 87-88,1997, pp. 137-39.
57. Fulton, The Master, cit.; D. Gasparotto, in Fondazione Giuseppe Roi, cit., n. 25, pp. 61 62. Occorre però sottolineare a proposito dalle cosiddette 'cinquedee', cioè daghe larghe cinque dita al loro tallone caratterizzate nell'ultimo ventennio del Quattrocento da decori ad inci sione (e non da placchette a rilievo applicate, dunque) con modelli derivati da Mantegna, Tura, Ercole de' Roberti, Signorelli, Pellegrino da Cesena, Amico Aspertini, che se i centri di produzione sono in Emilia per le lame, quelli decorativi sembrano stretti nel triangolo Ferrara, Venezia, Milano (cfr. Armi e armatura. Museo Poldi Pezzoli, a cura di D. Collura, Milano, 1980, nn. 615 e 616, pp. 109-110; L.G. Boccia, Armi e armature, Milano, 1988, p. 48). Per Francesco Francia, cfr. E. Negro, N. Roio, C. Giovannini, Francesco Francia e la sua scuola, Modena, 1998.
58. Cfr. L. Arbace, in Museo Nazionale di Capodimonte. La collezione Farnese. Le arti decorative, Napoli, 1996, nn. 7.47-7.52, pp. 227-28;.Vannel, Toderi, Medaglie, cit., p. 142, dove a preferenza di altre ipotesi si accetta un'origine milanese delle placchette del Maestro IO.F.F., anche per il recente ritrovamento di un'opera in collezione privata (Toderi, Vannel, Placchette, cit., p. 73, nota 1) del Maestro IO.F.F. con la raffigurazione di Arianna a Naxos, recante nell'esergo la firma IO.F.FVI, che porterebbe ulteriore conferma al nome di Giovanni di Fondulino Fonduli.
59. Punterebbe a Milano anche quanto già osservava Ulrich Middeldorf (Middeldorf, Goetz, Medals, cit., p. 38) a riguardo del fodero da spada in cuoio di Cesare Borgia (The Trustees of the Victoria & Albert Museum Londra; cfr. C. Blair, Cesare Borgia's sword-scrabbar, "Victoria and Albert Museum Bulletin", Il, 1966, pp. 125-36), ritenuto affine stilisticamente alle opere del Maestro IO.F.F, e per il quale ipotizza un autore operoso in stretto contatto con la bottega di questo misteroso monogrammista; Fulton (The Master, cit., nota 41, p. 160) pensa invece a Bologna e all'ambito del Francia perche questi elabora disegni destinati a stampa tori di Venezia da cui, secondo lo studioso, proverrebbe la legatura del Celsus del Grolier (che è invece, come si è detto, sicuramente milanese); per il fiorente artigianato del cuoio impresso della capitale lombarda, con un ventaglio di impiego che contempla il settore libraio, le barde e le scatole decorate (astucci per posate o altro), cfr. F. Malaguzzi Valeri, La corte di Ludovi co il Moro. Le arti industriali, la letteratura, la musica, vol. IV, Milano, 1923, pp. 23-29; Zanoboni, Artigiani, cit., pp. 73-104.
60. Una delle ragioni che ha fatto stornare da Venezia l'assegnazione delle legature del Grolier è proprio l'impossibilità di credere che in lotta con la città si ricorresse alle sue mani fatture per la loro esecuzione.
61. Per i riflessi anche nell'attardato settore dell'oreficeria, cfr. P. Venturelli, in L 'oro e la porpora. Le arti a Lodi nel tempo del vescovo Pallavicino (1456-1497), a cura di M. Marubbi, Cinisello Balsamo, 1998, n. 2.7, p. 209, p. 212.
62. Cfr. Perugino, Lippi e la bottega di San Marco alla Certosa di Pavia 1495-1511, a cura di B. Fabjan, Firenze, 1986; la commissione assegnata al Lippi non fu realizzata, mentre l'ancona del Perugino giungerà a Pavia tra il 1499 e l'aprile del 1500. 63. In un promemoria conservato all' Archivio di Stato di Milano, variamente datato tra il 1485 e il '95, inviato al Moro da un anonimo agente fiorentino, a proposito dei migliori pittori esistenti al momento, si menzionano il Lippi e il Perugino, dicendo del primo che "le cose sue hanno aria più dolce" e dell'altro che "le sue cose hanno aria angelica, et molto dolce" (ASMi, Autografi cart. 96, fasc. l; P. Milller Walde, Beiträge zur Kenntnis des Leonardo da Vinci, "Iahrbuch der koniglich. Preussischen Kunstsammlungen", XVIII, 1897, p. 113, e p. 165).
64. P. Marani, in Ambrogio Bergognone, acquisizioni, scoperte, restauri, a cura di P. Marani, I. Shell, Firenze, 1989, pp. 61-62.
65. P. Marani, Leonardo e i leonardeschi a Brera, Firenze, 1987, p. 30.
66. Per le monete e le medaglie, cfr. Richter, Il, nn. 726,727 (rimando per questo tema a P. Venturelli, Leonardo e leonardeschi. Temi di arte applicata, in corso di pubblicazione per Marsilio Editore). Cfr. inoltre: C. Pedretti, Un 'ricordo' di Gio. Paolo Lomazzo su Leonardo scultore, "L' Arte", LVI, 1957, pp. 15-22; e le riflessioni del Vinci contenute nel Paragone, si veda I.A. Richter, Paragone. A comparison of the Arts by Leonardo da Vinci, London, 1959.
67. L. Waldman, A livian Plaquette by Master Io.F.F., "The Medal", 21, 1992, pp. 17-19. All'episodio con La rivolta di Volero Publilio sono da unirsi gli altri tre temi desunti dalla medesima fonte, già menzionati, anch'essi trattati dal Maestro IO.F.F.: Morte di Marco Curzio, Sacrificio di Muzio Scevola, Morte di Orazio Coclite.
68. Cfr. D. Summers, Contrapposto: Style and Meaning in the Renaissance Art, "Art Bulletin", L IX, 1977,3, pp. 336-61; G. Daltrop, in The Vatican Collections, the Papacy and Art, NewYork, 1982, n. 21, p. 64. Per questa placchetta, cfr. oltre nel testo, alla nota 90. 69. Cfr. P.P. Bober, R. Rubinstein, Renaissance Artists and Antique Sculpture, London, 1986, p. 191, n. 159iii.
70. Per le fonti dell'opera del Vinci, cfr. l. Cunnally, Numismatic Sources for Leonardo's Equestrian Monuments, "Achademia Leonardi Vinci Journal", VI, 1993, pp. 67-78. Cfr. anche un cammeo di identico soggetto al Museo Farnese di Napoli (cfr. C. Gasparri, Le gemme Farnese, Napoli, 1994, p. 145, n. 275), assai simile nel particolare dell'arcata a tutto sesto del ponte al centro della scena.
71. Per le Muse della Villa di Adriano e l'importanza in generale di questo complesso tra Quattro e Cinquecento, cfr. P.C. Marani, Tivoli, Hadrian ant Antinous. New Evidence of Leonardo's relation to the Antique, "Achademia Leonardi Vinci Journal", VIII, 1995, pp. 218-19.
72. Cfr. G. Agosti, Sul gusto per l'antico a Milano tra regime sforzesco e dominazione francese, "Prospettiva", 49, 1987, pp. 33-46; Agosti, Bambaia, cit.; A. Rovetta, La cultura antiquaria a Milano negli anni Settanta del Quattrocento, in Giovanni Antonio Amadeo. Scultura e architettura del suo tempo, a cura di J. Shell e L. Castelfranchi, Milano, 1993, pp. 393-407; Ludovico Dux, L 'immagine del potere, a cura di L. Giordano, Vigevano, 1995; R. Schofield, A. Burnett, The Decoration of Colleoni Chapel, "Arte Lombarda" 126, 1999/2, pp. 61- 89.
73. Cfr. le indicazioni bibliografiche già alla nota 12; inoltre C.M. Pyle, Per la biografia di Baldassare Taccone, "ASL", CXVII, 1991, pp. 391-413.
74. Cfr. R.W. Scheller, Gallia Cisalpina: Louis XII and Italy 1499-1508,"Simiolus"; 14, 1985, pp. 44-45; Agosti, Bambaia, cit., pp. 62-63.
75. E. Battisti, I comaschi a Roma nel primo Rinascimento, in Arte e artisti dei laghi lombardi, I vol., Como, 1959, pp. 3 e ss.
76. R. Weiss, Giovanni Ambrogio Preda in Rome, "Journal of the Warburg and Courtauld Institute", XXI, 1958, p. 297.
77. Cfr. Marani, Tivoli, cit., pp. 207-25 (con le importanti osservazioni premesse a questo studio da C. Pedretti, sul nodo Leonardo/Milano/classicismo di fine' 400: Stando esso in Milano, Ivi, pp. 205-206).
78. C. Roberson, Bramantino: 'Prospectivo Melanese Depictore', in Giovanni Antonio Amadeo, cit., pp. 377-84.
79. P. Venturelli, Gioielli e gioiellieri milanesi. Storia, arte, moda ( 1450-1630), Cinisello Balsamo, 1996, p. 106.
80. Carminati, Cesare da Sesto, cit., pp. 48 e ss.
81. Agosti, Bambaia, cit., pp. 68-85.
82. Cfr. Toderi, Vannel Toderi, Placchette, cit. n. 118, p. 73.
83. Cfr. E. Borea, Stampa figurativa e pubblico, in L 'artista e il pubblico, Torino, 1979, p. 346.
84. Esemplificativo è il caso della placchetta attribuita allo Pseudo Fra Antonio da Brescia, con il Satiro e l'Abbondanza, per la quale si è fatto il riferimento a Marcantonio Raimondi (in Bologna e l'Umanesimo, cit., n. 135, p. 345, e n. 25, pp. 138-39 con la datazione per la plac chetta a non prima del 1506); il Satiro rinvierebbe alla Famiglia del Satiro di Dürer del 1505, mentre l' Abbondanza richiamerebbe la figura a sinistra nell' Ercole al bivio, sempre di Dürer (E. Panofsky, Hercules am Scheidewege und andere antike Bildstoffe in der neueren Kunst. Studien der Bibliothek Warburg, XVIII, Leipzig, 1930; Panofsky osserva però che sia l' Ercole che la stampa del Raimondi deriverebbero da un comune prototipo, forse ricavato da un disegno mantegnesco perduto e che a sua volta Mantegna si sarebbe ispirato a un sarcofago antico). A riguardo del Maestro IO.F.F., sarebbe meglio puntare allora verso Raffaello (o ai modelli che ispirarono lui e gli altri, anche tratti dall' antico) e non fermarsi al suo massimo diffusore, Marcantonio Raimondi.
85. Rossi, Musei, cit., p. 21; Fulton, The Master, cit., p. 160, nota 39; per la rotella nella Torre di Londra, cfr. Fulton, The Master, cit., fig. 22, p. 157.
86. Middeldorf, Medals, cit., n. 267, pp. 37-38 (l'incisione è riprodotta in A.M. Hind, Early Italian Engraving, London, 1938, n. 30, p. 206): ma il riferimento non sembra sicurissimo (Rossi, Musei, cit., p. 23, n. 29A); si sostiene la derivazione del niello di Peregrino da Cesena dalla placchetta, in Bologna e l'Umanesimo, cit., n. 134, p. 345.
87. Cfr. P. Cannata, Rilievi e placchette dal XV al XVIII secolo, Roma 1982, p. 54, n. 35; per l'ampia diffusione di questa placchetta, cfr. Fulton, The Master, cit., p. 158, nota 7; per i disegni di Francesco Francia, cfr. M. Faietti, Protoclassicismo e cultura umanistica nei disegni di Francesco Francia, in Il Classicismo Medioevo Rinascimento Barocco, Atti del Colloquio Cesare Gnudi (1989), Bologna 1993, pp. 171-89.
88. Fulton, The Master, cit., fig. 15, p. 150.
89. Faietti, in Bologna e l'Umanesimo, cit., n. 87, pp. 298-300; per il niello "tra Peregrino e il Francia", da cui deriverebbe la placchetta, cfr. n. 113, pp. 333-34. E. Negro (in Francesco Francia, cit., p. 106) pensa invece che l'autore del disegno agli Uffizi sia il Leonbruno.
90. Per la placchetta con il Giudizio di Paride, un tentativo è fornito da M. Scalini, in Le tems revient, cit., pp. 181-82, con asserzioni però tutte da provare (in questa sede ci si discosta comunque dall'ipotesi che l'iscrizione LAR sul pezzo esaminato dall'autore, sia l'equivalente di LA V .R.MED, rintracciabile sui vasi e sulle gemme della collezione di Lorenzo il Magnifico, e pertanto sulla cronologia proposta in base a questo dato: 'ante 1492'); secondo Scalini gli esemplari databili 'ante 1492' avrebbero il dettaglio della testa di Giunone raffigurata di tre quarti, mentre al terzo decennio del Cinquecento spetterebbero quelli con il volto visto di profilo, come nell'impronta Grolier.

Elenco delle legature con placchetta riferite alla biblioteca di Jean Grolier**

1. Aulus Gellius, Noctium Atticarum commentarii, ed. Filippo Beroaldo, Bologna: Benedictus Hectoris, 1 Feb. 1503. La copia di Jean Grolier reca la data 'XIX Sept. 1510' (Troyes, Bibliothèque de la Ville, Rés. ReI. B.21) Anonimo: Busto di Diana; Attr. a scuola veneziana: Un cavaliere turco a cavallo; Pseudo Melioli: Testa di Asdrubale portata ad Annibale (Hobson, Census, cit., n. 3d, p. 216; n. 48a, p. 228, n. 49a, p. 229)
2. Suetonius, De vitis duodecim Caesarum (ms. del XIV sec.) (Oxford, Exeter College, MS 186) Maestro IO.F.F.: Giudizio di Paride; Pseudo Fra Antonio da Brescia: L 'Abbondanza con un satiro (Hobson, Census, cit., 52b, p. 230; 53b, p. 230)
3. Giovanni Boccaccio, De montibus silvis fontibus lacubus fluminibus, stagnis seu paludibus et mare, ms. unito a: Vibius Sequester, De fluminibus... nemoribus lacubus paludibus montibus gentibus per litteras, scribe Lanfranco Manzi di Mantua, 1374 (Libreria vaticana, Reg. lat. 1477)) Scuola mantovana: Allegoria della Fortuna (con: AVDACES.FORTVNA.IVV AT; TIMIDOSQVE REPELLIT) (Hobson, Census, cit., 57a, p. 231)
4. Marsilio Ficino; Theologia platonica, Firenze: Antonio Miscomini, 1482 (Vitré, Bibliothèque Municipale, S.97, ma non più reperito dal 1966) Maestro IO.F.F.: Muzio Scevola con la mano sulla fiamma; Maestro IO.F.F.: Trionfo della Prudenza (Hobson, Census, cit., n. 50f, p. 229; n. 51d, p. 230)
5. Petrus de Montis, De dignoscendis hominibus, interprete G.Ayora Cordubensi Milano: Antonius Zarotus, 1492 (BTMi, Inc. B.99; Trivulzio 87.3) Maestro IO.F.F.: Giudizio di Paride; Pseudo Fra Antonio da Brescia: L 'Abbondanza con un Satiro (De Marinis, La legatura, cit., p. 28, n. 2652; Hobson, Census, cit., n. 52d, p. 230; n. 53d, p. 230)
6. Plotinus, Opera, con traduzione e commento di Marsilio Ficino, Firenze: Antonio Miscomini, 1492 (Epernay, Bibliothèque Municipale, Inc. 3008) IO.F.F.: Muzio Scevola con la mano sulla fiamma; Pseudo Fra Antonio da Brescia: L 'Abbondanza con un satiro (Hobson, Census, cit., n. 50k, p. 229; n. 53a, p. 320)
7. Hermolaus Barbarus, Castigationes Plinianae, Roma: Eucharius Silber, 1492-93 (The Hague, Museum Meermanno-Westreenianum, 3 D 2) Maestro IO.F.F.: Trionfo della Prudenza; Pseudo Melioli: Orfeo incanta gli animali (Hobson, Census, cit., 51i, p. 230; n. 54a, p. 230)
8. Aristotele, Opera, voI. Il, Venezia: Aldus, 1497 (New York, Pierpont Morgan Library, 19117) Maestro IO.F.F.: Sacrificio di Marco Curzio; Maestro I0.F.F.: Orazio Coclite difende il ponte (Hobson, Census, cit., n. 46b, p. 228; n. 47b, p. 228)
9. A. Cornelius Celsus, De medicina, Venezia: Philippus Pincius per Benedictus Fontana, 1497 (London, British Library, 0.9026) Maestro IO.F.F.: Sacrificio di Marco Curzio; Maestro IO.F.F.: Orazio Coclite difende il ponte (Hobson, Census, cit., n. 46a, p. 228; n. 47a, p. 228)
10. Joannes Annius Viterbensis, De commentariis Antiquitatum, Roma: Eucharius Silber, 1498 (Paris, Bibliothèque S.te Geneviève, OE.XV .689) Maestro IO.F.F.: Muzio Scevola con la mano sulla fiamma; Maestro IO.F.F.: Trionfo della Prudenza (Hobson, Census, cit., n. 50b, p. 229; 51b, p. 230) II. Suidas, Lexicon, Milano: J.Bissolus a B. Mangius per Demetrius Chalcondylas, 1499 (Cambridge, Trinity College, VI.18.25) Maestro IO.F.F.: Giudizio di Paride; Pseudo Fra Antonio da Brescia: L 'Abbondanza con un satiro (Hobson, Census, cit., n. 52c, p. 230; n. 53c, p. 230)
12. S. Caterina da Siena, Epistole, Venezia: Aldus, 1500 (Oottingen,UL. 4° Patr. Lat. 953) Maestro IO.F.F.: Muzio Scevola con la mano sulla fiamma (Hobson, Census, cit., n. 50i, p. 229)
13. Philostratus, De vita Apollonii Thyanei, Venezia: Aldus, 1501-1504 (Paris Bibliothèque Nationale, Rés. J.877) Stile del Moderno: Scena di battaglia; Attr. al Moderno: La battaglia di Cannae (con: CONSALVI AGIDARI VICTORIA/DE GALLIS AD CANNAS) (Hobson, Census, cit., n. 55c, p. 231; n. 56a, p. 231)
14. Bernardino Corio, Historia di Milano, Milano: Alexander Minutianus, 1503 (Vaticano, Libreria Vaticana, De Marinis Stamp. 7 Ris.) Maestro IO.F.F.: Muzio Scevola con la mano sulla fiamma; Maestro IO.F.F.: Trionfo della Prudenza (Hobson, Census, cit., n. 50a, p. 229; n. 51a, p. 229)
15. Caesar, Commentarii, ed. Filippo Beroaldo, Bologna: Benedictus Hectoris, 1504 (Paris, Bibliothèque Nationale, Rés. 1.268) Maestro IO.F.F.: Muzio Scevola con la mano sulla fiamma; Maestro IO.F.F.: Trionfo della Prudenza (Hobson, Census, cit., n. 50c, p. 229; n. 51c, p. 239)
16. Joannes Philoponus, In posteriora resolutoria Aristotele commentaria, Venezia: Aldus, 1504 (Chigaco, Newberry Library, Case 6A 152) Pseudo Melioli: Orfeo incanta gli animali; Stile del Moderno: Scena di battaglia (Hobson, Census, cit., n. 54d, p. 230; n. 55a, p. 230)
17. G.B. Pio, Annotationes linguae latinae; graecaeque conditae, Bologna: I.A. Platonicus de Benedictis, 1505; è unito a Jacobus a Cruce, Opuscolum annotationum et quarumdam prelectionum, Bologna: Benedictus Hectoris, 1503 (Paris, Bibliothèque Nationale, Rés. Z.548) Attr. a scuola veneziana: Cavaliere turco a cavallo; Pseudo Melioli: Testa di Asdrubale portata ad Annibale (Hobson, Census, cit., n. 48b, p. 228; n. 49b, p. 229)
18. Lorenzo Giustiniani, Opera, Brescia: Angelus Britannicus per Hieronymus Caballus di Brescia, 1506, 2 voll. (Paris, Bibliothèque S.te Geneviève, D.854/5) Maestro IO.F.F.: Muzio Scevola con la mano sulla fiamma; Maestro IO.F.F.: Trionfo della Prudenza (Hobson, Census, cit., n. 50g, p. 229; n. 51g, p. 230)
19. Procopius, De bello Gothorum, trad. Cristoforo Persona, Roma: I. Besicken, 1506 (London British Library , Henry Davis Gift, P .1131 ) Maestro IO.F.F.: Giudizio di Paride; Pseudo Melioli: Orfeo incanta gli animali (Hobson, Census, cit., n. 52e, p. 230; n. 54c, p. 230)
20. Marco Vigerio, Decachordum Christianum, Fano: Hieronymus Soncino, 1507 (Vitre, Bibliothèque Municipale, T. 781) Maestro IO.F.F.: Muzio Scevola con la mano sulla fiamma; Maestro IO.F.F.: Trionfo della Prudenza (Hobson, Census, cit., n. 50e, p. 229; n. 51e p. 230)
21. Ms: Offices et charges de France (1507-1516) (BTMi, Trivulzio cod. 1338) . Maestro IO.F.F.: Muzio Scevola con la mano sulla fiamma; Maestro IO.F.F.: Giudizio di Paride (Hobson, Census, cit., n. 50j, p. 229; 52a, p. 330)
22. Leges municipales seu statuta magnifice civitatis Verone, Vicenza: Henricus de Sancto Ursio, 1507 (Stuttgart, Württ, Landesbibliothek, ES II) IO.F.F.: Muzio Scevola con la mano sulla fiamma; Pseudo Melioli: Orfeo incanta gli animali (Hobson, Census, cit., n. 501, p. 229; n. 54a, p. 230)

De Marinis ritiene di proprietà del Grolier, anche se non recano segni indicatori:

23. Dante Alighieri, La Comedia, Firenze: Nicolò di Lorenzo della Magna, 1481 (Arma di Taggia-Liguria, Conte Naselli Feo) Maestro IO.F.F.: Arianna a Nasso (De Marinis, La legatura, cit., p. 14, e n. 2646, p. 27; Hobson, Census, cit., n. 58a, pp. 231-32)
24. Ovidius, La bible des Poètes. Metamorphoses, tradotto in francese da Colard Mansion e moralizzato da Thomas Walleys, Paris: Antoine Vérard, 1494 (Paris, Bibliothèque Nationale, Rés.gr. Yc.425) Maestro IO.F.F.: Muzio Scevola con la mano sulla fiamma; Maestro IO.F.F.: Trionfo della Prudenza (De Marinis, La legatura, cit., p. 14: con indicazione per le placchette del Muzio Scevola e del Giudizio di Paride; e n. 2654, p. 28: con indicazione al fronte della placchetta raffigurante "la testa di Ciro presentata a Tomiri"; Hobson, Census, cit., n. 50h, p. 229; n. 51h, p. 230)
25. Astronomici Veteres, Venezia: Aldus, 1499 (Cambridge, Fitzwilliam Museum) Maestro IO.F.F.: Muzio Scevola con la mano sulla fiamma; Maestro IO.F.F.: Allegoria della Prudenza (De Marinis, La legatura, cit., n. 2659, p. 29; The British, cit., n. 5, pp. 4-5; Hobson, Census, cit., n. 50d, p. 229; n. 51d, p. 230 (ma come: Iulius Firmicus Maternus, De nativitatibus, Venezia: Aldus, 1499, Cambridge, Fitzwilliam Museum 3.L.14)
26. Ulpianus, Commentarioli in Olynthiacas Philippicasque Demosthenis orationes, Venezia: Aldus, 1503 (Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, A.N.XXIII.30) Stile del Moderno: Scena di battaglia; Pseudo Melioli: Orfeo incanta gli animali (De Marinis, La legatura, cit., p. 13, e n. 2662, p. 29; Hobson, Census, cit., n. 54e, p. 230; n. 55b, p. 231)

Hobson inserisce nel suo Census, non parlando però di Grolier:
27. Caesar, Opera, Paris, Pierre Vidoue per Pierre Thyart, 1522 (Proprietario non noto, già a Cologna, Kunstgewerbe Museum) Maestro IO.F.F.: Muzio Scevola con la mano sulla fiamma; Maestro IO.F.F.: Arianna a Nasso (Hobson, Census, cit., n. 50m, p. 229; n. 58b, p. 232)
** L' elenco è estrapolato da: De Marinis, La legatura artistica in Italia nei secoli XVe XVI, voI. III, Firenze 1960, pp. 26-29; The British Museum. Bookbindings from the Library of Jean Grolier, London 1965, pp. 1-7; A. Hobson, Census of Historiated Plaquette and Medallion Bindings of the Renaissance, in Humanists and Bookbinders, Cambridge, University Press, 1989, pp. 214-51


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